Sinodo di Savona-Noli: il contenuto del Libro

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monet

Come promesso, in questo articolo riassumo i quindici capitoli del Liber del Sinodo diocesano della Chiesa di Savona-Noli celebratosi tra il 2021 e il 2024 e concluso lo scorso 17 marzo (cf. qui su SettimanaNews).

In ascolto

Nel primo capitolo, contestualizzando la realtà diocesana nello scenario post-pandemico, si espongono le ferite della Chiesa savonese: gli abusi – purtroppo anche sessuali – per i quali «talvolta hanno prevalso logiche di rimozione o di copertura» (n. 6); alcune forme di cattiva gestione delle risorse economiche; la fatica a vivere la fraternità e a valorizzare l’unicità di ogni persona.

A partire dall’ascolto della Parola di Cristo, spezzata anche nelle chiese domestiche e nei gruppi di condivisione, la Chiesa vuole ascoltare con empatia chiunque incontri nella quotidianità, lasciandosi attraversare e interrogare dalla realtà. In questo contesto, una norma obbliga il Vescovo, in vista delle nomine dei presbiteri, a consultare il Consiglio pastorale parrocchiale (n. 14).

La misericordia come forma Ecclesiae

Gesù mostra che tutti siamo bisognosi di misericordia. Il terzo capitolo vince atteggiamenti di giudizio e condanna, invitando ad amare l’altro per conoscerlo. Va accolto «come si presenta, a partire dal linguaggio con cui lui stesso si definisce»; perciò non temiamo di «utilizzare l’acronimo LGBT+, per dare volto a chi vi si riconosce: una realtà che non ha nome è una realtà negata» e apprezzare «l’Amore in tutte le forme in cui si presenta, anche in quelle meno tradizionali» (n. 17). Il gruppo del «Pozzo di Giacobbe» è luogo di confronto e crescita con tali realtà. La Chiesa avrà «il coraggio di osare nuovi approcci, laddove la dottrina non risponde più alla concretezza del reale», facendo riferimento alla «morale sessuale, e in particolar modo l’omosessualità». Rimettendo al centro Parola ed Eucaristia, questa va vissuta come «cammino e anticipo di pienezza, non come premio» (n. 19); i sacramenti sono infatti «storie di soggetti immersi in percorsi di misericordia» (n. 21).

Il quarto è dedicato al Popolo di Dio, con il desiderio «di essere accolti e accogliere l’altro, in qualsiasi situazione viva» (n. 25), per una Chiesa in cui «ciascuno può essere sé stesso», amato nella sua originalità (n. 26). Anche qui è necessario un paziente confronto «su tematiche delicate quali la diversità di orientamenti sessuali e le questioni di genere, già presenti tra noi e che non destano disagio alle nuove generazioni, senza anteporre giudizi avventati o aver paura del dissenso». Occorre «un ripensamento profondo della prospettiva maschilista e patriarcale» che ha marcato la Chiesa e la società; questo implica «il coinvolgimento di un maggior numero di catechisti uomini e di accolite donne» (n. 26).

Il quinto capitolo affronta le strutture ecclesiali che «devono essere al servizio delle persone e non viceversa» (n. 31), evitando un’eccessiva burocratizzazione, lasciando quelle non più funzionali all’evangelizzazione e discernendone la destinazione in modo condiviso sul territorio. Qui «è decisiva la corresponsabilità (e non la semplice supplenza) da parte dei laici» (n. 34), ai quali può anche essere affidata «la cura pastorale delle parrocchie» (n. 37).

Nei Consigli per gli affari economici – il cui parere, come quello dei Consigli pastorali deve essere «considerato decisivo per deliberare» e «chi li presiede deve motivare per iscritto le decisioni prese in disaccordo con le deliberazioni di tali organismi» – è necessaria la presenza di «giovani sotto i trenta anni di età» (n. 40). Una norma chiede di rendere pubblico il bilancio della Diocesi «sul sito diocesano» e quello delle parrocchie (n. 41).

Il sesto capitolo, sui ministeri ecclesiali, invoca un discernimento comunitario, attorno alla Parola di Dio, dei volti, dei bisogni e delle vocazioni di ciascuno, nella reciproca stima che incoraggia l’apertura al Padre e ai fratelli. «Soprattutto i ministri ordinati, formandosi nella dimensione feriale, lavorativa e conviviale di differenti famiglie e fraternità, imparano ad avviare processi in cui tutti sono partecipi: ascoltano e generano ascolto» (n. 44).

