Nogaro, un ministero di radicale mitezza

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nogaro

In un recente incontro di giovani seminaristi e presbiteri, alla domanda se qualcuno di loro conoscesse o avesse letto qualche scritto del padre Raffaele Nogaro, la risposta è stata totalmente negativa: nessuno ne aveva mai sentito parlare.

A questa rimozione, significativa dell’attuale sensus ecclesiae anche nella formazione dei giovani aspiranti al presbiterato, cerca di porre rimedio il volume curato da Sergio Tanzarella, storico e docente in diverse facoltà teologiche, intitolato Raffaele Nogaro, 90 anni di radicale mitezza (Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2024). Nel libro sono raccolti vari contributi che mettono a fuoco i principali aspetti in cui si è dispiegata la grande testimonianza evangelica di Raffaele Nogaro, prete friulano, poi vescovo di Sessa Aurunca nel 1983, vescovo di Caserta dal 1990 al 2009 e tuttora importante punto di riferimento per la città grazie alla sua vicinanza ai malati e alla sua straordinaria sensibilità per gli umiliati e offesi del nostro tempo.

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Una radicale mitezza

Lo svolgersi della sua esistenza, profondamente segnata dall’evangelo e abitata da una grande libertà rispetto a tutte le sovrastrutture istituzionali che lo hanno ingessato nei secoli («Oggi è necessario liberare Gesù» è il titolo di uno dei suoi ultimi scritti) è la testimonianza vivente di come la mitezza evangelica sia estranea all’attitudine della docile rassegnazione all’esistente e sia invece la coltivazione di uno sguardo attento, rispettoso, ma profondamente ribelle dinanzi all’ingiustizia sociale, alla violenza verso gli uomini e la natura, alla menzogna sistematica con cui vengono giustificate e promosse le guerre.

«Il vostro dire sia sì, sì, no, no» (Mt 5,37): a questa massima evangelica si è ispirato e ancora si ispira il suo vivere e il suo parlare, con una «parresia» estranea al linguaggio ecclesiastico sovente felpato e accomodante.

Un feudo della camorra

Il territorio casertano, negli anni Novanta, era segnato da una organica alleanza tra il partito dei cattolici (così veniva designata la DC) e le organizzazioni camorristiche, un abbraccio soffocante e profondamente condizionante, come si sa, le vite, il lavoro e persino la salute della popolazione.

Poteva la comunità cristiana, ancora invischiata nel collateralismo alla DC in nome della lotta al comunismo, accettare questa alleanza? «Caserta è immacolata, qua la camorra non esiste, non stia a parlarne»: così viene detto a padre Nogaro nel discorso di accoglienza come vescovo di Caserta.

E invece, annota Sergio Tanzarella nel suo contributo, «il vescovo farà da allora esattamente il contrario di quanto raccomandatogli e la denuncia della presenza della camorra e della sua guerra alla vita umana e all’ecologia diventerà il centro del suo impegno» (p. 78).

Significativa, benché poco conosciuta, la sua forte amicizia con un prete della vicina diocesi di Aversa, don Peppino Diana che ha trovato in Nogaro un ispiratore e un amico in vita e, dopo l’uccisione, un ostinato difensore dall’ondata di calunnie con cui camorra e molta stampa tentavano di infangarne la memoria (1).

Il contrasto alla camorra e ai suoi complici politici non poteva evitare il coinvolgimento del vescovo nella protesta contro la distruzione del territorio attuata nel casertano attraverso le cave e i cementifici, la proliferazione di discariche abusive, la cementificazione selvaggia.

Ben prima dell’enciclica Laudato sii, il vescovo Nogaro esprimeva indignazione, accompagnava e animava le proteste contro i veleni nelle discariche e invitava i politici locali all’autosospensione, se necessaria come forma di opposizione allo scempio che si andava compiendo.

Il saggio, sobrio e documentato di Maria Carmela Caiola illustra con chiarezza il valore di questa testimonianza che ancora oggi, coraggiosamente, continua.

La fabbrica della paura

La grande ondata regressiva di induzione alla paura e all’intolleranza nei confronti dei migranti, operante da decenni e oggi massimamente accettata e celebrata, è stata contrastata dal vescovo Nogaro sin dai primi anni in cui si andava manifestando, a partire proprio dal casertano, dove maggiore era la presenza di migliaia di migranti umiliati e sfruttati nel locale circuito economico.

Con uno sguardo lungimirante e storicamente ben fondato, Nogaro afferma che «l’immigrazione è un fenomeno irreversibile, è come le onde dell’oceano che non si possono fermare» e che «gli immigrati non sono invasori come pensano taluni politici o qualche prefetto, sono invece, prima di tutto, esseri umani che, se accolti bene, possono rivelarsi veri e propri integratori sociali» (2)

L’impegno di accoglienza e di tutela della dignità di uomini e donne migranti è vissuto dal padre Nogaro come una quotidiana urgenza evangelica in cui è personalmente coinvolto e il saggio di Anna Carfora ne illumina le motivazioni e le lungimiranti modalità di attuazione.

