Diario di guerra /2

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cristiano-diario1

Mentre continuavo a scrivere il mio diario sulla nuova guerra, un paio di giorni fa, ho letto che il generale al Qaani, il potente capo dei pasdaran iraniani – i guardiani ed esportatori della rivoluzione khomeinista – era giunto a Beirut per incontrarvi Nasrallah: per un attimo ho pensato che fosse giunto il momento in cui le milizie avrebbero imboccato risolutamente la strada verso Gaza, verso la guerra.

Una scelta del genere – la guerra ad Israele – il potente capo di Hezbollah, Hasan Nasrallah, non la poteva annunciare da solo. La dichiarazione di guerra della milizia khoeminista avrebbe quindi manifestato il piano operativo concordato con Tehran.

Ma un amico di Beirut mi ha ricondotto alla ragionevolezza: «chi ha le armi se vuole le usa, non lo annuncia». E allora, perché si sono trovati in due?

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Una volta ascoltato l’atteso discorso di questo venerdì, qualcosa mi è risultato più chiaro. Nasrallah ha parlato per tutto il fronte miliziano e ha fatto riferimento a Tehran. Ovvio. E allora?

Per scavare nel senso di un evento, organizzato da tempo e annunciato ufficialmente con cinque giorni d’anticipo, bisogna tornare ad alcuni antefatti. Sto parlando di due uomini che hanno il compito di esportare nel mondo la rivoluzione teocratica fondata sul pensiero apocalittico di Khomeini: sono convinti che i martiri non muoiano, ma raggiungano un tempo mediano, tra il nostro e quello dell’al di là, accelerando il corso della giustizia divina, perché arrivi presto.

Ma Nasrallah ha messo in chiaro che Tehran, assieme a lui, cioè a Hezbollah – suo braccio operativo in Medio Oriente – più altri soggetti collegati, non ha nulla a che fare con l’ideazione e la realizzazione dei fatti del 7 ottobre. Questi sarebbero da attribuire alla autonoma decisione di Hamas, al 100%, a prescindere da piani o strategie iraniane. L’ha detto subito.

Poi ha lodato la resistenza islamica palestinese e la portata di quanto ha conseguito, sino al punto decisivo: Hezbollah non interverrà ulteriormente nel conflitto. Le azioni frontaliere contro Israele proseguiranno, ma non ci saranno intenzionali innalzamenti nel livello di scontro. Lo ha detto chiaramente.

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Perché, dunque, tanta “scena”? Nasrallah non si è sottratto alla recita: perché – l’ha detto “fuori dai denti” – il Grande Satana, come da definizione dell’ayatollah Khomeini, è l’America.

Spiegazione: i massacri di civili israeliani – nella sua ricostruzione – non sono opera di Hamas, poiché questi sarebbero stati in aperta violazione della legge islamica (motivazione implicita ma non espressa), bensì effetto del fuoco di reazione all’assalto israeliano.

I massacri sono perpetrati solo dagli altri, e il Male, tutto il Male possibile, deriva dagli Stati Uniti d’America, da oltre un secolo. Su Gaza e quanto vi accade ha detto poco.  Ha citato, espressamente, le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, per dimostrare quanto assoluto sia il Male americano.  Proprio come fece Bin Laden: stessa retorica ideologica.

Ebbene, il significato profondo di simili parole era stato colto, secondo me, già anni fa, dal grande antropologo francese René Girard, quando aveva scritto: «leggendo i primi documenti di Bin Laden, ho riscontrato i suoi accenni alle bombe americane cadute in Giappone e ho capito, ad un tratto, che il livello di riferimento è il pianeta intero, ben al di là dell’Islam.

Sotto l’etichetta dell’Islam c’è la volontà di collegare e mobilitare tutto un terzo mondo di frustrati e di vittime nei loro rapporti di rivalità mimetica con l’Occidente. Eppure, nelle Torri distrutte lavoravano sia stranieri che americani. Inoltre: per l’efficienza e la sofisticazione dei mezzi impiegati, oltre che per la conoscenza che essi avevano degli Stati Uniti, gli autori degli attentati non erano forse anch’essi un po’ americani? Siamo in pieno mimetismo».

