Ferrrara: l’imputato è il vescovo

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Dal 15 gennaio una vivace polemica si è creata attorno ad un’intervista al Resto del Carlino (QN-quotidiano nazionale) del vescovo, Gian Carlo Perego, e la successiva e abrasiva risposta del sindaco, Alan Fabbri.

Motivo del dissenso: la determinazione dei criteri di assegnazione delle case popolari e, più in generale, la gestione delle immigrazioni.

Il vescovo ha apprezzato l’indirizzo della giunta regionale che, in conformità a diverse sentenze dei tribunali, ha ridotto a tre anni il requisito della residenzialità. Consenso che diventa critica indiretta alle amministrazioni, fra cui quella di Ferrara, che ne enfatizzavano il peso in termini di punteggio.

Gli immigrati se li prenda in episcopio

La risposta del sindaco, Alan Fabbri (centrodestra), è, in prima istanza, sul merito: «Ritengo più giusto affidare gli alloggi a chi ha investito da più tempo in questo territorio… per rispetto per chi paga le tasse da sempre e si è trovato improvvisamente in difficoltà». Poi deraglia e sottolinea: «Commento le sue parole almeno fino a quando farà il politico e non il pastore della sua comunità».

Inoltre, invita il vescovo a ospitare personalmente i migranti: «C’è della calma nella grande reggia vescovile di mons. Gian Carlo Perego. Ho l’onore di essere un suo dirimpettaio. Questa vicinanza quotidiana mi fa notare una grande tranquillità nel suo palazzo: nessuno si avvicina alle finestre, nessuno passeggia nei corridoi, nessun migrante all’orizzonte. Consiglio a mons. Gian Carlo Perego di iniziare a riempire di migranti il suo palazzo e di lasciare le case popolari ai ferraresi».

Non contento, candida il vescovo per le prossimi amministrative in capo al partito democratico: «Oramai dal vescovo ci si può aspettare di tutto: che non sia lui il prossimo candidato del Pd ferrarese?».

Infine, lancia l’appello populistico: raccolta di firme, mobilitazione di massa e possibile referendum. Si accodano gli eletti del posto: il senatore Balboni e il deputato Malaguti.

Una risposta argomentata al sindaco è affidata a una nota sull’attività della Caritas diocesana. Una premessa ricorda all’interessato che la residenza vescovile è vuota per i necessari lavori in seguito al terremoto («se ne poteva accorgere da tempo chi dovrebbe frequentare la “reggia” di fronte» e cioè il palazzo comunale).

I numeri sono assai parlanti: per la distribuzione degli alimenti i beneficiari per il 2023 sono stati 1.842 per 613 nuclei familiari; le tessere Caritas sono 954; il servizio di guardaroba sociale ha risposto a 185 persone; la mensa ad accesso libero ha servito  9.100 colazioni e 36.400 pasti; la struttura Casa Betania e diversi appartamenti hanno accolto 200 nuclei, con 60 bambini da 0 a 8 anni. Agli interessati  si offre l’assistenza legale e la scuola di italiano oltre ad un essenziale servizio medico (si avvale di 15 medici e 3 infermieri).

A questo si aggiunge l’attività per i carcerati. Nella casa circondariale l’emporio serve 188 detenuti e conta 2.165 accessi, con un centro per le misure alternative al carcere. È in preparazione un progetto per accompagnare l’accudimento ai bambini dei migranti.

L’emergenza e le competenze

L’emergenza immigrazione è questione epocale che tocca i territori e il paese, come anche il continente. Non ci sono soluzioni facili e di immediata efficacia. La scelta delle amministrazioni locali e nazionali oscilla fra l’accoglienza diffusa e l’accoglienza “sorvegliata”, la distribuzioni di piccoli nuclei di migranti sul territorio o piuttosto il loro accorpamento in grandi contenitori, nell’illusione di poterli riportare ai paesi di provenienza.

Questa seconda è quella preferita dalla destra politica perché risponde alla paura della gente e all’immediata domanda di sicurezza. Non casualmente la polemica fra sindaco e vescovo torna con una certa frequenza da tempo. Tre anni fa, la dissonanza era sul Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) previsto nella zona. Anche allora le due soluzioni si contrapponevano. Da parte del vescovo si sottolineava che la regolamentazione degli immigrati non poteva dissociarsi da efficaci modelli di integrazione, rispettosi della loro dignità e necessari per lo sviluppo dei territori.

Del resto, bastava un’occhiata al curriculum del vescovo per capire i suoi indirizzi. Come prete del presbiterio di Cremona, avvia un Centro studi sul disagio e l’emarginazione giovanile e una Cooperativa per l’accoglienza dei migranti. Collabora al nascente Osservatorio provinciale dell’immigrazione. Diventa direttore della Caritas diocesana di Cremona (1997-2002). Passa poi alla Caritas nazionale.

È membro della Commissione nazionale povertà, dell’Osservatorio nazionale del volontariato, partecipa a diverse commissioni ministeriali. Nel 2006 avvia in Caritas il Centro documentazione unitario con la Fondazione migrantes. Dal 2009 è direttore generale della Fondazione migrantes. Nel 2017 è vescovo a Ferrara. Dal 2021 è presidente della Commissione episcopale per le migrazioni e della Fondazione migrantes. Si può supporre che conosca bene il problema.

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