Albino Luciani e il Concilio

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luciani

Educato nella dogmatica tridentina, il vescovo Albino Luciani si trovò «spiazzato dalle novità che ascoltava nel corso degli interventi in aula». Il Concilio fu per lui un «noviziato episcopale». Visse positivamente il Concilio come un periodo di trasformazione.

Riconobbe la conversione a cui era chiamato nelle sessioni: «Sono un apprendista, sto imparando di nuovo la teologia, quella che abbiamo studiato non serve più».

Non intervenne mai in aula, ma aderì alle richieste del Concilio, allineato con una «maggioranza silenziosa».[1]

Dopo il Concilio, Luciani «approfittò di ogni occasione per spiegare i documenti conciliari e si distinse per la chiarezza nell’esposizione della dottrina e la capacità di far capire e gustare le disposizioni del Concilio».[2] Girò per la sua diocesi promuovendo i grandi orientamenti conciliari.

Per Luciani, il Concilio Vaticano II fu un processo di rinnovamento ecclesiale. Diffuse i suoi insegnamenti, volle applicarli, incoraggiò il cambiamento di mentalità suggerendo sempre la gradualità e la moderazione: «Ho sentito qualcuno fare un quadro fosco della Chiesa postconciliare: “Che confusione!”, diceva, “Quanta insicurezza e indisciplina!”. E già a conclusione subito: “Tutta colpa del Concilio!”… Sento, viceversa, altri, impazienti di attuare il Concilio tutto e subito, lamentare con grande zelo che non s’è ancora attuato questo, che non s’è attuato quello… Attenti agli estremismi!».[3]

Un vivace periodo postconciliare

Il Concilio è stato accolto in un clima di consenso, ma era destinato a far emergere, di lì a poco, una sorta di déplacement, di spaesamento, con inevitabili difficoltà nella sua attuazione – mai mancate nella storia dei concili – delle quali papa Montini era avvertito quanto il vescovo di Vittorio Veneto.

La difesa della fede è una preoccupazione costante del vescovo Luciani.

Dopo il Concilio, il mondo ecclesiale è segnato da forti tensioni. Tra i principali problemi, il rapporto Chiesa-mondo abbracciato dalla Gaudium et spes. Calato nella realtà della piccola diocesi di Vittorio Veneto, trova un contesto non più rurale, ma operaio, portatore di valori spesso in consonanza con il Vangelo, visto con spirito di solidarietà, ma talvolta con sospetto.

Sono poi anche altri i dati da ricordare in questo segmento cronologico: la nascita – sull’onda del movimento del Sessantotto – di «gruppi spontanei aspri con le gerarchie», l’irruzione nel dibattito pubblico dei temi sociali, della giustizia, della pace; le nuove forme dell’annuncio e l’apertura alla missione, alcune istituzioni per la preparazione dei laici (scuole di teologia comprese). Né vanno dimenticati il rinnovamento della catechesi, i primi piani pastorali, l’aggiornamento. Tutti elementi non estranei alle vicende che hanno al centro Luciani, con quel motto – Humilitas – che sono in molti ormai a non confondere con la docilità, dopo aver sperimentato la sua fermezza.

La traduzione pratica degli insegnamenti conciliari nella sua diocesi – oltre la recezione di innovazioni liturgiche che desidera ben osservate – porta Luciani, uscito dal Vaticano II, a interrogarsi, davanti al suo clero, in sede di Conferenza episcopale triveneta, e presto anche di Conferenza episcopale italiana (il 16 dicembre 1965 era infatti nata la nuova CEI come conferenza di tutti i vescovi italiani), sui margini di spazio per un’apertura alla modernità non lesiva della tradizione.

Le sue riflessioni vertono sulle nuove modalità per la proclamazione delle verità di fede, sulla relazione fra cultura e teologia, prendendo già atto di alcune opposte derive, del ritorno di antichi errori e di nuovi pericoli.