Di grande lucidità appaiono anche le critiche espresse sin dagli inizi alla legge Bossi-Fini, la madre ancora ben viva di tutte le normative razziste che si sono succedute negli anni successivi e che oggi hanno raggiunto un inedito livello di disumanità.

Confrontarsi con lo sguardo lucido e penetrante di padre Nogaro, oggi è ancora più urgente di trenta anni fa.

La menzogna delle «missioni di pace»

Come si sa, l’artificio linguistico delle «missioni di pace» ha contribuito non solo a eludere l’art.11 della Costituzione, ma ad ingannare e tranquillizzare la popolazione sulla giustezza e necessità delle guerre cui l’Italia ha partecipato negli ultimi trenta anni.

Il padre Nogaro, erede e continuatore dell’amico Tonino Bello, ha sistematicamente smascherato la menzogna, spesso condivisa dai partiti di maggioranza e di opposizione, che nascondeva sotto l’appellativo di «missione di pace», o di «guerra al terrorismo», o di «intervento umanitario» intenti di controllo economico e geopolitico delle risorse energetiche e ha promosso costantemente una educazione alla pace, anche attraverso un grande lavoro culturale di approfondimento svolto dall’Istituto superiore di scienze religiose casertano.

Sergio Tanzarella racconta in un saggio documentato e appassionato le critiche e persino le richieste arroganti di rimozione da parte del presidente della repubblica e del ministro degli interni, nel 2003, all’epoca della strage di Nassirya, quando le sue parole di critica alla retorica bellicista e patriottica di quei giorni furono falsificate e distorte nel loro significato.

A quell’episodio fece seguito, da parte dei vertici ecclesiastici italiani una esplicita richiesta di «dimissioni per motivi di salute» a cui padre Nogaro oppose un netto rifiuto, invitando i cardinali «inquisitori» a vergognarsi (3).

Una «teologia» dal vangelo

Nella testimonianza di padre Nogaro il vangelo viene compreso – scrive Fabrizio Mandreoli nel suo importante contributo – «come quello che avviene tra la persona di Gesù, il messia e coloro che in qualche maniera lo incontrano lungo la strada della vita» per cui «il nutrirsi del Vangelo inteso in questo senso diviene, a poco a poco, un modo complessivo di vedere la realtà, le persone, la storia e la relazione con il Vangelo, si fa quindi “teologia” intesa primariamente come modalità viva e autentica di sentire le cose e non tanto come disciplina accademica» (4).

La riflessione teologica che certamente Nogaro ha approfondito non può quindi esaurirsi in un «sistema di pensiero che tende a insabbiare la realtà, chiudendosi cosi» all’ascolto della vita degli uomini e delle donne e del mistero di Dio» (p. 25).

Gesù nel discepolo-scrive in una sua riflessione padre Nogaro «non cerca la dottrina, non cerca una religione, né particolari appartenenze istituzionali, ma solo l’amore» per cui «non vale l’uomo religioso o dotto, ma vale l’uomo che ha “gli stessi sentimenti di Gesù” (Fil 2,5)» (5).

Si tratta – scrive ancora Fabrizio Mandreoli – di una comprensione di Gesù molto concentrata su due aspetti: la via di Gesù, il suo percorso di vita, la sua modalità di annunciare la buona notizia del regno agli uomini e alle donne del proprio tempo, poi l’esperienza della fede, ossia il potere sperimentare che quel Gesù, ebreo che ha camminato per le strade della Palestina del primo secolo, può essere incontrato come persona viva nel proprio tempo, chiamando a seguirlo» (p. 26).

Dallo stile di Gesù può quindi derivare una visione della comunità dei discepoli, chiamata ad «essere per gli altri» e a non adagiarsi nella presunzione di «una chiesa identitaria, che garantisce la salvezza, che fa sentire i suoi fedeli migliori degli altri e più potenti».

In singolare sintonia con le sollecitazioni offerte diversi anni dopo da papa Francesco, padre Nogaro propone una chiesa che abiti «la frontiera che è fuori dal tempio per potere rendere Dio senza preferenze amico di ogni uomo» (6).


(1) Ai rapporti di amicizia di padre Nogaro con don Peppino Diana e alla testimonianza del vescovo durante il processo sono dedicate pagine importanti nel recente studio di Sergio Tanzarella, Don Peppino Diana, un prete affamato di vita, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2024.

(2) cf. R. Nogaro: «Ero straniero e mi avete accolto». Il Vangelo a Caserta, con O. La Rocca, Laterza, 2009, p. 85.

(3) La vicenda è descritta nel contributo di Sergio Tanzarella, «Condannare ogni guerra e volere la pace», p. 85.

(4) cf. Fabrizio Mandreoli: Il vescovo Nogaro: una “teologia” dal Vangelo, p. 25.

(5) cf. R. Nogaro, Diario del testimone, Il pozzo di Giacobbe, 2016, p. 9.

(6) cf. R. Nogaro, La faccia di Dio, introduzione di G. Dossetti, San Lorenzo, Reggio Emilia 1995, p. 67.

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