Molti sono i modi per vivere il battesimo, anche al di là di uno specifico ministero: assumiamo «scelte profetiche e talvolta controcorrente, perché la nostra identità è quella di anteporre la dignità di ogni singola persona umana alla convenienza individuale o di gruppo» (n. 45). Vi è attenzione anche ai «presbiteri dispensati dal ministero o che non hanno più incarichi» (n. 49), a un linguaggio meno clericale («si sostituiscano le espressioni “sacerdote” con “presbitero” o “prete”, “clero” con “ministri ordinati” e “celebrante” con “colui/colei che presiede”», n. 50) e alla non preclusione di «ministeri o incarichi associativi, parrocchiali o diocesani per il solo fatto della propria identità affettiva oppure […] perché impegnati in convivenze o in unioni civili» (n. 52).

Il settimo capitolo è dedicato all’educazione alla fede e alla preghiera: imparare a pregare insieme, sia nella dimensione personale che in quella comunitaria.

Dall’Eucaristia, la Chiesa

L’ottavo capitolo spiega che l’Eucaristia e la preghiera nutrono e presuppongono l’orizzonte della parola ascoltata e della fraternità condivisa. La Chiesa è formata per l’Eucaristia e dall’Eucaristia: non si tratta di essere nostalgici, ma piuttosto sorpresi dall’incontro diretto e semplice con la presenza reale del Signore (n. 62). Nella liturgia agisce il Signore e con Lui la Chiesa, che è la comunità sacerdotale dei battezzati in Cristo, presieduta dal Vescovo o dal prete (n. 63).

Legato al precedente, il capitolo 9 sui «santi segni» parte dall’icona dei discepoli di Emmaus, per poi affrontare temi specifici. Ad esempio, «non venga meno il necessario accompagnamento della comunità cristiana al percorso di fede personale, tradizionalmente espresso nel ruolo del padrino/madrina. Può essere conveniente, per sottolineare il cammino ecclesiale, che tale ruolo sia svolto da un catechista o da un altro adulto con un’esperienza di fede significativa all’interno della comunità e per la persona» (n. 67).

Inoltre «si ritiene più significativo posticipare il sacramento della riconciliazione dopo la prima Comunione» (n. 68), mentre per «il rito delle esequie, che può essere presieduto da laiche e laici, i presbiteri e i diaconi […] sono accompagnati, laddove sono presenti, dai ministri o da membri delle confraternite» (n. 70).

Per le Messe caldeggia esperimenti di «alternanza liturgica fra le diverse parrocchie ma sempre all’interno di progetti di respiro temporale più ampio, non legato alla semplice mancanza di presbiteri»; anche le «celebrazioni della Parola guidate da battezzati o ministri istituiti» devono essere garantite «al di là della presenza o meno di un ministro ordinato» (n. 75).

«I poveri ci conducono al cuore di chi è Dio: ne sono rivelazione e sono i principali destinatari del suo messaggio» (n. 77). Così si apre il capitolo 10, che parte da Cristo per arrivare ai poveri, che suscitano una conversione personale, oltre a offrire «il prezioso dono di un vero “magistero” che permette di guardare con mente e cuore convertiti alle dimensioni fondamentali della fede» (n. 78). Ci si sofferma sul «come» dell’incontro e dell’azione, imparando «a non dire solo “poveri” ma anche “impoveriti”, perché il più delle volte il loro stato non dipende dalla loro responsabilità, mentre chiama in causa la nostra» (n. 79), anche nel denunciare «in maniera coraggiosa e competente le ingiustizie» (n. 80).

L’undicesimo capitolo è sul «sacramento» della casa; non contiene norme, bensì solo sogni, in un ambito già fin troppo regolato. I paragrafi si ispirano alla premurosa ospitalità di Abramo e allo stile di Amoris laetitia. Senza rinunciare al matrimonio, gli sposi si sentano non superiori a chi non è sposato, ma testimoni dell’amore di Cristo. «Riconoscere una pluralità di forme di famiglia, e quindi il fatto che il legame affettivo possa essere vissuto in tanti modi, senza alcuna chiusura, è cosa buona. È sterile la contrapposizione tra una difesa politicizzata della famiglia tradizionale e una altrettanto politicizzata esaltazione della pluralità delle forme di legame» (n. 88).

Il punto successivo rimarca che «le famiglie “diverse” non devono sentirsi fuori posto, le famiglie “normali” non devono sentirsi a posto». Non sminuiamo «le altre forme di relazione che desiderano abitare nell’amore ed essere amore, nella complessità del mondo contemporaneo, né la realtà affettiva delle case religiose, delle case delle coppie omosessuali, delle case di single e della “casa solitaria” di chi non ha instaurato relazioni formali»: ciascuna ha «ricchezze e potenzialità da scoprire, benedire e sviluppare insieme nella Chiesa» (n. 89).

Le difficoltà ci accomunano: «Anche chi vive sulla carta in una famiglia “tradizionale” non è detto che stia vivendo il sacramento ricevuto»; c’è però «una buona notizia per ogni esperienza affettiva» (n. 90): se «fondata sull’amore, può essere generativa, in infiniti modi» (n. 91).

