Cinque anni di destra

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Il centrodestra ha vinto le elezioni, come largamente previsto. Non è maggioranza assoluta nel Paese, ma ha la maggioranza assoluta dei seggi, grazie al sistema elettorale e grazie soprattutto alla divisione del fronte opposto, tra PD, centristi e M5S.

In questo quadro, il risultato era del tutto scontato, fin dalla crisi del governo Draghi. Aver lasciato che il M5S innescasse la crisi, non essere riusciti a ricucirla, ha significato per il PD l’impossibilità di chiudere l’alleanza con Conte e ancor di più l’impossibilità di coinvolgere nel percorso Calenda e chi più aveva sposato “l’agenda Draghi”.

Le divisioni, accuratamente animate dal centrodestra durante la crisi, sono quelle che ora gli hanno consegnato la facile vittoria nelle urne, pur col debole risultato di Forza Italia e soprattutto di Lega e Noi Moderati.

Ora che succederà? Con Fratelli d’Italia che, da sola, ha la maggioranza assoluta della coalizione di centrodestra, doppiando due volte il risultato (pessimo) di Salvini, l’incarico a Giorgia Meloni appare inevitabile.

È vero che il Presidente della Repubblica ha in questo campo tutte le prerogative, ma il patto interno del centrodestra – chi vince guida il governo – di fatto gli legherà le mani. A meno che, cosa difficile a pensarsi, non sia Giorgia stessa a sottrarsi.

L’ipotesi più probabile è quindi che nasca un governo Meloni, che per una intera legislatura – salvo improbabili contrasti interni – guiderà l’Italia sul programma del centrodestra e delle destre europee. Qualcosa di simile a quello che già abbiamo vissuto nel periodo 2001-2006 – quello dell’“editto bulgaro” e delle “leggi ad personam” – quando Berlusconi resse il Paese col più lungo governo della storia repubblicana (secondo nella storia unitaria solo alla durata del governo Mussolini).

Un percorso di lunga stabilità politica, magari rotto un poco da opposizioni sociali o forse politiche – se mai il PD, grande sconfitto, ritroverà miracolosamente le ragioni della sua fondazione, e se il M5S saprà animare movimenti filo-assistenzialisti nel meridione, in caso di eliminazione del reddito di cittadinanza. Ipotesi non ovvie.

Tutto, dunque, così lineare, e appuntamento al 2027?

Sì e no. Perché, in realtà, alcune variabili da mettere sotto controllo, per la Meloni, ci sono ancora. Vediamone almeno quattro.

Gli equilibri interni della maggioranza di centrodestra

Con circa 66 seggi al Senato, la Meloni è ben lontana dall’autonomia politica. Forza Italia è perfettamente in grado di condizionarne l’azione, ad esempio nelle sue punte meno liberali o antieuropeiste.

Ma qualche veto di troppo di Berlusconi – ad esempio su temi di libertà individuale – potrebbe generare tensioni. Per la Meloni sarà in realtà un’occasione per sposare via via posizioni meno radicali, senza assumersene la colpa.

Probabile, infatti, che col tempo assisteremo ad una Meloni sempre più istituzionale e sempre meno pasionaria.

La composizione del Governo nei ministeri-chiave

Tuttavia, questo processo si compirà nel tempo. Alla formazione del Governo, la Meloni potrebbe desiderare chiari segni di discontinuità rispetto all’establishment liberale che ha guidato l’Italia con Draghi, e a cui lei si è fieramente opposta.

Ma se, soprattutto al Ministero dell’Economia e Finanze, o a quello degli Esteri, proporrà un nome troppo marcatamente di destra, o antieuropeista, Mattarella potrebbe porre il veto. Come successo, ad esempio, ai tempi del suo rifiuto a nominare al MEF il “No-Euro” Paolo Savona, ai tempi del governo giallo-verde.

Giorgia potrebbe allora infilarsi subito in un conflitto istituzionale col Colle. Come accadde appunto ai tempi di Savona, quando finì per invocare addirittura l’impeachment di Mattarella. Uno scenario improbabile, ma che probabilmente imporrà subito alla Meloni di snaturarsi un po’ e di perdere coerenza sui suoi temi identitari.

La riforma presidenzialista

La Meloni abbozzerà ed eviterà quasi certamente il conflitto con Mattarella, visto il consenso di cui il Presidente gode nel Paese.

Ma potrebbe anche, viceversa, provocarlo, e usarlo per lanciare la riforma presidenzialista. Insomma, fin dai primi giorni, la Meloni dovrà scoprire le sue carte: se opta per una tranquilla navigazione quinquennale, ma moderandosi, o se tenterà davvero di usare il consenso ottenuto per cambiare il sistema italiano.

Impresa che i suoi elettori si aspettano, ma che può essere per lei – come lo fu per Renzi – molto rischiosa.

La strategia internazionale e le ricadute sul Paese

Tutte queste variabili interne si giocheranno sotto lo sguardo puntuto dell’opinione pubblica internazionale. Quella europea sarà certamente molto vigile, e critica se l’Italia dovesse spalleggiare posizioni di tipo ungherese.

Al tempo stesso, però, Washington ha dato alla giovane leader romana una notevole apertura di credito, in cambio della sua chiara posizione filo-ucraina. Questo non toglie che Giorgia dovrà governare in uno dei frangenti internazionali più complessi di sempre: guerra, tensioni, crisi della globalizzazione liberista, inflazione, deficit energetico.

Tutti fattori che possono avere sulle tasche degli italiani ricadute gravissime, con attese di aiuto e intervento statale che non le sarà facile gestire, senza il supporto dell’Europa. L’idea di riscrivere il PNRR, ad esempio, potrebbe rivelarsi una promessa impossibile da mantenere per lei.

Ecco allora che qualche problema di equilibrio, di linea politica, di coerenza, di tenuta sociale potrebbe presentarsi sulla strada del quinquennio del centrodestra.

Da politica a statista

Se la Meloni – che, ricordiamo, non ha alcuna vera esperienza istituzionale – saprà dimostrare di essere non solo un’abile politica, ma anche una statista accorta, capace di muoversi tra le insidiose variabili appena indicate, allora la nuova leader italiana potrà realizzare un percorso di legislatura completo, e forse molto, molto di più.

Ma se – forte del suo consenso – vorrà affrontare troppo di petto il cambiamento istituzionale, la Presidenza della Repubblica, il sistema europeo, potrebbe andare incontro a sorprese. Che getterebbero sul futuro del Paese, però, assai più che speranze, ancora una volta, veli di grande incertezza.

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4 Commenti

  1. Pietro 28 settembre 2022
  2. Paolo Veronese 27 settembre 2022
  3. Gian Piero 27 settembre 2022
    • Pietro 29 settembre 2022

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