
Annunciazione, mosaico, Basilica di Santa Maria Maggiore (Roma)
In alcune tra le infinite immagini dell’Annunciazione alla Vergine, è possibile scorgere un delizioso particolare, che sarebbe piaciuto all’architetto milanese Gio Ponti (1891-1979) autore del disegno del gonfalone dell’Ospedale Maggiore di Milano. È il cestino da lavoro tessile, ritratto ai piedi della Vergine, che allude agli anni infantili trascorsi nel tempio di Gerusalemme, quando Maria filava «la porpora genuina e lo scarlatto» per il velo del tempio di Gerusalemme.
Il Protovangelo di Giacomo[1], testo apocrifo del II secolo, rivela questo fantasioso aneddoto in sintonia con la tradizione giudaica per cui fin dalle origini la famiglia davidica avrebbe tessuto il velo del Tempio eretto dal re Salomone, figlio di Davide.[2] Simbologia molto ripresa dagli artisti. La troviamo fin dalle origini dell’arte cristiana nell’antico mosaico in Santa Maria Maggiore a Roma[3] e in molte altre opere pittoriche anche insieme al più diffuso leggio con libro, sempre a fianco della Vergine. Opere di Tiziano[4], Caravaggio [5],Charles de la Fosse[6], solo per citare alcuni esempi.
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Non ci è noto sapere se l’architetto – più famoso per il grattacielo Pirelli che per edifici e opere di arte sacra da lui firmati [7] – avesse pensato a questo particolare iconografico, quando scelse di abbinare tessuto a ricamo per l’effigie posta sul gonfalone dell’ospedale milanese. Il soggetto religioso dell’Annunciazione risale alla fondazione quattrocentesca dell’ospedale, nominato Ca’ Granda e commissionato dagli Sforza al loro celebre architetto, Antonio Averluino detto il Filarete. All’origine il prestigioso nosocomio (oggi sede dell’Università degli Studi di Milano) fu dedicato alla Vergine Annunciata e tale scena religiosa apparve nel suo primo emblema. Una scelta ancora molto attuale: le case di cura richiamano l’attesa e la speranza di una vita nuova, finalmente salubre.
Nel calendario liturgico la data dell’Annunciazione (25 marzo) precede di nove mesi esatti quella del Natale. È l’avvio della gestazione del Figlio di Dio, cui la giovane Maria si sentì destinata come madre. Immaginando un’espressione da abbinare all’insegna originaria del gonfalone sceglieremmo il verso del Magnificat: «ha ricolmato di beni gli affamati». Ricordiamo infatti che al momento della sua nascita la Ca’ Granda si prefiggeva come obiettivi quelli di fornire l’assistenza gratuita ai più poveri e di migliorare l’efficienza nel servizio sanitario cittadino.
Inoltre, proprio il 25 marzo 1459 fu istituita da papa Pio II la «Festa del Perdono», un giubileo speciale a sostegno dell’ospedale. Si festeggiava ogni due anni e la concessione del perdono doveva servire per finanziare la struttura e favorire lasciti e donazioni da parte di tutti i cittadini del ducato.[8] Per la celebrazione dell’anno in corso (in cui ricorre anche il 90° della benedizione del gonfalone avvenuta in Duomo. il 24 marzo 1935 da parte del cardinal Schuster), si veda il sito ufficiale.
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Ma torniamo all’architetto Ponti quando nel 1932, poco più che quarantenne, venne chiamato a realizzare l’insegna voluta dal Consiglio degli Istituti Ospitalieri. Nel 1907 fu avviato l’iter di realizzazione dell’Ospedale Maggiore[9], presso Niguarda (tutt’oggi in funzione) e nel 1932 furono avviati i lavori protrattisi fino al 1936. In un tempo di clima fascista in cui gonfaloni e labari erano diffusi, si rendeva necessaria un’immagine simbolica utile per identificare l’ente che stava promuovendo la progettazione del grande nosocomio che avrebbe sostituito l’edifico sforzesco.