Fratelli tutti

Segue il capitolo 12 dedicato alla Chiesa «dalle genti», a partire anche qui dall’ospitalità di Abramo. Riporto alcuni passaggi: «Pensare la fede con l’altro, e non più contro o senza l’altro. […] Non si accoglie perché si riveste un ruolo, ma perché c’è una persona che ci fa incontrare la vita. Corriamo il rischio di sentirci padroni di un’accoglienza paternalista, come se noi fossimo a posto e gli altri soltanto bisognosi di aiuto. Non sono gli altri a convertirsi a noi, ma noi che abbiamo bisogno di conversione [che] ci rende fecondi: diventiamo persino capaci della vita stessa di Dio. Questo ci fa riconoscere di essere vicini a quel Dio che da sempre è il più vicino a noi» (n. 92).

Non più delega, ma responsabilizzazione perché ciascuno accolga Cristo che «si rende presente in colei o colui che bussa alla nostra porta» e ci insegna a cambiare prospettiva, cioè ad amare (n. 93). Riecheggia il Documento sulla fratellanza umana: «Dio stesso vuole la diversità di culture, lingue e religioni, perché possiamo conoscerci e amarci sempre più nella nostra diversità». Si invita a «sperimentare approcci e forme rituali significative per le sensibilità culturali di ciascuna persona» (n. 97).

Il capitolo «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale» è in prima persona plurale, per evitare il paternalismo di chi parla dei giovani senza di loro: «Ascoltate senza pregiudizi la voce di noi giovani: potremmo essere disorientati, ma non è affatto detto che, ascoltandoci, non si possa sentire lo Spirito. Spesso la mancanza di risposte e la disaffezione nascono dal non incrociare sul nostro cammino adulti che sappiano essere testimoni credibili» (n. 101).

I giovani esprimono il desiderio di vicinanza, concretezza e coerenza, apprezzata in Gesù ma che faticano a scorgere nei linguaggi, riti e atteggiamenti ecclesiali. Affermano di aver vissuto «difficoltà, disagio e talvolta esclusione anche dagli ambienti ecclesiali, ma nonostante ciò c’è chi vuole restare in comunione con la Chiesa» (n. 105). Tra gli interrogativi, la sofferenza psicologica e le preoccupazioni per il clima e il lavoro, non si placa la sete di radicalità, di andare sino in fondo, di scelte di vita “per sempre” che possono anche prendere forma «nelle ministerialità ecclesiali, ordinate o istituite, o nelle diverse esperienze di vita consacrata, aiutandole a svecchiarsi» (n. 106).

Alla Chiesa si chiede di essere un terreno «che prevenga abusi spirituali o di coscienza, che ci incoraggi a crescere nell’autenticità e nello slancio libero e appassionato». Anche per questo domandano «momenti di educazione all’affettività, durante i quali diversità di genere e orientamento sessuale non vengano giudicati e condannati» (n. 113).

La sfida della Laudato si’ è raccolta dal 14° capitolo, che parte dalla contemplazione delle meraviglie di Dio a partire dalla nostra condizione creaturale. Questo implica la custodia del Creato del quale facciamo parte, nella prospettiva dell’ecologia integrale e dell’educazione alla pace. «Vogliamo ridiscutere gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, perché è chiara l’intima connessione tra la salvezza per l’uomo e la salvezza del creato, così come siamo consapevoli che la conversione ecologica si intreccia con la guarigione delle ferite da noi provocate» (n. 117).

Dalla spiritualità ecologica e dall’analisi dei fattori ambientali, economici e sociali scaturiscono scelte concrete. Tra le proposte: la promozione di Comunità Energetiche Rinnovabili Solidali, di un Gruppo di Acquisto diocesano, dell’Economia Circolare, nonché del consumo critico, scegliendo fornitori di energia «che privilegino l’utilizzo di fonti rinnovabili» e «banche non coinvolte nel finanziamento di industrie di armi» (n. 124).

Il Liber si chiude con il capitolo «Bellezza, dialogo, comunicazione», che trae ispirazione dall’episodio di Paolo all’Areopago. Di qui l’invito a «cogliere il bello» nella vita di ciascuno (n. 128). «Ci è di esempio il linguaggio “disarmante” e “trasgressivo” dell’amore utilizzato da Gesù per comunicare al mondo quel “diverso” che scaturisce dalla fede e dal sapere accogliere senza giudicare» (n. 126).

La dinamica tra custodia e sperimentazione emerge pure nella ricerca di «un linguaggio comprensibile», per farci capire da tutti, «in modo diretto, empatico e chiaro, e non per questo scontato o banale»: «scegliere con cura le parole, preferendo quelle più semplici, comprensibili e accoglienti, è aver cura delle persone» (n. 132). Questo vale anche nell’omelia, se si rispetta «una tempistica adeguata alla capacità di ascolto» (n. 135).

L’ultima norma chiede, infine, di rendere gratuiti per i giovani «opere e musei diocesani con relative mostre ed eventi» (n. 140).

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