«Una sua preoccupazione costante era quella di distinguere ciò che è opinione teologica dalle verità di fede e, mentre il pluralismo teologico gli appariva sempre di più come del tutto legittimo, rifiutava ogni forma di pluralismo di fede» ha scritto Francesco Saverio Pancheri.[4]

«Va respinta con tutte le forze – scriverà Luciani anni dopo – l’idea che le verità di fede siano solo espressione di un momento della coscienza e della vita della Chiesa. Esse valgono sempre, anche se è possibile capirle sempre meglio ed esprimerle con forme nuove».[5]

Il “Piccolo Sillabo”

Insomma, sull’onda di questi problemi, è come se il vescovo di Vittorio Veneto, piuttosto che lasciare ad altri la bandiera del Concilio, optasse per farsene vessillifero: convinto che vi sia chi si è fatto abbagliare dal Vaticano II invece che farsi illuminare.

Con la bandiera del Concilio, riprende anche, come sempre, la sua penna. È il caso, verso la fine del ’67, del testo Piccolo Sillabo, stilato, di fatto, a ribadire – linea costante del Magistero sino ai nostri giorni – che la libertà ha significato solo dentro la verità.

Si tratta di un testo per la prima volta battuto a macchina sotto dettatura di Luciani dal segretario don Taffarel, mentre i due si trovavano a San Fidenzio di Verona per partecipare ad una riunione della Conferenza episcopale triveneta dal 23 al 24 agosto 1967. In quell’occasione nacque, infatti, la Lettera ai sacerdoti sull’anno della fede, che l’8 settembre 1967 avrà il titolo Meno che un sillabo e, infine, Piccolo Sillabo.[6] Una lettera subito pubblicata sia sul bollettino ecclesiastico di Vittorio Veneto sia su un opuscolo con alcune varianti.[7]

Dunque, a postconcilio appena avviato, dopo quel Concilio che non condannava nessuno, ecco un nuovo elenco degli errori contemporanei in materia di fede.

Pagine scritte da un autore che non ha certo paura del nuovo, anzi desidera assimilarlo, e che tuttavia, davanti alle prime interpretazioni conciliari che gli sembrano mettere in discussione la fede e il Magistero, non transige né patteggia.

Ma, se è vero che questo scritto, al di là di ogni giudizio, risulti emblematico di come il nostro seguisse tutto il movimento teologico, per poi mettere in guardia i suoi sacerdoti contro ciò che poteva minarli nell’integrità della fede, è anche vero che, nelle sue intenzioni, era diretto solo al clero e non ai laici.

Ai preti che gli avevano chiesto di potersi avvalere di ciò che aveva riferito nel primo ciclostilato Su alcuni errori contro la fede, in vista della proposta di Paolo VI per il XIX centenario del martirio degli apostoli Pietro e Paolo – quell’anno della fede per papa Montini era «quasi conseguenza ed esigenza postconciliare» –, Luciani aveva risposto: «L’anno della fede è altra cosa positiva, non un sillabo di errori».

E avvertiva i sacerdoti: «In quanto rassegna di alcune tendenze erronee, essi appariranno quasi un sillabo nella forma, mentre mirano solo a interessare e a informare con qualche elemento di valutazione. Non un sillabo dunque che vi metta in corpo la passione dell’eresiologo, che cerca l’errore per poi scagliare l’anatema del crociato […]. Un sillabo che, mettendovi in faccia all’errore […] vi innamori della verità».[8]

Gli errori segnalati

Fra gli errori denunciati da Luciani: «1’atteggiamento di chi sistematicamente ignora e sottovaluta certi aspetti della nuova scienza, della teologia e della pastorale, non ammettendo che la rivelazione immutabile, poste nuove situazioni, possa essere applicata ed esposta in maniera nuova», ma, di contro, pericoloso gli appariva «l’atteggiamento di chi vuol risolvere le questioni nuove con soluzioni del tutto nuove, che trascurano o volutamente ignorano elementi della tradizione». Quindi, esortati i sacerdoti a non lasciarsi confondere dalla stampa divulgativa o dalla teologia spicciola, optando invece per studi scientifici, presentava una sua «rassegna informativa e orientativa».