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La teoria della violenza mimetica di Girard mi viene in soccorso, dunque, per capire, per interpretare: l’uomo si regola sulla base dell’imitazione degli altri. È questo, dunque, il centro del ragionamento del potente capo miliziano: “non lancerò la mia milizia in una guerra troppo pericolosa, ora, ma comunque agisco contro il Grande Satana, non a New York, bensì in Medioriente, non a Gaza o in Libano, bensì contro le basi militari americane in Iraq e in Siria”.

Naturalmente, non tutto fila logicamente, in tale discorso: tutti sanno che la base più importante della US Navy è in Qatar, eppure quella base, decisiva, Nasrallah non l’ha neppure citata. Ha parlato delle basi in Iraq e in Siria: Nasrallah – evidentemente, dopo aver parlato con al Qaaani, (l’unico che poteva autorizzarlo), ha attribuito la solenne decisione alle  milizie filoiraniane, unite, compatte, già presenti in Siria e in Iraq.

Perché proprio quelle? Qui, mi ripeto: il grande obiettivo imperiale iraniano è collegare sotto il suo controllo tutta la mezzaluna che va da Tehran al Mediterraneo. Beirut è già in mano a Hezbollah, perciò il lavoro va concluso portando il controllo terrestre negli snodi decisivi dell’Iraq e della Siria: quindi, il collegamento imperiale terrestre da Beirut a Tehran, si farà. Tutto è in funzione di ciò.

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C’era e c’è, però, qualcosa ancora da spiegare, per il cuore delle masse arabe: tessendo le lodi di Hamas e della sua azione per il “riscatto” arabo, ha tentato di recuperare quei milioni di arabi sconvolti dagli avvenimenti di Gaza, innalzando la polemica con gli altri leader regionali, dopo aver sguinzagliato, da anni, i miliziani di Hezbollah contro gli stessi arabi, sterminando migliaia e migliaia di siriani e di yemeniti, in particolare.

La scelta – con un colpo di teatro – è recuperare i cuori e le menti degli arabi raccogliendo il malcontento contro i loro governanti; ma, di certo, non in nome dei diritti, bensì in ragione di una violenza speculare a quella del demone americano. Nasrallah conta sui ricordi popolari dei bombardamenti occidentali inflitti agli afghani, agli iracheni, ai siriani. Ancora una volta il discorso si è fatto “apocalittico”: il Bene sta lottando col Male. Linea diffusa e pericolosa.

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Concludo questa pagina di diario di questo atteso e concitato venerdì 3 novembre delle piazze arabe. Nasrallah ha evitato coinvolgimenti diretti nella guerra in atto. Ciò può far respirare, profondamente, ma tutto può ancora succedere. Nasrallah non ha affatto dismesso – non poteva essere altrimenti – la retorica infiammatoria globale. La ricaduta della foga “terzomondista” del suo discorso non può essere certamente trascurata.

Ricordiamo che il suo discorso da star della politica mondiale è stato trasmesso in tutto il globo, come mai prima. Mi chiedo perché i giovani delle Primavere arabe – che chiedevano libertà, democrazia e dignità umana – non abbiano mai avuto, per anni di lotte a mani nude, guardate con sussiego in Occidente, una tribuna simile a quella di Nasrallah, per parlare al mondo.

Ora penso: solo la Dichiarazione sulla Fratellanza Umana può opporre una barriera a questa onda di terrore. Ed è importante, vitale, che così sia: altrimenti ci sono solo i toni della lotta del Bene contro il Male.

Mi viene in mente che, un paio di giorni fa, un missile israeliano si è abbattuto, secondo il governo libanese, su un campo di 4.000 antichi ulivi. Non erano terroristi: erano solo ulivi, vecchi, tanto vecchi da aver “visto”, forse, l’arrivo dei Franchi. In tanti secoli sono vissuti su “una certa idea di pace”. Sono tutti morti!?

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