Ci paiono interessanti le idee di Gio Ponti nella progettazione dell’opera. Fu suo esplicito desiderio che l’Annunciazione entrasse «nel cuore dei riguardanti, negli affetti, direi quasi, dei milanesi, nella devozione dei credenti»[10]. Il ricamo su tessuto fu da lui stesso preferito alla pittura la cui «inconsistenza di materia la rende troppo inferiore al ricamo». Inoltre, egli aveva previsto che la realizzazione dello stendardo fosse affidato alle Monache di Cernobbio con tale motivazione: «Il lungo lavoro di devote mani darà all’opera di ricamo anche un valore morale che sarà certo riconosciuto e gradito, come lo sono tutte le opere lunghe e difficili».
Per diverse ragioni l’opera fu invece realizzata dalla ditta di arredi sacri «Fratelli Bertarelli» di Milano. L’architetto seguì con particolare attenzione i vari passaggi dei lavori mantenendo viva l’dea che le opere di arte sacra dovessero distinguersi da quelle puramente ornamentali in quanto eseguite da «veri devoti» e quindi capaci «di emozionare». Così, in seguito, motiverà la scelta di affidare all’Istituto Beato Angelico di Milano (1963-64) la decorazione della Chiesa di Santa Maria Annunciata dell’Ospedale San Carlo di Milano.
Ritorna alla mente il Protovangelo di Giacomo ove si narra che il Sommo Sacerdote, dopo una riunione per decidere a chi affidare la filatura di «una tenda per Tempio del Signore», fece chiamare «sette fanciulle vergini della tribù di Davide… e si ricordò della giovinetta Maria che era anch’essa della tribù di Davide ed era senza macchia agli occhi di Dio».
Soffermandoci sul lato dello stendardo con l’Annunciazione disegnata dall’artista[11]. Cogliamo le figure allungate dell’angelo in piedi che porge un giglio alla Vergine con la mano sinistra; la destra si eleva sopra il capo di Lei per un saluto benedicente. Maria è inginocchiata su un cuscino, il viso è abbassato in atteggiamento di umiltà; le mani incrociate si appoggiano sul suo petto. Alla base dei due personaggi è disegnato uno zoccolo di terra con foglie come a dire la realtà della scena. Alla sommità un’esile, geometrica colomba. Il simbolo dello Spirito santo è fermo sopra le loro teste.
Le immagini si stagliano sul pannello rivestito in seta pura rosso rame. Sono incisive grazie alla loro semplicità. Punti diversi di ricamo (punto raso, punto passato e altri ancora) con fili in argento e argento dorato di più tipi, sono accostati per creare effetti di rifrazione della luce e suggestivi giochi cromatici. La mantellina e la veste ricamate dell’angelo, il velo a rete che copre la vergine come un manto, i fiori applicati e deposti sulle gambe di Maria e le piccole perle incastonate sono elegantissime rifiniture che competono con gli abiti contemporanei di haute couture.
Le figure stilizzate adempiono allo scopo prefisso dall’artista che volle «il motivo maggiore del gonfalone» riconoscibile anche da lontano. È qui evidente l’influsso di pittori amici di Ponti, come Carrà, Severini, Sironi, protagonisti del «ritorno all’ordine» del decennio precedente. Ritroviamo anche la vicinanza ai disegni classici con cui l’architetto (che si confessò «pittore mancato»[12]) decorò le ceramiche Richard Ginori degli anni Venti.
La scelta stilistica dell’artista non fu del tutto compresa né dalla Commissione del Gonfalone Ospedaliero né dalla Curia milanese. Quest’ultima, nel 1933, segnalò la «rigidità delle figure dell’angelo e della Vergine» e la distanza da altre note riproduzioni plastiche e pittoriche in cui l’angelo «suole presentarsi, se non inginocchiato, almeno inclinato in atto di omaggio verso la Vergine». Tuttavia, Ponti difese il proprio progetto e – con la collaborazione di «lavoranti esperte», come lui le chiamava – venne realizzato un importante lavoro artistico del Novecento, ispirato alla grande tradizione del ricamo liturgico in oro e argento vivo tra Seicento e Settecento. La passione per l’artigianato fu infatti una costante nell’intera opera di Ponti proprio in un’epoca in cui decollava la città industriale.
