Diaconato e impegno politico

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Il tema dell’impegno politico dei cristiani nella Chiesa si è delineato lungo un percorso che ha preso l’avvio con il Concilio – a partire dalla Gaudium et spes (cap. IV) – e si è via via sempre più precisato e irrobustito attraverso la riflessione ecclesiale e la prassi pastorale che ne è conseguita.

Si tratta di una problematica che, per sua stessa natura, coinvolge tutti i cristiani, chiamati a testimoniare il Vangelo in questo nostro tempo segnato da separazioni e contraddizioni di fronte alle quali l’annuncio del Regno deve risuonare come profezia, ma anche come impegno concreto.

Ed è un tema attuale e fortemente sentito nella realtà del nostro Paese, dove lo scenario politico in questa tortuosa fase appare sempre più incerto e confuso: dal dopoguerra in avanti, è innegabile quanto la storia repubblicana italiana abbia conosciuto l’intrecciarsi di un rapporto complesso e spesso conflittuale tra fede e politica, segnato da vincoli “istituzionalmente” determinati fra Stato e Chiesa che hanno inevitabilmente condizionato e orientato le scelte dei cattolici, attraversando talvolta anche il ministero ordinato. Come scrive Franco Monaco nella Lettera ai vescovi italiani, è necessario però che oggi «in questo tornante così speciale della nostra storia civile, sia utile e attesa una vostra parola […] Questo tempo nuovo e difficile ci chiama in causa e richiede il coraggio profetico di una posizione controcorrente» (cf. SettimanaNews).

«Nell’attuale contesto di preoccupazione in cui viviamo e in cui tutto sembra fragile e incerto, parlare di speranza potrebbe sembrare una provocazione». Così scrive papa Francesco nel messaggio per la Quaresima di quest’anno: tempo per rinnovare fede, speranza e carità. Il papa ci esorta a «dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano, invece di parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano».

In questo momento storico di “novità devastante” dovuta alla pandemia, anche i diaconi devono essere capaci di “consolare, confortare”, spendersi anche sulle frontiere dell’impegno politico, per declinarlo nel servizio ai poveri e rispondere con scelte di autentica e totale diaconia alla fame di giustizia e di solidarietà per ogni uomo.

Viviamo i segni di un repentino cambiamento legato a mutamenti storici epocali e al cammino di maturazione delle coscienze che ad essi si è accompagnato: si è inaugurata per molti aspetti una nuova fase, aperta al respiro di un’Europa radicata nella tradizione e nella storia cristiana e più consapevole che l’unica testimonianza possibile per i credenti impegnati in politica affonda le sue radici nel Vangelo di Cristo e da esse trae fondamento e forza.

La politica luogo di “diaconia”

Una dimensione della diaconia che è venuta affacciandosi sempre più chiaramente alla coscienza ecclesiale riguarda il suo rapportarsi a tutti i settori e funzioni della vita – dalla politica ai modelli comportamentali, dall’educazione alla giustizia, dall’economia alla cultura – settori, questi, che devono essere integrati armonicamente in quello che viene chiamato lo “stato sociale” (il welfare state), teso a garantire una fun­zione di compensazione delle disuguaglianze da parte dello Stato.

Accanto al suo dinamico realizzarsi dentro la Chiesa, la diaconia ha anche una dimensione pubblico-civile che non è a sé stante, ma, anzi, si pone con il tessuto ecclesiale in una relazione di reciprocità operante e di continuo e costruttivo dialogo.

La Chiesa-popolo di Dio, dal Concilio in poi ha preso sempre più coscienza che essere nel mondo, ma non del mondo non significa chiudersi in una “apoliticità” dentro la quale sarebbe impossibile incontrare l’uomo e comunicare con lui. Il Vangelo si incarna nella storia dei singoli e dei popoli, e la redime dal di dentro: la realtà sociale, politica ed economica del “qui e ora”, il vissuto degli uomini e delle donne del nostro tempo costituiscono la destinazione prima e ultima dell’annuncio e di tutta la testimonianza cristiana.

Ma, se per i laici l’impegno politico è un campo d’azione oltre che possibile anche doveroso, più articolata e complessa si presenta la questione per i diaconi, chiamati ad essere sia dentro la comunità cristiana sia nella società segno visibile della diaconia di Cristo e della Chiesa.

