Delitto Mattarella, 44 anni dopo

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Pasquale Hamel, docente universitario, è stato funzionario parlamentare, giornalista. Già direttore del Museo del Risorgimento di Palermo, direttore della Fondazione Federico II e direttore scientifico dell’Istituzione Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Autore di numerosi saggi sulla storia della Sicilia. Dal sito della Pastorale della cultura della diocesi di Palermo, 15 gennaio 2024.

Quarantaquattro anni fa veniva ucciso Piersanti Mattarella, il presidente della Regione siciliana interprete di quel progetto di rilancio dell’Autonomia regionale siciliana ricordato come “Solidarietà autonomistica”.

Nonostante siano passati tanti anni, su questo orrendo delitto non si è mai fatta chiarezza, c’è molta incertezza perfino sul killer, nonostante la moglie del defunto presidente, che stava accanto al marito al momento dell’esecuzione, abbia riconosciuto nel terrorista nero Giusva Fioravanti, il feroce assassino.

Un dato è, comunque, certo: le indagini per arrivare all’individuazione dei mandanti e degli esecutori – come riconoscono molti commentatori – sono state segnate da molte superficialità e condizionate da fatti emotivi e pregiudiziali politiche che non hanno tenuto conto del contesto in cui si è iscritta l’intera vicenda.

Molte falsificazioni hanno poi offerto dell’impegno politico di Piersanti Mattarella una lettura assolutamente scorretta e strumentale, purtroppo passivamente accettata da chi invece avrebbe avuto il dovere di mettere in fila i fatti e, a buon diritto, pretendere che la verità venisse ripristinata.

Intanto un dato, dai più ignorato, quello relativo al governo guidato da Mattarella in quel periodo cruciale.

Pochissimi, infatti, sono a conoscenza o, semplicemente, ricordano che la coalizione a sostegno del progetto di “Solidarietà autonomistica” di cui il PCI era parte importante, era andata in frantumi, già nel marzo del 1979, per decisione dello stesso segretario del Partito comunista italiano.

Enrico Berlinguer era infatti – e mi rendo conto che quest’affermazione potrebbe suscitare le ire di chi ne ha fatto un’icona della correttezza politica – più attento al consenso elettorale che ai grandi progetti di rinnovamento e avanzamento democratico, temendo che, nelle consultazioni del maggio successivo, il PCI perdesse qualche frazione percentuale di voti, aveva pressato i dirigenti comunisti siciliani per il ritiro dell’appoggio al governo Mattarella, accampando come scusa anche pretestuosi inadempimenti e, soprattutto, «di non essere stato capace di scrollarsi di dosso certe sudditanze romane per accrescere la capacità contrattuale della Regione».

Un ritiro che, tuttavia, non prevedeva le dimissioni dei presidenti delle Commissioni parlamentari né la rinuncia al prestigioso incarico di presidente dell’Assemblea regionale siciliana, cariche che, per i compiti che erano assegnati agli stessi, consentivano il controllo dell’azione del governo… e non solo.

Al ritiro – e anche questo è stato dimenticato – il PCI fece seguire una certa polemica antidemocristiana e antimattarella che accompagnò i mesi successivi, nonostante le manifestazioni di buona volontà del partito di maggioranza relativa che, con i suoi voti, confermò, dopo le dimissioni dell’onorevole Pancrazio De Pasquale, come atto di buona volontà, la poltrona di presidente dell’Assemblea regionale siciliana ad un comunista, in questo caso a Michelangelo Russo, capogruppo del PCI.

Un altro passaggio da non trascurare fu quello del ritiro dalla coalizione, il quadripartito, che sosteneva il secondo governo Mattarella, del Partito socialista italiano, in questo caso si trattò dell’onorevole Filippo Fiorino che, in nome dei cosiddetti «equilibri più avanzati», mise in crisi la coalizione che, dopo il ritiro dei comunisti, Mattarella aveva messo insieme.

Il 6 gennaio, data dell’uccisione, Mattarella era solo e poteva contare sui voti del suo solo partito che, a dispetto di chi ha alimentato fosche leggende, continuava a sostenerlo con assoluta lealtà.

Questa incontestabilmente la cornice politica che non consente, dunque, come scrive Francesco Cangialosi nel suo L’isola dei passi perduti, quella sorta di appropriazione che, nel silenzio generalizzato, in questi anni il Pci ha fatto del Mattarella martire.

«Piersanti Mattarella, un democristiano diverso», cioè un leader casualmente trovatosi nella Dc ma che non aveva nulla a che fare con la cultura democristiana corrente, è stato questo, poi, il mantra ripetuto ossessivamente per realizzare in pratica quello che non è sbagliato giudicare un vero e proprio scippo dalle sue radici del presidente ucciso.

La definizione «un democristiano diverso», che purtroppo sembra non dispiacere anche ad alcuni suoi compagni di strada, sono convinto che lo avrebbe indignato e che, dallo stesso, sarebbe stata sdegnosamente respinta visto che, per tradizioni familiari e per formazione personale, Mattarella poteva – e deve – considerarsi, a buon diritto, un vero democristiano, erede cioè di quella tradizione sturziana e degasperiana che ha contribuito a costruire la democrazia nel nostro Paese.

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Un commento

  1. Giovanni Di Simone 20 gennaio 2024

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