A proposito della sacra Scrittura (per Luciani «dopo il Concilio, l’anima di tutta la teologia»), il presule segnala il fascino sulle nuove generazioni della cosiddetta demitizzazione che nega i dogmi e ammette solo una religione fatta di pura carità evangelica, auspicando vigilanza del Magistero senza impedire però il lavoro degli esegeti.

Esaminando il diffondersi della sfiducia nella ragione umana, registra la tendenza ad abbandonare i termini tecnici in teologia, il ripresentarsi di relativismo ed esistenzialismo in filosofia, la sopravvalutazione degli influssi della storia e della conoscenza che arrivano a cambiare anche il senso delle verità rivelate.

Circa la storicità dei vangeli, sottolinea il ritorno delle tesi (definite “disastrose”) di Rudolf Bultmann con la resurrezione di Cristo legata ai miti delle religioni ellenistico-orientali.

Nel suo «sillabo», poi, Luciani segnala i pericoli di chi esagera l’importanza dei carismi a scapito della gerarchia in nome di una Chiesa spirituale o di un messianismo umano alla luce di interpretazioni fallaci dei testi conciliari, né è titubante innanzi a chi sottovaluta il Magistero cui si deve ossequio sincero anche quando non infallibile.

C’è spazio per precisazioni che riguardano le nuove presentazioni del peccato originale o le punte estreme neganti l’esistenza di leggi oggettive morali vincolanti (o che si rifugiano nella cosiddetta «morale della situazione»).

Né mancano avvertimenti sui rapporti con gli atei «teoretici» e «pratici».

Non è colpa del Concilio!

«Non vi impressioni l’elenco delle tendenze più o meno erronee. Di errori ce ne sono sempre stati nella Chiesa […]. Non vi passi per la mente che queste nuove tendenze siano frutto del postconcilio… Di buona parte di queste tendenze parlano già l’Humani generis e alcuni discorsi di Pio XII. Né crediate che, a certe conclusioni pericolose, conduca di per sé la ricerca teologica. Neppure vogliate scagliar pietre contro la ricerca stessa o il discutere».[9]

Ha scritto papa Francesco nella prefazione del libro Il Magistero. Testi e documenti del Pontificato di Giovanni Paolo I: «Albino Luciani è stato vescovo di Roma per 33 giorni. Con lui, in quelle rapide settimane di pontificato, il Signore ha trovato il modo di mostrarci che l’unico tesoro è la fede, la semplice fede degli Apostoli, riproposta dal Concilio Vaticano II».


[1] C. Bassotto, Io sono il ragazzo del mio Signore, Arti Grafiche Venete, Venezia/Quarto d’Altino, p. 25.

[2] Bassotto, pp. 362-364.

[3] OpOm 4,168-169.

[4] Il Magistero di Albino Luciani. Scritti e discorsi. A cura di S. Pancheri, Padova 1979, p. 21.

[5] OpOm, I, p. 321.

[6] Il Sillabo di Pio IX. Nel 1864 Pio IX pubblicò un’enciclica – Quanta cura – che conteneva anche Il Sillabo, un elenco di 80 proposizioni derivate dal pensiero moderno ritenute dalla Chiesa cattolica false e da confutare.

[7] Il Piccolo Sillabo, L’Aedi Editrice, Vittorio Veneto 1967. Dopo dodici anni queste pagine furono pubblicate nell’appendice di un volume curato da Antonio Ugenti: Albino Luciani, Il dono della chiarezza, Logos, Roma 1979.

[8] OpOm 4,48.

[9] OpOm 4,168-169.

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2 Commenti

  1. Pietro 6 settembre 2022
    • Anima errante 6 settembre 2022

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