Nel Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi (n. 13) viene detto che bisogna dare priorità al ministero e alla carità pastorale e promuovere con la presenza dei diaconi il mantenimento, fra gli uomini, della pace e della concordia, senza assumere però ruoli di rappresentan­za democratica e di governo o militare attivamente nei partiti politici.

Una tale indicazione si fonda su una lettura indubbiamente attenta della realtà politica e dei suoi complessi dinamismi interni, che finiscono molto spesso per interferire con le irrinunciabili esigenze di coerenza e di fedeltà ai valori evangelici. Come segno dell’amore di Cristo soprattutto per i poveri e i bisognosi, infatti, i diaconi sono costantemente chiamati a preoccuparsi del senso della vita dell’uomo in qualsiasi condizione egli venga a trovarsi. La politica, invece, si basa sul con-senso, senza il quale ogni azione rimane isolata ed inefficace. Ed è proprio il bisogno di consenso che implica una sorta di dipendenza e di assoggettamento, richiedendo spesso – anche ai cristiani – il pagamento di un pesante tributo alla parte politica di appartenenza.

Se, da un lato, questa chiave di lettura chiarisce l’indicazione del Direttorio, dall’altro, ci chiediamo se si possano comunque individuare per i diaconi significative forme di presenza nella vita politica non solo in senso lato, poiché le sfide di questo periodo interrogano il nostro “essere” nella Chiesa e nella società e investono tutto il tessuto delle nostre relazioni con gli altri, oltre che il faticoso progredire della nostra storia di uomini.

Ci chiediamo, in altre parole, se continuare ad “abitare” l’ambito pre-politico non finisca per incrementare quella fragilità del “sociale” rispetto al “politico” che sicuramente ha a lungo caratterizzato la società italiana, ma che è anche uno degli elementi più facilmente ravvisabili nella società in genere.

«È vero che i ministri religiosi non devono far politica partitica – scrive papa Francesco nella Fratelli tutti (276) –, però nemmeno possono rinunciare alla dimensione politica dell’esistenza che implica una costante attenzione al bene comune» [in nota fa riferimento ad Aristotele: l’essere umano è un animale politico].

I mutamenti storici e le contraddizioni spesso violente che segnano le società hanno contribuito al progressivo delinearsi di un profilo diaconale per certi versi nuovo, soprattutto in relazione alle potenzialità di sevizio in un tessuto politico-sociale come quello odierno, troppo spesso dominato dall’interesse e lacerato dal compromesso e dalla prevaricazione: è proprio qui, infatti, in mezzo agli uomini che lavorano, soffrono, vivono la loro ricerca di senso, che il diacono è chiamato a testimoniare lo spirito delle Beatitudini e a rivelare con la sua presenza il Cristo-Capo di un mondo nuovo, tutto da costruire.

Importante è, a tal proposito, sensibilizzare la comunità ecclesiale e i singoli credenti alla consapevolezza non ancora del tutto acquisita che, anche rispetto a questo impegno, sarebbe erroneo concepire il ministero del diacono nel mondo come opposto a quello del sacerdote nella Chiesa: se il diacono attua il suo servizio nelle realtà secolari è perché Dio Padre ama questo mondo che è opera delle sue mani, Cristo Figlio lo trasfigura attraverso il dono della vita nuova, lo Spirito lo ri-crea attraverso il soffio instancabile dell’amore, che suscita «molteplicità di carismi e ministeri» – nella Chiesa e anche nel mondo – per il bene di tutti.

In questa prospettiva si sta orientando la riflessione del diaconato nella Chiesa rispetto al suo rapporto con la città degli uomini in diversi Paesi, soprattutto europei.

Oggi, però, non è facile definire cosa è la città. Va tenuto presente che le città si sono progressivamente trasformate in aree amorfe senza identità, con debordanti periferie senza visibili confini tra città e sobborghi.

Ci rendiamo sempre più conto che non abitiamo più la città, ma i territori. Anzi, la globalizzazione ha reso ancor più evidente la necessità del nostro stare radicati nella dimensione del locale, inteso come luogo di resistenza all’urbanizzazione anonima.

In questi tempi di grande incertezza per la politica sembra si faccia fatica a cogliere il carattere eccezionale di questa esperienza come amore disinteressato verso la “città” e le manifestazioni della pluralità.

