Capire, nelle affermazioni di un uomo politico, quale sia la linea di demarcazione tra la coerente testimonianza personale e la demagogia non è mai semplice; ma la cosa sembra essere stata ancor piú ardua per i connazionali, e non solo, di José Alberto Mujica Cordano (Montevideo, 20 maggio 1935 − Montevideo, 13 maggio 2025), che pur discutendone a lungo non hanno trovato una linea comune.
Ma questo ha contribuito a fare del «Pepe» (come comunemente veniva chiamato) un vero promotore di democrazia popolare, sostanziale, dove tutti i cittadini erano chiamati a riflettere sui grandi temi di fondo e su quelli all’ordine del giorno. I 10 anni che lo hanno visto al Governo (prima come ministro dell’Agricoltura e poi come Presidente della Repubblica), dal 2005 al 2014, sono stati un periodo di vera educazione politica grazie soprattutto alla sua vicinanza alla gente e ai suoi discorsi, con un linguaggio accessibile ai piú, uniti alle scelte del Frente Amplio (alla cui estrema sinistra c’era il suo Movimiento de Participación Popular, erede del Movimiento de Liberación Nacional-Tupamaros): scelte che se non vedevano il Paese in accordo suscitavano però discussioni animate non solo nelle sedi istituzionali, ma anche nelle strade, nei circoli nelle chiese.
Le opzioni fondamentali
Era di dominio pubblico che la sua origine (e quella di sua moglie, Lucia Topolansky) era tra i guerriglieri Tupamaros di Raúl Sendic, un gruppo sorto negli anni Sessanta da una marcia in difesa dei diritti dei lavoratori della canna da zucchero che da Artigas arrivò a Montevideo e che si caratterizzò soprattutto per azioni dimostrative non violente (la marcia appunto, l’occupazione della Città di Pando…).
Un gruppo comunque armato, con le sue vittime, le cui azioni hanno portato al carcere (e alla tortura) molti dei suoi membri tra cui lo stesso Mujica (che in carcere aveva trascorso più di 10 anni), ma che ha saputo evolvere, dopo la fine della dittatura nel 1984, in un movimento politico le cui istanze sono state sempre a favore dei lavoratori, dei poveri, dei senza casa che vivevano nelle baraccopoli (gli «asentamientos»).
Mujica era fedele e carismatico interprete del Movimiento de Liberación Nacional-Tupamaros e molte delle sue opzioni erano in realtà quelle del Movimento. Una su tutte: la proposta di legge, all’inizio di ogni legislatura, che ciascun parlamentare avesse uno stipendio corrispondente a quello di un operaio specializzato e, dal momento che la proposta non veniva mai approvata, la conseguente autotassazione per donare l’eccedente in favore di un fondo per la costruzione di case negli asentamientos.
Riconciliazione
José Mujica: un uomo che ha pagato per le sue scelte con il carcere, con uno stipendio normale, con una vita sobria o povera, rimedio secondo lui anche contro la violenza dei malviventi, che poco gli potevano rubare; non ha abbandonato la sua cascina in campagna alle porte di Montevideo neppure quando era Presidente, continuando a coltivare fiori con sua moglie.
«Io e Lucia», diceva, «abbiamo una piccola casa, che mettiamo a posto in 10 minuti alla mattina, così poi ci dedichiamo alle cose piú importanti e che più ci piacciono: la coltivazione dei fiori, la lettura…». E, al di là delle politiche contingenti, questo consigliava ai giovani e ai meno giovani: aprire la mente con la lettura, non perdere il vincolo con la terra da cui veniamo, vivere del proprio lavoro anche manuale. Solo così ci si può avvicinare a una progettualità politica che ricerchi il bene di tutti a iniziare dai più bisognosi.
Un tema ha però segnato particolarmente la sua traiettoria politica dopo la fine della dittatura: la riconciliazione. Il Paese era diviso tra coloro che avevano appoggiato l’esercito e coloro che ne avevano subito le violenze; lui stesso e sua moglie erano stati in carcere come la gran parte dei membri del loro Movimento. La riconciliazione e la giustizia erano un’urgenza per tutti i Governi che si sono succeduti.
Mujica ha contribuito alla riconciliazione con le parole, ma soprattutto con i gesti. Sono rimasti nella memoria collettiva le sue parole di richiesta di perdono la sera dell’elezione a Presidente verso coloro che avesse potuto offendere nella campagna elettorale; la trepidazione (nel ricordo di sua moglie Lucia, Presidente del Senato) mentre passava in rassegna l’Esercito, tra i cui alti gradi ancora erano presenti coloro che lo avevano imprigionato; la risoluzione rapidissima della crisi diplomatica causata dalle sue offensive parole, a microfoni non spenti, verso la Presidente Argentina Cristina Fernández de Kirchner e il suo defunto marito.
Quando fu eletto papa Francesco non si recò a Roma per la Messa Inaugurale del Pontificato, perché dichiaratamente non credente: volle vi andasse Astori, suo vice, perché cattolico; e quando dovette affrontare la legge sull’interruzione della gravidanza (che il suo predecessore Tabaré-Vásquez non volle firmare, perché medico) espresse il desiderio, non realizzabile, che si potesse arrivare a una conclusione senza offendere nessuno.
Francesco Bottacin, religioso dehoniano, è stato a lungo missionario in Uruguay
Muy lindo recuerdo de un hombre valiente y sabio