La Siria è un paese avvolto in una matassa di problemi e trovare il bandolo per uscirne è un bel rompicapo.
Padre Jacques Mourad, arcivescovo siro cattolico di Homs non ha dubbi che i problemi siano tanti e intrecciati tra di loro, che districarsi sia difficile e che quindi non ci sia una sola ricetta, ma dal suo ragionare sulla situazione in cui si trova il suo Paese emerge con chiarezza che la priorità è quella della sicurezza.
La sicurezza nelle parole di padre Jacques, a suo tempo sequestrato dall’Isis e rocambolescamente salvatosi fuggendo grazie a un amico musulmano che lo ha portato in salvo, attraverso il deserto, in motocicletta, è la priorità per tutti, proprio tutti.
Nel suo racconto cita più volte la difficoltà in cui si trovano, anche nella sua città, gli alawiti, la comunità alla quale appartenevano gli Assad e molti gerarchi della sua sicurezza e quindi sovente al centro di vendette, o di rastrellamenti.
Non sono solo loro ad avere bisogno di sicurezza, tutta la popolazione vive in una situazione ancora di precarietà, di incertezza. Fame, ruberie, gruppi armati, provocazioni, e ovviamente le vendette appena citate.
Il vescovo e il mufti: tutti cittadini
Indubbiamente, racconta, le cose vanno meglio ai checkpoint, dove il rifondato esercito siriano si dimostra cortese e gentile con la popolazione – e questo è il primo punto positivo che emerge rispetto al passato, anche recente; ne dà atto volentieri alle nuove autorità siriane. Ma quando si tratta di ricerche, di sospetti o di armi, la gentilezza sparisce e subentrano altri comportamenti, che sovente sfociano nella vendetta, nell’arbitrarietà.
Le persistenti incertezze sullo scioglimento di tutte le milizie nel nuovo esercito rendono il quadro molto incerto per tutti, visto che le milizie sono diverse e rispondono a diversi e anche confliggenti attori politico-confessionali.
Lo raggiungo che ha appena concluso un lungo incontro con il mufti, cioè il giureconsulto musulmano autorizzato dal governo a emettere responsi dottrinali su questioni di legge civile e religiosa.
Hanno discusso di questo e di molto altro per ore e racconta che il mufti gli ha detto che bisogna smetterla di suddividersi in termini comunitari, ma considerarsi tutti cittadini. Lui ha convenuto, ma ha osservato che l’autorità è ancora espressione di una sola parte politica, quella che ha preso il potere liberando il Paese dalla tirannia degli Assad, mentre servirebbe una rappresentazione plurale, inclusiva, anche per accrescere la sicurezza.
Il mufti ha fatto presente che dopo 50 anni di tirannia la Siria ha intrapreso un nuovo cammino da soli due mesi, occorre tempo: “purché non sia troppo”, gli ha risposto padre Mourad. Probabilmente il mufti indica una realtà, padre Jacques l’urgenza di accelerare per cambiare davvero indirizzo, scegliendo la legalità.
Eliminare le sanzioni
Per riuscirci l’aiuto che potrebbe venire dall’Europa è quello di togliere le sanzioni. Stiamo entrando nella complessità, nell’intreccio dei problemi: la sicurezza, le vendette, la miseria che piega le coscienze, mette alla mercé di poteri illegittimi, a volte del malaffare.
E nell’incertezza del quadro politico le milizie rimangono, resistendo alla richiesta di confluire nell’esercito nazionale; le vendette proseguono minando la fiducia, la coesistenza e quindi gli sforzi di ripartire.
Così padre Mourad conviene con quanto indicato poche settimane dopo la caduta del regime, il 29 dicembre, nel comunicato congiunto dei tre patriarchi residenti a Damasco: vi raccomandavano all’Europa di togliere le sanzioni per aiutare i bisogni primari della popolazione che è molto spesso sotto la linea della povertà estrema e sospingere “con argomenti convincenti” le autorità della nuova Siria a dotarsi di un sistema inclusivo, di una Costituzione democratica, pluralista, superando le resistenze che pur avranno a procedere su questa strada, o sentirsi in dovere di farlo, costruendo i veri diritti di cittadinanza per tutti.