Il termine città ha, dunque, una caratterizzazione eminentemente politica, potremmo dire che è un luogo politico entro cui si muovono e agiscono i cittadini, ovvero le persone capaci di militare nella e per la propria comunità. A fronte di questa situazione è ancora possibile parlare di città nei termini tradizionali? La città resta ancora l’elemento di comunione, di comunicazione e di relazione?

Occorre avere la cognizione di come le nuove tecnologie dell’informazione inizino a costruire nuove forme di relazione. Se non stiamo attenti, la rete (internet) rischia di divenire l’unico vero spazio pubblico.

Bisogna puntare a configurare una sorta di statuto pubblico dei diritti di cittadinanza. In altri termini, la nuova politica deve aspirare a spostare il baricentro degli interventi dall’interesse particolare ai contesti sociali, dagli investimenti privati ai beni pubblici locali.

Bisogna lavorare con tutte le nostre forze per rendere la città lo spazio della diaconia politica dignitosa e abitabile, accogliente e fraterna per tutti. Ma è soprattutto nei poveri che la storia mostra di non essere ancora umanizzata; sono loro, dunque, i destinatari privilegiati del nostro servizio.

Massimo Cacciari in un volumetto su La città scrive che è necessario guardare con attenzione a queste trasformazioni e alle loro implicazioni sociali e politiche, a come le persone vivano ormai nella prospettiva di abitare in luoghi indefiniti.

Da qui la prima caratterizzazione dell’impegno diaconale nel mondo, una caratterizzazione che possiamo definire politica nel senso ampio ed originario del termine e che connota il lavoro come missione diaconale. Attraverso un atteggiamento di servizio umile e consapevole, i diaconi annunciano, testimoniano e rendono presente Colui che non è venuto per essere servito ma per servire e contribuiscono a dare alle varie attività umane “il sapore del servizio”, alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa.

È innegabile che, per il suo essere “nel mondo”, impegnato su fronti difficili e chiamato a difendere il valore della persona “in situazione”, a volte anche in ambito sindacale, il diacono vive le tensioni di un continuo confronto con i conflitti inevitabili nel progredire della storia. Per lui, come per altri, c’è il rischio di inasprirsi in essi, allentando talvolta i legami della speranza e sperimentando anche il disagio tutto umano della solitudine. La sua missione, tuttavia, ricorda che dove gli uomini – pur nella diversità di idee, aspirazioni ed esperienze – costruiscono la storia, là il Regno è presente con le sue esigenze.

È sotto i nostri occhi come il lavoro e la vita sociale e collettiva siano realtà inevitabilmente ambigue in cui si mescolano legami e valori spesso contrari. Ma proprio nelle situazioni che richiedono di scegliere senza poter essere sicuri dell’adeguatezza dei mezzi rispetto agli obiettivi da raggiungere, la presenza del diacono diventa segno chiaro e credibile che il Cristo, entrando nella storia, ne ha assunto le contraddizioni e le oscurità, illuminandole e trasfigurandole nell’offerta di sé. Egli ha lasciato come linea di azione a tutti – e in modo prioritario a quanti consacra nella diaconia ministeriale – la ricerca dei luoghi in cui le Beatitudini sono maggiormente chiamate in causa.

La consapevolezza che siamo nel mondo, ma non del mondo non ci sottrae dall’impegno concreto per la giustizia e la pace: il nostro cammino incontro ai fratelli, il nostro chinarci sulle sofferenze dei poveri, il nostro stesso portare le povertà del mondo all’altare di Cristo non possono distoglierci dal ricercare le cause vere e profonde – anche politiche – delle discriminazioni e degli abusi. Allora, il ministero diaconale può illuminare di senso nuovo anche le attività della “città terrena”, additando costantemente alla politica la sua dimensione di servizio per la rimozione delle cause di ingiustizia e la ricerca del bene comune.

Il primato della carità

Papa Francesco chiede a Dio che «cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo! La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune. Dobbiamo convincerci che la carità “è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici”. Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini. E perché non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia assoluta tra l’economia e il bene comune sociale» (Evangelii gaudium, 205).

