VI Istruzione sulla riforma liturgica: tre domande-chiave

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Come potrebbe essere una futura VI Istruzione per la attuazione della riforma liturgica? Per rispondere a questa domanda bisogna porre tre questioni, che possono essere sollevate solo dopo aver considerato la “storia” delle prime 5 istruzioni.

A. La storia delle prime 5 Istruzioni

Le cinque istruzioni segnano il cammino che, dal Vaticano II giunge fino a noi. Come è evidente dalla semplice lettura delle date di questi interventi magisteriali, tre di essi si concentrano nell’immediato post-concilio (1964-1970), accompagnando la primissima e delicatissima fase della attuazione, mentre le ultime due riguardano una fase diversa, molto più prossima a noi:

  1. Inter oecumenici (26 settembre 1964)

E’ la prima autorevole “guida applicativa” del dettato della Costituzione liturgica, che riprende in tutti i suoi numeri, dando una prima attuazione concreta sia ai criteri generali di attuazione della riforma, sia delle singole scelte da compiere circa l’eucaristia, i sacramenti e i sacramentali, l’ufficio divino e l’architettura. Il documento è caratterizzato dalla “doppia firma”, ossia quella della Congregazione dei riti e quella del Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, ossia dell’organo istituito da Paolo VI, con il motu proprio Sacram Liturgiam, del 25 gennaio 1964. Bisogna infine ricordare che il testo della prima istruzione fissava anche la storica data del 7 marzo 1965, prima domenica di quaresima, come inizio di una nuova prassi liturgica, per quanto ancora soltanto provvisoria.

  1. Tres abhinc annos (4 maggio 1967) (insieme a Musicam sacram e Eucharisticum mysterium

Nel giro di tre mesi, e con la stessa formula della “doppia firma”, viene pubblicata non solo la seconda Istruzione (4 maggio), ma anche l’Istruzione Musicam Sacram (5 marzo) e l’Istruzione Eucharisticum mysterium (25 maggio). Il testo sulla musica è, di fatto, una integrazione della prima Istruzione, che non ne aveva trattato. Mentre il testo sulla eucaristia si occupa semplicemente di armonizzare il culto eucaristico fuori della messa alla liturgia rinnovata. Quanto invece alla Instructio altera, essa costituisce “un doveroso ed energico richiamo” affinché l’attuazione della Riforma segua i criteri stabiliti dalla prima istruzione, intervenendo su singoli ambiti a seguito delle richieste di vescovi e ordinari. È la attestazione di una serie di difficoltà e anche di contestazioni della fase attuativa della riforma liturgica.

  1. Liturgicae instaurationes (5 settembre 1970)

E’ un documento di svolta. Il compiersi della riforma del Messale romano e la fine della attività del Consilium, che viene integrato nella nuova struttura della Congregazione per il culto divino, segnano due tappe fondamentali per la recezione di SC. Da un lato, il documento censura gli estremi opposti nella attuazione della riforma ( coloro che “veteris servandae traditionis causa, huiusmodi reformationes aegre acceperunt”, e quelli che “ad privata incepta…ad inventiones et additiones vel ad ritus simpliciores devenerint”) , dall’altro interviene su singole questioni (unità tra liturgia della Parola e liturgia eucaristica, l’indole della preghiera sacerdotale, i limiti del servizio liturgico femminile, la traduzione dei testi, le possibilità di esperimenti, ecc.). Nei sei anni che vanno dalla prima alla terza istruzione al grande cammino compiuto corrispondono l’emergere di tensioni e di difficoltà nella recezione concreta del grande disegno di SC. Le accuse di “desacralizzazione” e di “banalizzazione”, ricevendo risposta, toccano un nervo scoperto della sensibilità ecclesiale del tempo.

  1. Varietates legitimae (25 gennaio 1994)

Una generazione dopo: questo è il lasso di tempo che trascorre prima della nuova Istruzione. Essa fotografa, immediatamente, una condizione nuova, segnata profondamente dal pontificato di Giovanni Paolo II e dal suo carattere “itinerante”, che lo metteva a stretto contatto con la grande differenza di tradizioni e di culture di cui la Chiesa cattolica era espressione. L’Istruzione vuole interpretare SC riguardo a quell’adattamento della liturgia che il Concilio ha introdotto autorevolmente e che in quel momento si riteneva dovesse ricevere una adeguata procedura di attuazione, affinché la sensibilità dei fedeli nei diversi continenti e la autenticità del rito romano non subissero impoverimenti o alterazioni. Si deve notare, tuttavia, che già in questo documento sono presenti alcuni criteri restrittivi, che, mirando a conservare la “autenticità” del rito romano, inclinano a una interpretazione “difensiva” e “apologetica” di SC e del Concilio Vaticano II, che prenderà ancora maggior forza con la successiva e finora ultima Istruzione.

  1. Liturgiam authenticam (28 marzo 2001)

Con l’approvazione di questo testo, che mette al centro il tema della “autenticità” della liturgia, intendendolo pressoché esclusivamente come fedeltà letterale delle traduzioni in lingua volgare alla profondità dottrinale del testo latino, base indispensabile dell’unità del rito romano. Si vuole impedire che vada perso il prezioso vocabolario tradizionale, e si affida alla omelia e alla catechesi il compito di illustrarne il contenuto, evitando che ciò avvenga mediante traduzioni interpretative o parafrasi e senza pretendere che il testo tradotto si spieghi totalmente da sé, al punto da arrivare al rischio di impoverirlo.

Questa Istruzione corrisponde perfettamente ad una crisi di recezione del dettato di Sacrosanctum Concilium: in questione non è semplicemente il tema della traduzione, ma piuttosto la interpretazione della stessa natura “pastorale” del Concilio Vaticano II e l’autorità con cui esso ha posto, apertamente, la differenza tra la sostanza della antica dottrina del depositum fidei e la formulazione del suo rivestimento. Ne emerge una profonda incomprensione della urgenza e della inaggirabilità di questo compito. Che le lingue moderne diventino “calchi incomprensibili” di una lingua che solo mediante il proprio rivestimento può garantire ricchezza della dottrina sembra contraddire nel modo più esplicito – mettendo a rischio anche i comuni criteri non solo del tradurre, ma del vivere – la esigenza per cui l’unità della Chiesa non venga garantita da una singola “formulazione”, ma dalla sostanza della dottrina.

B. Le tre domande-chiave

Dal racconto di questa storia, ecco allora emergere lo spazio nel quale possiamo e dobbiamo porre le “tre domande”, per impostare un percorso che ci porterà ad una VI Istruzione. Qui mi limito a formulare le tre questioni, per aprire un ampio dibattito sul tema.

a) Quale bilancio possiamo fare della V Istruzione, dopo 15 anni dalla sua approvazione ed entrata in vigore?

b) Per quali ragioni appare urgente una “VI Istruzione” per la attuazione della riforma liturgica?

c) Quali sono i contenuti fondamentali che una tale Istruzione dovrebbe prevedere?


Testo pubblicato il 7 marzo 2016 nel blog:

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