Etnia italiana e immaginario razzista

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razzismo

Esiste una sola razza umana. Come dimostrato dagli studi della genetica delle popolazioni, le razze intese come gruppi distinti secondo gerarchie fondate su basi biologiche esistono solo nell’immaginario.

Ma proprio per tale collocazione nell’immaginario dei razzisti, il razzismo, pur non avendo alcun fondamento scientifico, può continuare a operare, a contribuire, a indirizzare la costruzione del nostro mondo sociale, politico, psichico quotidiano. Questa la ragione per cui la contestazione e la messa al bando da parte della scienza del concetto di razza non ha affatto abolito il razzismo.

Quello della razzializzazione/etnicizzazione è un processo politico, sociale, mentale basato su meccanismi psicologici cognitivi e comportamentali installati e acquisiti precocemente a partire dai primi anni di vita del bambino e assai presenti e operanti nella popolazione adulta.

Studi nordamericani condotti nei decenni più recenti su popolazioni di afroamericani, nativi amerindi, hawaiani hanno evidenziato sintomi da disagio sociale dovuto a pregiudizi e discriminazioni, fonti di uno stress che può essere acuto, episodico, cronico e anche quotidiano, con esiti in sintomi di depressione, ansia, disturbo post-traumatico anche rilevanti dal punto di vista clinico.

Fra questi è stata descritta la sindrome dell’invisibilità quale comportamento adattivo rilevato soprattutto nei maschi afroamericani: questo significa sentirsi e tenersi ai margini nelle relazioni interpersonali, con conseguenti conflitti interiori circa il riconoscimento/disconoscimento e la valorizzazione o meno dei propri talenti o capacità.

A tali disagi nella vita di ogni giorno le persone discriminate fanno fronte ricorrendo, oltre che a risorse personali e a strategie di adattamento – quali “non reagire” rimanendo “freddi” -, a risorse comunitarie – ad esempio, le pratiche religiose -, ovvero andando allo scontro coi razzisti per affermare il proprio diritto di esistere e l’orgoglio di sé.

Nei casi più gravi, i soggetti discriminati arrivano ad accedere alle terapie psichiatriche. Ma va tenuto conto del fatto che, anche il ricorso alle terapie per reggere alla scelta dell’invisibilità, può diventare, a sua volta, caso problematico in quanto stigmatizzante.

Lo stigma comporta un pregiudizio – evidentemente negativo – che sta alla base non solo di una diminuzione delle relazioni sociali, ma pure del grado di autostima personale. L’autostima ha un carattere fluttuante: si costruisce a partire dalla nascita nelle relazioni interpersonali e comunitarie “locali”, quindi si traduce in opinioni, giudizi, posture del corpo, gesti e azioni.

Il razzismo si esprime, dunque, attraverso micro-aggressioni, messaggi stereotipati, atteggiamenti interiorizzati al punto da non apparire intenzionali, bensì, appunto, spontanei, “banali”, quotidiani. Nelle vittime ciò può indurre, oltre alla citata bassa autostima e allo sconforto psicologico, idee suicidarie. Non va poi assolutamente dimenticata l’importanza dei fattori che aggravano la costrizione nella marginalità: in primo luogo il grado di povertà.

Suggerisco al ministro Lollobrigida di continuare a studiare – magari non solo sulla Treccani – prima e nel mentre usa termini delicati quali razza ed etnia.

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