Il cristiano? Mano, coscienza, luce

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È un sabato di settembre del 1940. Sono anni drammatici per l’Italia e ne seguiranno altri particolarmente tragici per l’intera Europa e per molti paesi del mondo.

Il parroco di Bozzolo, cittadina mantovana in diocesi di Cremona, sta redigendo le ultime righe di una sua riflessione sul brano biblico dei discepoli di Emmaus. Sul piccolo quaderno, dove elabora a penna tutti i suoi scritti, con mano ferma riporta l’ultima frase: «Il nostro Credo cantato su tutte le strade per confondere i canti dell’odio e segnare per sempre… il libero respiro dei figli di Dio». Poi, come se stesse compilando una specie di testamento spirituale, riporta il luogo, la data e la festa religiosa corrispondente: 14 settembre, festa dell’Esaltazione della Croce.

Questo prete di campagna – definito da Giovanni XXIII “la tromba dello Spirito Santo della bassa padana” – è don Primo Mazzolari. Quest’anno ne ricordiamo la morte, avvenuta nell’aprile del 1959.

Io, che sono nato alcuni giorni dopo la sua scomparsa e non ho avuto la fortuna di conoscerlo, lo considero uno dei più illuminati profeti del XX secolo. I suoi testi, sempre compilati con tratto poetico, ci offrono indicazioni spirituali, ancora oggi dense di freschissima attualità.

Il libro che don Primo ha appena concluso prenderà come titolo Tempo di credere. Verrà dato alle stampe nei primi mesi del 1941 e sarà immediatamente censurato e sequestrato il 5 marzo dello stesso anno, non dall’autorità ecclesiastica, ma dal Ministero della Cultura Popolare Fascista perché considerato tendenzioso e pericoloso per il regime. Arriverà in seconda edizione ventitré anni dopo, nel 1964.

Il fatto che sia un testo di spiritualità ci fa capire quanto le istanze della fede si possano incarnare nella vita di tutti i giorni, sollecitando il cristiano a dare ragione di ciò che crede. Una pratica che farà tremare il potente partito fascista.

Tutto lo scritto merita un’accurata meditazione. Ne voglio trarre alcune considerazioni su tre linee direttrici: «parole sull’uomo», «parole per la Chiesa» «parole rivolte ai cristiani» (i brani di don Primo in questo articolo, citati tra virgolette e in corsivo, sono presi da: P. Mazzolari, Tempo di credere, EDB, Bologna).

Parole sugli uomini

«Ogni idea di redenzione viene pure cancellata non essendovi più nulla di decaduto o di basso nell’uomo. La redenzione è svuotata, non ha più senso, perché non c’è più nulla da redimere. Il parlare di “perfezione”, di “rinascita”, di “purificazione”, è un assurdo».

«La vita va prendendo sempre più un aspetto di piazza, di palcoscenico, di competizione. Per difendersi dal limite, per non sentirlo come mistero, si tenta di deviare il corso delle nostre esperienze interiori o di sopprimere addirittura il mondo interiore, sfociando unicamente nel mare dell’avventura esteriore».

La riflessione è di un’attualità impressionante. Le fragilità umane sono oggi i nuovi tabù: la vecchiaia, la malattia, la debolezza, la morte. Vengono rimosse, rifiutate, camuffate. Si svuota il senso teologico della redenzione, secondo Mazzolari, perché non si accetta l’idea di un decadimento fisico-morale. Si è disturbati dall’idea della fragilità umana. Non c’è bisogno di una salvezza che venga dall’esterno.

La vera conversione nasce però, secondo il Vangelo, dalla presa di coscienza del limite e dal bisogno di un aiuto salvifico da parte di Dio. L’uomo di oggi è sempre di più l’uomo da palcoscenico, assetato di visibilità. Non ha bisogno di purificazione, ma di applausi (o di like: il “mi piace” dei social). Per fuggire dalle proprie debolezze, per creare l’oblio attorno al limite, l’uomo esce da se stesso, diventa “estrinseco”, cioè “apparenza” ed esteriorità ludica. Ecco allora la piazza, il palcoscenico, la competizione (anche se Mazzolari pensava ad altre piazze). Questa spinta estrinseca determina un impoverimento o addirittura una dimenticanza della dimensione interiore.