Qualunque sia il ruolo di ciascuno di noi nel contesto sociale, dunque, dobbiamo essere sempre un segno vivo della “cura di Dio” per l’umanità. Caritas urget nos… la carità ci spinge. Nel momento di crisi della partecipazione democratica – il papa ci invita «a rivalutare la politica che è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune». (...) Questa carità politica presuppone di aver maturato un senso sociale che supera ogni mentalità individualistica: «La carità sociale ci fa amare il bene comune e fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone, considerate non solo individualmente, ma anche nella dimensione sociale che li unisce». Tutto questo «per dare vita a processi sociali di fraternità. (…) Riconoscere un essere umano come un fratello o una sorella. (…) A partire dall’amore sociale (…) si può costruire un mondo nuovo». 

E Bergoglio ci spinge alla ricerca della migliore politica, «Per rendere possibile lo sviluppo della comunità mondiale (…) è necessaria la migliore politica posta al servizio del vero bene comune» (Fratelli tutti, 154)».

È partendo da queste analisi che si deve avere il coraggio di proporre una relazione tra città e speranza: due parole importanti per questi anni “fragili”, due parole tutt’altro che superate o obsolete che dobbiamo evitare siano consumate.

Quando ci confrontiamo con la realtà, viene spontaneo chiedersi se città e speranza possano ancora essere collegate: quale anello di congiunzione si deve pensare per realizzazioni tra dimensioni apparentemente così distanti? È possibile questa relazione quando tutto sembra orientarsi a negare la possibilità di un centro e una periferia?

La speranza deve sempre di più divenire virtù laica tesa a rilanciare una simpatia per il pubblico, per la Res Publica.

«Servire il Vangelo della speranza – scriveva Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Ecclesia in Europa – significa sostare nell’ascolto, spendersi nella condivisione, consumarsi come Cristo nel dono di sé, per ridare all’uomo, smarrito di fronte alle lacerazioni del momento presente, le ragioni vere e profonde per continuare a sperare».

Quindi la carità spinge i diaconi, ordinati per il servizio al Signore e ai fratelli, a leggere i segni dei tempi e le sfide dell’oggi con occhi aperti, orecchi attenti, cuore pronto e mani protese a cercare, raggiungere, incontrare e servire i fratelli.

«Mi permetto di ribadire che la politica non deve sottomettersi al paradigma efficientista della tecnocraziaBenché si debba respingere il cattivo uso del potere, la corruzione, la mancanza di rispetto delle leggi e l’inefficienzanon si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti della vita attuale» (Fratelli tutti, 177).

Il nostro cammino incontro ai fratelli più fragili, il nostro chinarci come Cristo sulle sofferenze e sul grido dei poveri, il nostro ascoltare, soccorrere, condividere, il nostro stesso portare le povertà del mondo all’altare di Cristo non può distoglierci dal ricercare le cause vere e profonde – anche politiche – delle discriminazioni e delle ingiustizie.

Allora, il nostro ministero può illuminare di senso nuovo anche le attività della città terrena, additando costantemente alla politica la sua dimensione di servizio per la rimozione delle cause di ingiustizia e la ricerca del bene comune. Inoltre – mi permetterei di aggiungere –, non esiste, forse, anche una carità che potremmo più propriamente definire politica, quotidianamente sottoposta alle lacerazioni delle scelte difficili, alla fatica delle incomprensioni, al disturbo del porsi nel mondo come “segno di contraddizione”?

È a tutti noto che purtroppo il terreno politico è il più espo­sto alle tentazioni disumanizzanti del potere e dell’avere. Ma è proprio per questo che va ribadita la funzione diaconale dell’impegno pubblico, funzione che deve evidenziare il servizio all’uo­mo nel rispetto di alcuni fondamentali valori. Elenco i principali.

  • Per la dignità umana: il rispetto dei diritti umani, delle condizioni minime per una vera vita di comunità è il primo servizio che ci si attende dalla carità politica.
  • Creazione delle condizioni concrete che consentono a tutti la partecipazione attiva alla vita sociale: ovunque vi sono emarginati, persone o gruppi che non hanno né voce né scelta, là è violata la carità.
  • Servizio a favore degli svantaggiati: l’aumento della partecipazione ai pro­cessi politici ed economici degli emarginati e di quanti sono in situazione di disagio dovrebbe essere l’obiettivo costante di impegno politico inteso come servizio a favore soprattutto delle persone più fragili.
  • Impegno per una sem­pre più equa distribuzione delle risorse e una possibilità di lavoro per tutti: la lotta alle ingiustizie e alle sperequazioni dei beni è dovere di tutti i cittadini, ma diventa più efficace quando passa attraverso l’azione governativa e l’impegno politico.
Lo spazio sociale e la diaconia della fragilità

«La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere, non solo per un’esigenza pragmatica di ottenere risultati e di ordinare la società, ma per guarirla da una malattia che la rende fragile e indegna e che potrà solo portarla a nuove crisi. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali dell’iniquità, non si risolveranno i problemi del mondo e, in definitiva, nessun problema. L’iniquità è la radice dei mali sociali (Evangelii gaudium, 202).

