Migranti: tra impotenza e propaganda

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In ogni crisi economica, scatenata da crac bancari o da conflitti regionali, la politica degli Stati tende a scaricare sui migranti la causa di tutti gli squilibri. Il numero per nulla “biblico” degli arrivi di questi ultimi mesi in Italia non fa altro che confermare tale inclinazione, legittimando il diffondersi di irrazionali reazioni collettive.

Le rilevazioni dell’Agenzia Europea Eurobarometer, eseguite quest’anno per conto della Commissione Europea, dicono che, per i cittadini dell’Unione, la preoccupazione maggiore è rappresentata dal crescente aumento del costo della vita e dell’inflazione nel 27% dei casi, (-5% rispetto alla precedente rilevazione); al secondo posto viene la situazione internazionale dovuta al vicino conflitto Russia-Ucraina col 25% (- 3%); al terzo segue la situazione dei flussi migratori da Paesi terzi col 24% (+7%).

Seguono la crisi ambientale col 22% (+ 2%) e la crisi energetica, passata, in un anno, dal terzo al sesto posto col 16% (-10%).  La preoccupazione suscitata dai movimenti migratori supera i problemi riguardanti la salute e la sanità col suo 14%. Gli unici dati in vistoso aumento negli umori europei sono dunque quelli riferiti all’immigrazione e, in misura minore, al cambiamento climatico: due temi strettamente connessi a livello globale.

In cerca di consenso

Tutti i governi dei singoli Paesi dell’Unione fiutano l’aria dei consensi e perseguono con solerzia e malcelato impegno una campagna politico culturale in grado di mettere in sordina il disagio economico e la paura della guerra, per soddisfare le derive identitarie e xenofobe, amplificandole.

Il tragico teatrino delle frontiere-cerniera a nord delle Alpi, sottolinea la pochezza delle capacità di lettura obiettiva degli eventi, che non possono essere ridotti a dimensioni strapaesane, perché coinvolgono tutta l’Europa e gli stessi continenti. Le polemiche sull’immigrazione rappresentano una manna per le menti incentrate sui propri cortili di casa, mentre tutto il resto è in rapida evoluzione.

Nel 2022 i Paesi UE, più Svizzera, Norvegia, Islanda e Lichtenstein, hanno visto 996.000 arrivi di migranti. In Italia le domande di asilo presentate sono state 77.195, 217.750 in Germania, 137.505 in Francia e 116.140 in Spagna. Non sono numeri che possono legittimare i discorsi della “sostituzione etnica”.

In questi giorni, oltre all’immancabile appello di papa Francesco in viaggio verso Marsiglia per partecipare agli Incontri del Mediterraneo, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e il suo collega tedesco Frank-Walter Steinmeier, sono intervenuti sulla questione della pressione migratoria verso le coste italiane e sulla difficoltà di promuovere processi di redistribuzione solidale dei nuovi arrivati nei Paesi dell’Unione: ambedue hanno detto che i Regolamenti Dublino 1,2 e 3 sono ormai “preistoria” e che andrebbero superati: proposta-necessità già emersa in passato e che ha visto il governo Conte-Salvini rifiutare ogni cambiamento.

Europa stato di arrivo

È irrazionale continuare pensare che, chi entra da un confine esterno dell’Unione, non cerchi di ricongiungersi con familiari e parenti. E il primo “Stato” di arrivo è ormai l’Europa intera: non solo Italia, la Francia o l’Austria, ed è quindi l’Europa che deve darsi meccanismi condivisi e solidali. I Regolamenti di Dublino – leggi dell’Unione – rispecchiano la frammentazione e lo scollamento tra le istituzioni nazionali e quelle europee. D’altra parte, il puzzle Europa non rappresenta quella struttura statuale compiuta, perché è oggi l’intersecarsi degli interessi particolari che ogni Stato difende alla sua maniera.

Basti pensare che una delle condizioni per candidarsi all’ingresso nell’Unione Europea è costituita dalla capacità dello Stato richiedente di rendere le proprie frontiere impenetrabili ai non autorizzati: impegno dichiarato da tutti, ma impossibile da rispettare, a meno di militarizzare i confini e di sigillare pure le frontiere tra gli Stati membri: un assurdo inqualificabile.

Sono state perciò inventate le frontiere mobili o delocalizzate, così come era stato già stato fatto per i distretti produttivi.

Negli anni ’80 del secolo scorso la Germania unificata ha accolto circa 2 milioni di tedeschi russi o dei Paesi dell’Est, ma ha finanziato la Polonia perché bloccasse i passaggi di stranieri extraeuropei che avrebbero voluto raggiungere la Bundesrepublik.

Il sistema si è raffinato nel tempo a suon di miliardi di euro. Un tentativo maldestro è stato quello di dichiarare luoghi sotto sovranità territoriale quegli spazi extraterritoriali non tenuti a rispettare le richieste di protezione internazionale. Pochi forse ricordano come all’aeroporto di Parigi, alla fine degli anni ’80 del Novecento, esistesse un albergo dichiarato extraterritoriale dal governo francese.

