Sguardi africani sull’Africa /2

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Il numero di ottobre della rivista africana J’écris, Je crie (qui la versione francese in PDF) entra in dialogo con l’articolo di SettimanaNews «Le due Afriche» pubblicato nel settembre scorso, segnando così un ulteriore passo della collaborazione fra le due riviste.

Version française ci-dessous

Si dice spesso che lo sciovinismo è un tratto umano. L’attaccamento alla propria terra d’origine, alle proprie origini, è un sentimento di simbiosi adamitica (appartenenza e origine lette in relazione alla propria terra d’origine) e di identità e autenticità culturale. Questo, lo ripetiamo, è un tratto umano.

Tuttavia, va notato che questo attaccamento alla terra d’origine viene apprezzato in modo diverso. Per alcuni è un punto di partenza per il processo di apertura agli altri in un mondo del “dare e ricevere”, dove c’è il grande rischio di diluire lo zucchero della propria identità nell’unguento liquido della globalizzazione. Il risultato sono società inautentiche, culturalmente non al passo, mendicanti dei valori (valori adottati acriticamente) di altri popoli, con tutte le conseguenze del caso: la depigmentazione della pelle, il dramma dei migranti, la diffusione dell’omosessualità e del nudismo, ecc.

Per altri, un’eccessiva enfasi sulle radici originarie dei popoli, sul loro legame con la terra, sarebbe un ostacolo alla convivenza tra i popoli che, come affermano i sostenitori di questa tendenza, è diventata essenziale per l’instaurazione e il mantenimento della pace nel mondo.

Qual è dunque la posizione di J’écris, je crie, a nome della quale vi inviamo questo decimo numero?

Siamo una rivista che fornisce informazioni critiche sull’attualità mondiale e africana, tutte lette dalla Repubblica Democratica del Congo. Il nostro punto di partenza è quindi l’Africa. Meglio ancora, ci siamo posti la sfida di leggere l’Africa e il mondo con lenti e occhi africani, di lavare via la storia discriminatoria del continente, di mettere da parte i pregiudizi e le fughe dalla responsabilità, per aiutare l’Africa ad assumersi la responsabilità di se stessa, a guarire le sue ferite, a riconciliarsi con il mondo e a riprendere la strada del pieno sviluppo.

Sulla scia delle grandi riviste (Conscience africaine, ad esempio) e delle grandi icone del continente africano che hanno cercato di pensare storicamente e politicamente l’Africa (Cheikh Anta Di-op, Nkwamé Kroumah), J’écris, je crie vuole essere una voce, un appello a una coscienza africana fondata sull’appartenenza a una terra, una terra che deve pensare se stessa contro ogni confinamento, una terra che deve ora imparare a partire dalle sue forze per costruire il suo destino, una terra che deve riscoprire se stessa sull’esempio della vibrante ingiunzione di Nietzsche: «Diventa ciò che sei».

  • Blaise Mukama, scrittore congolese, è segretario della redazione della rivista J’écris, Je crie.

L’ideologia politica nota come autenticità in Zaire è una delle principali cause dei cambiamenti lessicali nel linguaggio politico. Nell’ambito di questa ideologia, sono stati cambiati i nomi di persone, luoghi e cose. I nomi cristiani di origine occidentale sono stati abbandonati a favore di nomi di origine congolese; gli oggetti e le persone sono diventati tutti zairesi.

Dal 1971, l’autenticità è diventata sì una parola popolare in Zaire, ma è rimasta anche molto ambigua: denota una filosofia politica, un metodo, un principio. Il termine è diventato uno slogan, un concetto che potrebbe essere definito d’eccezione. È diventato l’ideologia del Mouvement Populaire de la Révolution, il partito politico creato dal presidente Mobutu per sostituire tutti gli altri partiti già esistenti nel Paese.

Questo approccio nazionale è stato spesso presentato come uno sconvolgimento perché comporta cambiamenti radicali. Ma, in realtà, lo sconvolgimento era stato la colonizzazione. Si cercava di creare un’ideologia che cancellasse le tracce di questo sconvolgimento coloniale e ripristinasse i nostri valori. Non si trattava affatto di un ritorno all’epoca precoloniale, ma di un ritorno ai valori che erano stati distrutti dalla colonizzazione. Non si trattava di cancellare una parte importante della storia del nostro popolo, che era stata caratterizzata dal dominio coloniale e, su scala globale, dal progresso scientifico e tecnologico. Tutto questo doveva essere accettato, ma trasceso dalla nostra autenticità. Per questo motivo, il ricorso all’autenticità è una scelta, non un mero ritorno al passato senza consapevolezza critica.

