Iran-USA: il negoziato prosegue

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Ambasciata dell’Oman a Roma, sede del negoziato diretto fra Iran e Stati Uniti (foto LaPresse).

Prosegue il negoziato sul nucleare tra Iran e Stati Uniti: infatti dopo il secondo colloquio, svoltosi presso l’ambasciata dell’Oman in Italia, si è convenuto che sabato prossimo avrà luogo il terzo round negoziale, di nuovo in Oman.

Il primo a far emergere toni positivi sull’andamento dei colloqui è stato il capo delegazione iraniano, il ministro degli esteri Araghchi; poi è stato il ministro degli esteri omanita, il mediatore, a confermare la valutazione, scrivendo sui suoi account social che “l’improbabile può diventare possibile”; infine Washington ha confermato la stessa valutazione: a notte fonda ora italiana l’agenzia  Reuters infatti ha riferito che una fonte ufficiale all’amministrazione Trump ha riferito di “progressi molto buoni”.

Aggiungendo che i colloqui sono stati  “indiretti e diretti”-  cioè tra la delegazione guidata da Araghchi e quella capeggiata dall’inviato di Trump per il Medio Oriente, Witkoff, non solo attraverso  il mediatore omanita. Inoltre tutti hanno confermato che prima, a partire da mercoledì prossimo, ci saranno incontri a livello tecnico, e questo ha molto rilievo vista la complessità della materia.

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Come è noto Washington afferma che Tehran non deve poter avere armi nucleari e se i negoziati falliscono non resta che l’opzione militare; ma Tehran rifiuta di poter rinunciare al suo programma nucleare che avrebbe scopi civili. Ma se così fosse perché Tehran ha portato l’arricchimento di uranio al 60% mentre il livello necessario per il nucleare civile è molto più basso?

Ecco che si parla di un tetto al 3,6%, compatibile con l’uso civile, ma molto inferiore a quello oggi raggiunto dagli iraniani. Si parlerà di questo? Ma non è così semplice, infatti se si scegliesse questa strada tutti dicono che il “diavolo è nei dettagli”.  Occorrerebbe infatti verificare, monitorare che i livelli di arricchimento dell’uranio siano rispettati e molto spesso le missioni dell’AIEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, sono state ostacolate, le loro apparecchiature oscurate.

Il capo dell’Agenzia, Rafel Grossi, è stato presente ai colloqui di ieri e anche lui ha espresso valutazioni positive sull’andamento dei colloqui, pur aggiungendo che non sarà facile. E il fatto che il ministro degli esteri iraniano abbia apprezzato la sua presenza, dicendo che in una fase successiva l’AIEA avrà un ruolo molto importante, sembra confermare che Tehran indichi la possibilità, o abbia l’intenzione, di arrivare a un nuovo meccanismo di controlli e verifiche.

Ma di dettagli tecnici ce ne sono molti altri, ovviamente. Tehran, ad esempio, ha sempre affermato che il suo sistema missilistico non è oggetto dei negoziati in atto. Sarà proprio così?

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Va tenuto conto anche dell’altra grande partita che si gioca in questi negoziati: le sanzioni americane che colpiscono l’Iran. In caso di accordo si sbloccherebbe la commercializzazione del greggio iraniano, che oggi Tehran vende in gran parte sottocosto alla Cina grazie a un’opaca flottiglia che riesce a eludere i controlli.

Si sbloccherebbe anche un’enorme quantità di valuta pregiata di proprietà iraniana che attualmente è bloccata in banche straniere. Dunque gli interessi in gioco sono tantissimi e si migliorerebbe di certo l’economia interna, facendo salire il tenore di vita dell’iraniano medio ridotto sul lastrico da questo braccio di ferro. Non è detto però che questa sia la prima considerazione da parte di tutti i soggetti iraniani coinvolti.

Chi guadagna dall’economia grigia che Tehran ha costruito in questi lunghi anni di sanzioni avrà altre priorità. Forse oltre all’ideologia c’è anche questo in quegli ambienti che esprimono contrarietà all’intesa.

Poi ci sono le milizie con cui Tehran ha destabilizzato molti Paesi arabi. L’improvviso tono duro che i filo-iraniani libanesi di Hezbollah hanno usato in queste ore contro il loro disarmo, propostogli in via negoziale dal presidente del Libano, forse può essere letto anche pensando a uno scenario simile.

È noto che l’economia grigia iraniana è gestita in gran parte dai pasdaran, i famosi guardiani della rivoluzione, ed è anche noto il rapporto strettissimo che lega i pasdaran e Hezbollah. Poi ovviamente sono possibili anche altre letture, altre ipotesi. Ad esempio, un ex diplomatico iraniano, Hossein Alizadeh, ha sostenuto che il regime ha bisogno dei negoziati in sé, per evitare pressioni interne ed esterne, ma non rinuncerà mai alla sua ideologia rivoluzionaria e anti-occidentale.

Forse, leggendo Hossein Alizadeh, l’imprevedibile alzata di scudi di Hezbollah contro il proprio disarmo può essere capita pensando a questo, alla necessità di confermare la propria ideologia nel pieno del negoziato.

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