Una denuncia del GISTI, Gruppo di Sostegno ai Diritti degli Stranieri, ha portato alla condanna del governo francese e al risarcimento dei detenuti illegalmente nell’albergo. E tuttavia questo è un escamotage a cui, ancora oggi, diversi Stati pensano di far ricorso.

Il business governativo dei migranti

Ogni crisi politica o umanitaria a sud o a est dell’Europa ha rappresentato un buon business per i Paesi di transito dei disperati della terra: una fidelizzazione monetizzata dei despoti. I Memorandum con la Libia o il Piano Mattei lanciato dall’attuale governo nel tentativo di sedurre Kaïs Saïed o le bande criminali libiche, così come i miliardi europei erogati alla Turchia e alla Bosnia, non hanno ottenuto i risultati attesi. Anzi, gi accordi sono andati al rialzo in un vortice ricattatorio da cui non si può uscire. Intanto, migliaia di esseri umani affondano nella melma della diplomazia o, meglio, della mancata diplomazia.

È la malasorte toccata a tutti i governi di questi ultimi vent’anni: da Berlusconi-Maroni a Gentiloni, da Minniti a Conte-Salvini. Ora la sorte tocca a Giorgia Meloni. Ora l’unico frutto avvelenato degli accordi è la detenzione, la tortura e la morte di migliaia di esseri umani, disarmati e per nulla pericolosi, sia per l’Europa che per l’Italia.  Si è preferito delocalizzare gli spazi del controllo affidandolo a bande criminali

Le disposizioni detentive – oggi di nuovo sbandierate – nei confronti di chi tenta di entrare in Italia sono vecchie e stantie: misure lise e senza alcun effetto significativo.  I famosi CPR (Centri di permanenza per il rimpatrio) hanno la loro origine nella legge286/1998, la Turco-Napolitano, allora erano CPT (Centri di Permanenza Temporanea), e prevedevano permanenze di 30 giorni, rinnovabili per altri 30, in caso di difficoltà di riconoscimento della cittadinanza del migrante. Tali Centri furono poi rinominati C.I.E. (Centri di Identificazione ed Espulsione) da parte della legge Bossi-Fini (189 del 2002), che altro non era che la modifica della 286 introducendo il trattenimento a 60 giorni. Tuttora, chi non lascia il territorio dopo il decreto di espulsione viene colpito da un’ammenda e, se reitera la non-ottemperanza, è condannato a 4 anni di reclusione.

Il pacchetto sicurezza (Legge 94 del 2009), con Ministro dell’interno Roberto Maroni, ha introdotto la possibilità di trattenere lo straniero sino a 180 giorni. La stessa legge ha introdotto il reato di immigrazione clandestina che prevede un’ammenda da 5.000 a 10.000 euro per lo straniero “illegalmente entrato in Italia”.

Infine – rinominati C.P.R., i Centri di Permanenza per il Rimpatrio della legge Minniti-Orlando,  (446/2017) con a capo del governo Paolo Gentiloni – la norma nazionale ha previsto l’istituzione di un C.P.R. in ogni Regione: da 4 C.I.E. a 20 C.P.R., dunque.

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Governo Meloni: vecchie novità

I nuovi C.P.R. annunciati dal capo del governo Giorgia Meloni riprendono quel percorso, aumentando il trattenimento dei migranti sino a 18 mesi (!) e proponendosi di completare il piano di attuazione di un Centro per ogni Regione.

Ma ogni tentativo di dare ragionevole legittimazione a tali dispositivi si è rivelato inutile, per gli alti costi alti sia di realizzazione che di gestione, sia degli apparati di sicurezza e di ri-accompagnamento in caso di espulsione coatta, peraltro a raffronto dei numeri – risibili – degli effettivi rimpatri realizzabili.

Se gli ipotizzati 20 CPR contenessero le 80-100 unità indicate dalla legge Minniti-Orlando, vorrebbe dire avere circa 2.000 ospiti-giorno, con un costo medio, a circa 60 euro al giorno: 32.000 euro per ogni trattenuto, a cui aggiungere almeno 3.000 euro per ogni singolo ri-accompagnamento.

Il ministro Piantedosi calcola di poter ri-accompagnare a casa il 50% dei trattenuti: se questo obiettivo venisse raggiunto, bisognerebbe calcolare, da subito, un costo di circa 3 milioni. Le previsioni di spesa dell’attuale governo vanno ben oltre, posto l’ambizioso programma di espulsioni di massa: una barca di soldi, per trattenere persone che non hanno commesso reati di alcun genere.

Le espulsioni coatte esigono il consenso dei Paesi di partenza. Attualmente esistono accordi solo con la Tunisia (sic!), con l’Egitto e l’Albania. Altri accordi – detti di “polizia”, non trattati bilaterali – sono stati fatti col Senegal, la Nigeria, il Gambia e la Costa D’Avorio.  Per il resto, le difficoltà di rimpatrio sono enormi, già a partire dall’identificazione.