«Il santo nel nostro mondo pare essere spaesato. Gli viene opponendo un tipo di esemplarità nuova: l’uomo del sapere, del potere, della ricchezza. Ma si è scoperta la sua pericolosità. Il sapere senza bontà, il potere senza servizio, la ricchezza senza carità sono forze distruttrici».

«L’attenuarsi del senso dell’avvento documenta la nostra decadenza spirituale».

«La speranza è un credito fatto a Dio oltre ciò che l’uomo può vedere e capire».

Quali modelli sociali si evidenziano? I miti di un tempo passato si ripresentano sotto altre vesti anche oggi: la ricchezza, il potere e il sapere usato come forma di arroganza. È interessante notare che il prete di Bozzolo non definisce queste spinte come discutibili moralmente, ma come pericolose: forze distruttive per l’uomo e per la comunità.

Don Primo ci dà anche l’antidoto contro questi pericoli: la bontà per spezzare l’arroganza del sapere; il servizio per indirizzare il potere verso il bene comune; la carità per condividere le ricchezze di questa terra. Senza bontà, servizio e carità, il sapere, il potere e la ricchezza sono potenze destabilizzanti.

L’ultima nota sugli uomini è quanto mai attuale: la debolezza della speranza, la paura del futuro. Mazzolari chiama la speranza «i segni dell’avvento». Ci dà un richiamo forte: vedere i germi di bene, i germogli sotto le rovine; è un primo dovere per il credente. Per ritrovare i segni dell’avvento, bisogna ritornare verso il centro dell’uomo, coltivare la sua interiorità spirituale.

Parole sulla Chiesa

«Cristo entra e si mette a tavola con loro. Sulla strada era un viandante con i viandanti, nella taverna un commensale con i commensali. Si eguaglia. La comunione inizia con una dichiarazione di uguaglianza».

Cristo si affianca ai due discepoli di Emmaus, si mette alla pari. Spiega le Scritture, camminando con loro, sulla strada, non da una cattedra. Mazzolari è esplicito: non è sempre più grande la carità di chi sta al di sotto. Chi sta al di sopra o al di sotto può mettere a disagio. C’è da chiedersi: la Chiesa è capace di affiancarsi, di farsi compagna di viaggio dell’uomo? In realtà siamo molto preoccupati di trasmettere delle verità dottrinali o morali, di catechizzare (stare al di sopra) oppure di servire umilmente chi è nel bisogno (stare al di sotto). Ma il coraggio e la rivoluzione pastorale più grande, soprattutto con il mondo adulto, è quello di mettersi alla pari.

Cosa vuol dire mettersi alla pari? Credo che questo sforzo possa concretizzarsi in una serie di atteggiamenti che sacerdoti e laici dovrebbero sforzarsi realmente di applicare. Non confondere i ruoli con la dignità; lasciare che le vocazioni si esprimano nel loro mandato o nel loro campo specifico; valorizzare le competenze e i carismi; ascoltare umilmente tutti; lasciarsi aiutare e chiedere consiglio; non pensare di avere l’esclusiva dello Spirito (chi l’ha fatto ha spesso errato, credendo di essere nel giusto); promuovere la vera corresponsabilità.

 «Uno che cammina è più nostro di chi sta con noi. Lo stare dà l’impressione del padrone che sorveglia, che è lì per sollecitare chiunque si attarda».

«Sono così fastidiose e irritanti le presenze che guardano, giudicano e condannano».

«Chi non vive il nostro male, è un estraneo, anche se parla la nostra lingua, anche se siede alla nostra tavola, se prega inginocchiato a noi accanto. Molti occhi non lo vedono lo star male degli altri: molti non lo vogliono vedere e si distraggono».

C’è poi la dimensione del cammino. Chiesa come popolo in cammino. È un cammino come le nostre processioni? Il prete e pochi altri che cantano, alcuni in silenzio un po’ lì per dovere, altri che chiacchierano di altre cose e, infine, chi guarda dalla finestra?