Dopo 50 anni di dittatura il rischio di tornare ai vecchi metodi, al sistema Assad, non può che essere considerato un rischio concreto, esistente. È solo una visione d’insieme, libera da pregiudizi ma anche da facili illusioni, che può aiutare ad andare nella direzione nuova.
La parola al popolo di Dio
Ma sebbene condivida il senso e il contenuto del comunicato, giunto a ridosso della caduta del regime, padre Jacques non nasconde che lui ha un sogno diverso, un sogno per lui decisivo perché aiuterebbe i cristiani a essere quel che possono essere nella nuova Siria: questo sogno si chiama unità e “sinodalità”.
Dice con forza che siamo nell’epoca della sinodalità e quindi di credere che non sia il clero a doversi esprimere sulla politica – “noi non capiamo nulla di politica” dice testualmente: è il popolo di Dio che deve confrontarsi, esprimersi, indicare, concordare. Sono gli uomini e le donne, i giovani e gli anziani, che formano le comunità cristiane a dover discutere e a doversi esprimere. Così i cristiani di Siria diventerebbero quel che possono essere in Siria e per la Siria.
Non si può fare tutto di corsa, bisogna rispettare i tempi, nella velocità, enormità e drammaticità degli eventi; così mi sembra che pur ritenendo quel comunicato ineccepibile e opportuno in quel frangente, in quel momento, senza il sogno della sinodalità si rimarrebbe nel passato, che non funziona.
Gli occhi dei giovani
Quando il regime stava per cadere e gli insorti entrarono ad Homs, ultimo bastione governativo prima di Damasco, lui nella prima omelia che pronunciò si raccomandò di non avere paura di quei giovani che arrivavano in armi, avvolti in abiti strani, inquietanti. Raccomandò ai fedeli di guardare negli occhi questi giovani che stavano compiendo il loro jihad per liberare il loro Paese…
Non bisognava averne paura, ma vedere l’uomo, gli uomini. La sua certezza è che oggi i cristiani hanno un ruolo da svolgere: creare la sinodalità, vivere la sinodalità e trovare l’unità in Siria e per la Siria – è questa a suo avviso la sfida dell’oggi per consentire ai cristiani di svolgere il ruolo che possono e devono.
Nella situazione odierna però prevalgono miseria, carenze e insicurezza, si è scossi da paure e vendette. Un esempio: migliaia di ex funzionari pubblici sono stati licenziati, rimasti senza neanche un misero salario. Nell’indigenza si danno ai furti, alle rapine, per sopravvivere. Un’altra fonte di violenza.
Di qui torna all’esigenza di sicurezza per tutti e conclude dicendo che quello della sinodalità realizzata è un sogno possibile perché mentre in passato i cristiani vivevano nella paura, oggi si dimostrano spesso coraggiosi, non hanno più paura. E questo va fatto valere, è un bene utile per tutta la società. Un altro ricordo mi è apparso connesso con questo “non aver paura”.
Nel palazzo prefettizio di Homs giunse, poco dopo la caduta del regime di Assad, un responsabile nominato dalla nuova leadership, che si recava in ufficio armato: tutti erano intimoriti, ma fu un cristiano a dirgli che se lui stava lì col fucile loro non potevano lavorare come avrebbero dovuto.
Fatti, non parole
Problemi così gravi e intrecciati non si risolvono nascondendoli, ma affrontandoli. Per questo lui ricorda di aver scritto all’Unione Europea sollecitando un progetto concreto: l’invio di prefabbricati, perché accanto alla sopravvivenza nella sicurezza l’altra emergenza è quella abitativa.