Il recente DL nr. 124 del 19 settembre 2023, prevede all’art. 21, comma 3, di affidare al Ministero della Difesa – Genio Militare – la costruzione di 10 nuovi CPR, sottolineando che «tali opere sono dichiarate di diritto quali opere destinate alla difesa e sicurezza nazionale»: una dichiarazione di guerra ai richiedenti asilo? L’ossessione nazionale all’internamento dei migranti sta raggiungendo il suo apice. Il richiamo alla direttiva europea 2013/33, Norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, fatto nel Decreto in questione, non tiene conto di tutte le norme di tutela della dignità e del rispetto delle persone con cui la direttiva obbliga.

La furbizia governativa ha introdotto il “principio di fideiussione bancaria o polizza assicurativa”, nei fatti una cauzione quantificata in 4.938 euro, con cui i migranti potrebbero evitare l’internamento. La singolare norma si trova nel decreto del Ministero dell’Interno del 14 settembre 2023, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 21 settembre 2023.  Il DL è firmato dal ministro dell’Interno Piantedosi, dal ministro della Giustizia Nordio e dal ministro dell’Economia e delle finanze Giorgetti.

L’dea si appoggia su precedenti disposizioni, quali il trattenimento dei richiedenti asilo (DL   142 /2015) e la direttiva del Ministero dell’interno del 1° marzo del 2000 circa l’obbligo dei datori di lavoro di accollarsi i costi di eventuali rimpatri di propri dipendenti irregolari. Tale cauzione, ritenuta congrua per un trattenimento della durata massima di 4 settimane, prevede la dimostrazione della disponibilità di un alloggio adeguato sul territorio nazionale, della somma occorrente per il rimpatrio e dei mezzi di sussistenza minimi necessari al sostentamento della persona. Tale impegno finanziario deve essere sottoscritto dal diretto interessato senza intermediari di qualsiasi genere.

È facile pensare che tale disposizione non farà altro che incrementare gli affari dei trafficanti di esseri umani, che nel pacchetto, all inclusive, inseriranno anche i probabili costi delle fideiussioni bancarie, rafforzando i nuovi sistemi di ricatto e di rapina ai danni dei disperati della terra.

E poi: chi sbarca ha in tasca circa 5 mila euro? Se non li ha in contanti, che si fa? Chi è in grado di fare una fideiussione bancaria senza documenti? Il buon senso suggerirebbe di porre fine a questi strumenti propagandistici – ma che pure possono produrre vere sofferenze e discriminazioni – senza raggiungere alcun obiettivo.

Politiche migratorie

Mentre una politica semplicemente assennata potrebbe/dovrebbe:

  1. rivedere le opportunità del rilascio dei visti di ingresso a cittadini che abbiano competenze necessarie al sistema economico nazionale, abbandonando le pratica fallimentari delle quote, dei flussi, delle sanatorie (con tanto di click day);
  1. facilitare le procedure dei ricongiungimenti familiari anche di persone maggiorenni, facilitando il legittimo diritto a vivere in famiglia;
  1. estendere l’applicazione della direttiva europea nr. 55/2001, adottata per i milioni di profughi ucraini, pure ai cittadini che provengono da aree manifestamente insicure, in conflitto, ovvero da territori colpiti da catastrofi naturali: consentire 2 anni di presenza regolare è senz’altro meglio che trattenere per 18 mesi le persone in modo infruttuoso;
  1. permettere la regolarizzazione permanente e continua per i singoli o le famiglie che abbiano acquisito una stabilizzazione e un inserimento nel tessuto socioeconomico nazionale.

L’Italia e l’Europa, se vogliono avere un futuro, sia in fatto di politica internazionale che di economia globale, devono tessere relazioni convenienti, soprattutto con l’Asia e con l’Africa. L’Asia è un continente demograficamente ed economicamente determinante su tutti i mercati e a tutti i livelli; l’Africa, con la sua popolazione giovane – età media sotto i 20 anni! – ha un potenziale umano enorme e in crescita, in fatto di acquisizione di competenze in tutti gli ambiti della tecnica e del lavoro.

Un vero Piano Mattei per l’Africa – se proprio lo si vuol chiamare così – dovrebbe negoziarne i contenuti con i Paesi di partenza dei giovani migranti. Un tentativo era stato fatto con la proposta della sottoscrizione del Global Compact for Migration, un patto votato all’ONU il 19 dicembre del 2018, in vista di flussi migratori in sicurezza.

Tale iniziativa è stata snobbata dall’Italia e da buona parte dell’Europa. Senza un agreement internazionale non si riesce a dare legittimazione oggettiva al diritto di migrare. Il gioco maniacale dei respingimenti o degli internamenti non fa altro che alimentare il rancore e la rabbia. E lo vediamo.

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2 Commenti

  1. Pietro 3 ottobre 2023
  2. Maria Luisa Fappiano 3 ottobre 2023

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