Alcuni anni fa ho sperimentato la strada per Santiago. Chi ha fatto vere esperienze di un lungo cammino sa cosa vuol dire, sulla propria pelle, farsi compagni di viaggio. Si esprime anzitutto puntando all’essenziale. Cosa rappresenta oggi per la Chiesa l’essenziale? Poi significa condividere il percorso e le fatiche (anche le responsabilità); aiutare chi è nel bisogno; cercare di arrivare insieme e aspettarsi; camminare comunque come si è capaci. «Cristo non comanda nessun passo. Purché uno cammini».

Come si fa concretamente ad essere veri compagni di viaggio? La risposta di Mazzolari è chiara: nella condivisione, o almeno nell’empatia della sofferenza. Se il nostro male non è percepito dai nostri fratelli, questo non vale per Dio. «Al Signore importa il mio star male». Egli volge lo sguardo verso suo figlio che soffre. Bisogna saper volgere lo sguardo verso le sofferenze perché chi non vive il nostro male è un estraneo anche se prega vicino a noi.

Parole sui cristiani

«Il laicato si desta e prende il suo posto di responsabilità nella Chiesa e nel mondo».

«Penso a un giorno non lontano, quando il laicato cristiano darà mano, coscienza e luce a questi tentativi che, se operano fuori dalla Chiesa, non sono però fuori dall’avvento».

«Le realtà temporali sono pure cosa tua, o Signore, e se nessuno m’aiuta a passare per mezzo di esse non mi innamorerò dell’eterno».

Anche la formula è profetica: «Penso ad un giorno non lontano…». Mazzolari scrive negli anni 40. Una teologia ufficiale sul laicato cristiano arriverà con il concilio Vaticano II (a metà degli anni ’60). Ma la domanda che dobbiamo porci è: si sono realizzati gli inviti del Concilio sulla presenza, sulla figura e sulla vocazione del laicato cristiano? «Il laicato si desta». Nel cammino di maturità laicale si possono definire, a mio parere, coinvolgimenti diversi: utente, esecutore, collaboratore, corresponsabile. A che punto siamo nelle nostre comunità?

«Nella Chiesa e nel mondo». Il Concilio ha definito chiaramente che il posto privilegiato di santificazione del laicato è nella trattazione (impegno) delle realtà temporali (il mondo). Poi c’è ovviamente anche l’impegno intra-ecclesiale. Ma è un doppio binario con una via privilegiata. Credo che ci sia stato, in questi anni, uno spostamento di priorità dal mondo alla Chiesa. Il cristiano cerca spesso oggi il suo impegno prioritario di fede all’ombra del campanile (vedi gli inviti di papa Francesco all’impegno politico-sociale).

La vera rivoluzione sta nel vivere la propria coerenza nelle realtà temporali, applicando i valori evangelici, prima ancora di parlare di Gesù Cristo. Perché vivendo questi valori parliamo con la vita di Gesù.

Mazzolari dice esplicitamente che ciò che è al di fuori della Chiesa non è al di fuori dell’azione dello Spirito. In questo impegno nel mondo non ci si può fissare su strade superate dalla storia. Non si può rimpiangere il passato. Lo Spirito ha mano libera e ci spinge su strade nuove.

 «Non può esistere un cristiano neutrale: e volete che io lo sia di fronte a questo mondo in agonia. Se mi apparto non sono un cristiano; se non soffro insieme a tutti, non sono un cristiano; se non vivo la storia che passa, non sono un cristiano».

«Nessuno può tenere le mani in tasca per paura di contaminarle».

In questo impegno nel mondo e per il mondo non si può essere neutrali come chi tiene la mano in tasca. E come si fa a capire da che parte stare? Mazzolari ci dà la chiave di lettura: «Se non soffro assieme a tutti non sono un cristiano». Il cristiano sta dalla parte di chi soffre; e quali sono le azioni di un cristiano nel mondo? Don Primo ci indica tre parole che hanno un valore simbolico.

Mano: essere capaci di conversione e impegno concreto, non solo di pronunciamenti.

Coscienza: essere capaci di discernimento, cioè scegliere il bene con libertà e creatività.

Luce: essere esempio illuminante con la propria vita. In altri termini, essere segno di speranza.

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Un commento

  1. Giampaolo Centofanti 5 dicembre 2019

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