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Studi accurati sul gonfalone ci consegnano il nome delle ricamatrici della ditta Bertarelli cui l’artista fu molto riconoscente. Egli chiese infatti che fosse riconosciuto il lavoro delle ricamatrici di Bertarelli «mandando loro una lettera del Consiglio, magari un fac-simile dell’opra che hanno ricamato con le loro mani e un biglietto d’invito per la cerimonia del 24 marzo di inaugurazione nel Duomo di Milano».[13]
Concludiamo pensando alle molte artiste contemporanee che operano con stoffe e ricami e alle numerose e sconosciute donne che nei secoli tessero e ornarono le stoffe esposte durante momenti pubblici, religiosi e civili.
Siamo tutti un po’ debitori a chi pazientemente unisce fili e ricama tessuti dalle trame a tratti misteriose. Crea e cuce veli per ciò che merita riservatezza, affida messaggi (reconditi o dichiarati) all’arte tutta, compresa quella del ricamo che «minore» non è.
[1] Protovangelo di Giacomo,10, 1-11.
[2] Mattia Seu, “Il lungo velo da Davide a Maria. Un filo rosso tra il Protovangelo di Giacomo e il Targum Jonathan”, Rivista biblica, Anno LXXI n.4 ottobre-dicembre 2013 pagg. 479-499.
[3] Mosaico, 430-440, arco trionfale, basilica di Santa Maria Maggiore, Roma.
[4] Tiziano, Annunciazione 1540 circa, olio su tela, Scuola Grande di San Rocco, Venezia.
[5] Caravaggio, Annunciazione. 1609-10, olio su tela, Musèe des Beaux-arts, Nancy.
[6] Charles de la Fosse, Annunciazione c.1680-80, olio su tela, Louvre, Parigi.
[7] Carlo Capponi e Maria Antonietta Crippa (a cura di), Gio Ponti e l’architettura sacra, Finestre aperte sulla natura, sul mistero, su Dio, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo Milano 2005. Nello stesso volume: Paolo M. Galimberti, Il gonfalone dell’ospedale Maggiore di Milano, 1935 (pagg. 121- 125).
[8] La Festa del Perdono ancora oggi viene celebrata ad anni alterni e la generosità dei cittadini continua attraversi lasciti, donazioni, testamenti.
[9] L’abbandono dell’antico ospedale sforzesco, da 470 anni posto al centro della città, fu avviato nel 1907 e nel 1939 entrò in funzione il nuovo nosocomio. L’iniziativa del nuovo gonfalone, già deliberata il 2 maggio 1927, fu ripresa nel 1932 e affidata all’architetto e artista milanese Gio Ponti.
[10] Dalla relazione di Gio Ponti del 6 giugno 1933. Per questa e altre citazioni si veda: Fondazione IRCCS, Ospedale Maggiore Policlinico, Gio Ponti e il Gonfalone dell’Ospedale Maggiore di Milano, a cura di Paolo Galimberti con un saggio di Maria Luisa Rizzini, 2011.
[11] Pannello rivestito in seta con ricami in oro fino e in argento fino, con inserti di pietre dure e perle; retto da quattro aste a palme terminanti in rosoni di pietre dure, cimasa in ottone dorato reggente una corona di pietre dure Dimensioni pannello: 255×140/ copia ridotta (1936):166×95. Le parti metalliche e di gioielleria furono realizzate dall’orefice Alfredo Ravasco che fece dono di tutte le pietre preziose. Il rovescio dello stendardo reca vari stemmi “tratti alla maniera di codici miniati” e circondano il grande simbolo dell’istituto, la colomba raggiante. Il gonfalone, restaurato nel 2011 è attualmente esposto presso I tesori della Ca’Granda (cf. qui sul sito ufficiale). Presso lo stesso Museo è anche custodito il gonfalone piccolo, copia più modesta realizzata per “occasioni di minora importanza” ( da documenti di Archivio Ospedale Maggiori segnalati nel testo citato 2011).
Un grazie sentito al dottor Paolo M. Galimberti direttore dell’Archivio Ospedale Maggiore e all’architetto Marco Giachetti, Presidente della Fondazione IRCSS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico per aver consentito alla pubblicazione delle immagini del gonfalone di proprietà della stessa Fondazione.
[12] Jean Blancheart, Gio Ponti, Art Dossier, Giunti Firenze-Milano n.352 marzo 2018.
[13] Marialuisa Rizzini, cit, 2011.