Essere autentici significa essere sé stessi, avere un’anima originale, libera da ogni alienazione, sentirsi nel proprio Paese come al centro dell’universo. Il generale Mobutu Sese Seko ha riassunto tutto quando ha detto che l’autenticità è universale.

Nel mondo di oggi, così com’è, non abbiamo tempo di aspettare gli effetti di una lenta evoluzione, mentre problemi pressanti ci assalgono da ogni parte. Il mondo sta cambiando, tutto si muove molto velocemente e per recuperare il ritardo dobbiamo muoverci ancora più velocemente. E dobbiamo correre con le nostre gambe, non con quelle degli altri.

Per ritrovare la propria autenticità, gli zairesi hanno adottato un approccio deliberato e consapevole, sostenuto da azioni fondamentali, segni visibili e un nuovo vocabolario. L’autenticità deve penetrare nella coscienza di ogni cittadino, e questo si può fare solo con molta persuasione e insistenza, e moltiplicando le manifestazioni esteriori che catturano l’immaginazione e i cuori.

Questo approccio dimostra che le parole sono azioni e che il potere del verbo è insostituibile. Cambiando le parole, cambiamo le cose. Sappiamo tutti che le parole hanno un contenuto emotivo che si lega a esse e rimane indelebile. Gran parte del nostro vocabolario è stato creato dai colonizzatori con un contenuto specifico che è stato impiantato nella mente delle persone. Essere autentici ci aiuta a essere fedeli a noi stessi e a fidarci delle nostre decisioni. Le persone autentiche non si lasciano influenzare dagli altri, seguono il proprio percorso e sono consapevoli di ciò che vogliono o non vogliono.

Attualmente viviamo in un mondo di quasi totale dipendenza da altre culture, che si fanno beffe della nostra. Le grandi decisioni sono prese da altre persone, anche se le decisioni sarebbero prese direttamente da noi. Il nostro popolo viene decapitato, le nostre proprietà saccheggiate, i nostri minerali rubati sotto i nostri occhi innocenti. Prendiamoci cura di noi stessi, dei nostri fratelli, del nostro ambiente e del nostro Paese. L’aiuto non può mai venire da altrove. Questa è autenticità.

  • Furaha Apipawe studia economia presso Université Catholique du Graben (Butembo), ed è redattrice della rivista J’écris, Je crie.

Le chauvinisme est le propre de l’homme, dit-on souvent. L’attachement à sa terre natale, à ses origines est un sentiment de symbiose adamique ( appartenance et origine lue en lien avec sa terre d’origine ) et d’authenticité identitaire et culturelle. Ceci, redisons-le , est le propre de l’homme.

Néanmoins, il sied de noter que cet attachement à la terre de ses origines est appréciée différemment. Pour les uns, il est un point de départ au processus de l’ouverture à l’autre homme dans un monde du ” donner et du recevoir “, monde où est grand le risque de diluer le sucre de son identité dans de liquide-macédoine de la mondialisation. Partant, des sociétés inauthentiques, dephasées culturellement, mendiantes des val-eurs ( valeurs adoptées sans sens critique )des autres peuples avec toutes les conséquences actuelles : depigmentation de la peau, drame des migrants, expansion de l’homosexualité et du nudisme,…

Pour les autres , trop insister sur l’encrage originel des peuples, leur lien à la terre serait un frein à la cohabitation des peuples devenue, comme le prônent les partisans de cette tendance, incontournable pour l’instauration et le maintien de la paix dans le monde.

Cela étant, l’on se demanderait : Quelle est la position de “J’écris, je crie ” pour le compte duquel nous vous adressons ce dixième numéro ?

Nous sommes une magazine de critique informationnelle de l’actualité du monde ,de l’Afrique, le tout lu à partir de la République Démocratique du Congo. Ce faisant, nous partons de l’Afrique. Mieux, nous nous sommes lancés le défi de lire l’Afrique et le monde avec des loupes et lunettes africaines, de laver l’histoire discriminée de ce continent, de nous mettre à côté des préjugés d’un côté et des fuites de responsabilité de l’autre envue d’amener l’Afrique à s’assumer, à panser ses blessures, à se réconcilier avec le monde et repartir sur le chemin de son développement intégral.