L’individuazione del rapporto fra diaconia e fragilità passa anche per la valorizzazione di un elemento caratterizzante del ministero diaconale: lo spazio sociale del diacono, uno spazio che egli deve rendere visibile come “luogo proprio” totalmente diverso da quello dei presbiteri e dei laici. Lo “spazio sociale”, dunque, rappresenta un ambito primario ed irrinunciabile per la nuova evangelizzazione, luogo privilegiato di incontro con le fragilità umane, vero terreno di semina per una pastorale rinnovata o di frontiera, nel nostro Paese e nel mondo.

Ma non è un ambito da inventare sulla base di immagini idealizzate o di proiezioni soggettivistiche, né un campo d’azione da affrontare senza un lavoro attento di analisi e un percorso consapevole di preparazione.

Varie e complesse sono le situazioni di fragilità presenti sul territorio. Ne ricordo sinteticamente alcune emergenti oggi, perché dalla loro conoscenza scaturisce la possibilità di un servizio coraggioso ed efficace, ma sempre rispettoso della dignità dell’altro e sapientemente discreto:

– La fragilità di salute; a causa della pandemia, c’è un estremo bisogno del conforto dell’amore e della vicinanza.

– La fragilità economica, cioè la mancanza e insufficienza dei mezzi di so­stentamento: disoccupati, pensionati, persone che soffrono per mancanza o ristrettezza di alloggio, persone che risentono dell’inadeguatezza delle strutture di assi­stenza e sanitarie…

– La fragilità sociologica, dovuta al rifiuto da parte del contesto sociale e alla conseguente “emarginazione”: immigrati, nomadi, disabili, i senzatetto…

– La fragilità morale, cioè l’incapacità di liberarsi da condizionamenti di abitudini, vizi, situazioni immorali: si pensi ai tossicodipendenti, agli al­colisti, alle prostitute…

– La fragilità di ambiente affettivo, dovuta all’isolamento, al “non sentir­si amati”: si pensi ai femminicidi in aumento nei lunghi mesi del lockdown, a tanti anziani soli, sia perché isolati nelle loro case, sia per l’anonimato delle case di riposo oggi focolai del virus.

– La fragilità spirituale, cioè il bisogno di Dio, non soddisfatto da una società edonista e pagana, e che spesso con­duce a forme deviate e superstiziose, quando non sia abbastanza presen­te la comunità cristiana con la testimonianza del Signore.

Servono soluzioni nuove

Papa Francesco afferma con forza che «non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi» (Evangelii gaudium, 204).

Il ministero dei diaconi, come animatori del servizio, dev’essere diretto instancabilmente ad “aprire gli occhi” della Chiesa e della società nei confronti delle fragilità umane. Di fronte alle varie situazioni di fragilità, infatti, la comunità cristiana e il ministero del diacono sono chiama­ti ad esercitare, ad animare, diverse forme di ser­vizio, tra loro interdipendenti fino a compenetrarsi.

Allora bisogna essere tessitori di un tessuto sociale nel quale la presenza diventa dono che fa risplendere la bellezza della fraternità.

Ma questo costituisce una motivazione ulteriore a ribadire la funzione diaconale dell’impegno pubblico, funzione che deve evidenziare il servizio all’uo­mo, a tutto l’uomo, nel rispetto dei valori irrinunciabili della sua persona, nell’attenzione a tutte le forme di svantaggio che ne condizionano la crescita, nella promozione della sua dignità in ogni situazione di vita.

È la nuova frontiera della diaconia ministeriale. Un nuovo esodo, attraverso un difficile deser­to, verso una nuova realizzazione pasquale, una nuova dimensione: «tornare ad essere nel mondo quello che l’anima è nel corpo», co­me afferma la Lettera a Diogneto.

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