Ma la ricostruzione che dovrà venire non dovrà essere uguale alla costruzione che c’era, sovente priva dei requisiti fondamentali, come sicurezza antisismica, acqua potabile ed elettricità. I prefabbricati offrirebbero una soluzione all’emergenza immediata rendendo possibile avviare una ricostruzione migliore, possibilmente rapida ed estesa a tutti.
E così si torna alla sicurezza, imprescindibile per avvicinarsi alla stabilità. Ecco l’intreccio tra aiuto economico, rimozione delle sanzioni e riforme politiche.
Verso una nuova Costituzione
Il processo di riscrittura della Costituzione è stato avviato e si è deciso di dar vita a un Consiglio Nazionale rappresentativo di tutti i segmenti sociali per dar vita a una Siria plurale. Ma la sua constatazione è che il processo di confronto costituzionale è ancora bloccato e in questa situazione di attesa occorre onestà e chiarezza.
Lui non si sottrae al dovere e dice chiaramente che per onestà va riconosciuto all’attuale leadership siriana il merito di aver abbattuto il regime degli Assad, restituendo ai siriani la loro libertà dopo un arco temporale così lungo. Questo è un merito che all’attuale leadership va riconosciuto e che nulla può far dimenticare.
Ma come questo va detto per chiarezza, va detto anche, per onestà, che alle parole ancora non seguono i fatti: le parole della nuova leadership sono belle, i fatti no, i segnali concreti di un indirizzo positivo non ci sono. Un esempio: chi guida la magistratura ad Homs ha studiato legge islamica, ma non ha titoli giuridici.
Oggi la leadership siriana è ancora un monocolore espressione della forza che ha preso il potere, a tutti i livelli, mentre serve al più presto inclusività e pluralismo. Questa svolta è quella che consentirebbe anche a molti siriani espatriati di tornare, cioè di potersi fidare. Molti, ricorda, sono fuggiti, anche per sottrarsi a una leva che obbligava a combattere, contro i propri i fratelli, fino all’età di quarant’anni.
Oggi questo non c’è più, ma occorre che si lavori davvero a un nuovo quadro costituzionale e democratico che invogli chi è fuggito, o dovuto fuggire, a tornare. Altrimenti se le cose andassero troppo per lunghe la gente, anche i cristiani tra di loro, prenderanno altre strade. Non si aspetta in eterno.
Riconciliazione
Altro elemento cruciale e altrettanto complicato è quello della riconciliazione. Un processo non facile da gestire: il dolore patito da troppi per le sevizie, i lutti, le offese, è talmente profondo che non è facile metterlo a confronto con altri problemi, altre difformi paure o difficoltà.
Chi ci prova, ad esempio, proprio ad Homs, sono i gesuiti che organizzano incontri intercomunitari estremamente importanti e fruttuosi, ma anche molto limitati, perché non è facile gestirli se non con chi ha gli strumenti per entrare già adesso nel confronto.
Le ferite sono ancora sanguinanti, profonde, gli basta ricordare gli sguardi dei suoi concittadini rientrati dopo anni trascorsi forzatamente nei campi profughi per sentirsi sicuro che rimuovere sarebbe un errore, ma anche maturare la forza per affrontare fisicamente, personalmente, chi si ritiene sia stato dalla parte del torto non è facile; occorre accompagnamento nel tempo.
Guardando al futuro prossimo, per così dire, per confidare in progressi nel processo di ricostruzione costituzionale, padre Jacques ritiene che il banco di prova che andrebbe pensato e deciso in tempi stretti è quello di libere elezioni presidenziali.
Elezioni vigilate, con osservatori e garanzie, soprattutto con tanti candidati, che indichino il desiderio che la Siria che verrà sia plurale come la scheda dei candidati alla Presidenza della Siria, finalmente decisa a diventare di tutti i siriani. Concludendo la conversazione considero che il tempo passato dalla caduta di Assad è poco, i segnali di svolta anche.