En se plaçant dans le sillage des grandes revues ( Conscience africaine, à l’occurrence ) et des grandes icônes du continent africain qui ont tenté de penser historiquement et politiquement l’Afrique ( Cheikh Anta Di-op, Nkwamé Kroumah ), “J’écris, je crie ” se veut une voix, un appel à une conscience africaine fondée sur l’appartenance à une terre, une terre qui se doit se penser contre quelque enfermement à la monade, une terre qui doit désormais apprendre à partir de ses forces pour bâtir son destin, une terre qui se redécouvrir à l’instar de cette vibrante interpellation de Nietzsche : “Deviens ce que tu es “.

  • Par Blaise Mukama.
L’AUTHENTICITE MOBUTISTE : QUEL AP-PORT AUJOURD’HUI ?

L’idéologie politique appelée authenticité au Zaïre est l’une des causes principales de modifications lexicales intervenues dans le langage politique. C’est dans le cadre de cette idéologie qu’on a procédé au changement des noms des personnes, des lieux et des choses. On a renoncé aux prénoms chrétiens d’origine occidentale pour reprendre les noms d’origine congolaises ; les objets et les lieurs deviennent tous Zaïre.

Authenticité est devenu au Zaïre, depuis 1971, un mot populaire mais qui est resté très ambigu : il désigne en même temps une philosophie politique, une méthode, un principe. Ce terme est devenu un slogan, un concept qu’on qualifierait d’exceptionnel. Il est devenu une idéologie du Mouvement Populaire de la Révolution, parti politique créé par le président Mobutu en remplacement de tous les autres partis qui existaient déjà au pays.

On a souvent présenté cette démarche nationale comme un bouleversement parce qu’elle se traduit par des changements radicaux. Mais, en fait, le bouleversement avait été la colonisation. Nous nous faisions ainsi une idéologie qui effacerait les traces de ce bouleversement colonial et nous restituerait nos valeurs propres. Il ne s’agissait en aucune façon d’un retour à l’époque pré-coloniale mais d’un recours aux valeurs qui avaient été anéanties par la colonisation. Il n’était pas question de supprimer une tranche importante de l’histoire de notre peuple qui avait été caractérisée par le fait colonial et, sur le plan mondial, par le progrès scientifique et technique. Tout cela devait être assumé, mais transcendé par notre authenticité. C’est pourquoi le recours à l’authenticité est un choix et non un retour à un passé qu’on adopterait en bloc sans examen.

Etre authentique, c’est être soi-même, c’est avoir une âme originale libre de toute aliénation, c’est se sentir dans son propre pays comme au centre de l’univers. Le général Mobutu Sese Seko résume tout cela en répétant que l’authenticité est universelle.

Dans le monde actuel, tel qu’il est, nous n’avons pas le temps d’attendre les effets d’une lente évolution alors que des problèmes pressants et formidables nous assaillent de tous côtés. Le monde est en mutation, tout va très vite et, pour prendre le train en marche, il faut courir plus vite encore. Et c’est avec nos jambes qu’il faut courir, non avec celles des autres.

Pour reconquérir son authenticité, le Zaïrois a donc adopté une démarche volontaire et consciente, appuyée par des actes fondamentaux, soutenue par des signes spectaculaires et par un vocabulaire nouveau. L’authenticité doit en effet pénétrer dans la conscience de chaque citoyen et cela ne peut se faire qu’en y mettant beaucoup de persuasion, beaucoup d’insistance et en multipliant les manifestations extérieures qui frappent l’imagination et les coeurs. Dans cette démarche, il apparaît que les mots sont des actes et que la puissance du verbe est irremplaçable. En changeant les mots, on change les choses. Nul n’ignore que les mots ont un contenu affectif qui s’attache à eux et reste indélébile. Or une grande partie de notre vocabulaire avait été constituée par notre colonisateur avec un contenu précis qui s’était implanté dans les consciences. Être authentique nous aide à être fidèles à nous-mêmes et à faire confiance à nos propres décisions. Les personnes authentiques ne se laissent pas influencer par les autres, elles suivent leur propre voie et sont conscientes de ce qu’elles veulent ou pas.

Nous vivons actuellement dans un monde de dépendance presque totale des autres cultures bafouant ainsi la nôtre. Les grandes décisions sont prises par les autres personnes, pourtant des décisions qui viendraient directement de nous. Notre peuple est décapité, nos biens pillés, nos minerais volés sous notre regard innocent. Prenons soin de nous-mêmes, de nos frères, de notre environnement de notre pays. Le secours ne pourra jamais nous venir d’ailleurs. C’est cela l’authenticité.

  • Par Furaha Apipawe.
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