Il “Camino” di Compostela: diario di bordo

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Prima parte del racconto

Sabato 27 Maggio – Partenza da Pisa e arrivo a Madrid con volo Ryanair

Il gruppo è composto di sette persone, quattro donne (Donatella, Elsa, Clara e Assunta) e tre uomini (Stefano, don Antonio e Mario, il nostro indiscusso capo–cordata, i cui consigli saranno decisivi per il buon esito della nostra avventura). Sosta di qualche ora a Madrid e visita al quartiere di Moncloa, zona con bei parchi e palazzo dell’Aeronautica militare, edificio imponente (le forze armate fanno le cose in grande anche da questa parti…). Poi partenza per Ponferrada, dove giungiamo dopo alcune ore di pullman.

Camino di Santiago

Domenica 28 maggioSolennità dell’Ascensione di Gesù al cielo – prima tappa del nostro cammino da Ponferrada a Villafranca del Bierzo, coprendo i primi 24 km

Abbiamo celebrato la messa nella cappella attigua all’ostello e poi, zaino in spalla, si comincia a camminare attraversando paesi e campagna, prima pianura e poi colline, molti terreni ben irrigati con tante vigne e tanti ciliegi, di cui gustiamo i frutti maturi, gustosi e dissetanti. Traviamo sul cammino parecchie persone, di molte provenienze. La gente locale che si incontra augura: Buen Camino! Nella parrocchia di un paese dove sostiamo per mangiare qualcosa c’è la messa delle prime comunioni, escono bambini e bambine abbigliati come da noi negli anni ‘60. Le gambe funzionano a dovere, solo un po’ di bruciore ai piedi.

Lunedì 29 Maggio – seconda tappa da Villafranca del Bierzo fino a O Cebreiro – 30 km di cui gli ultimi 10 in salita per un dislivello di circa 800 metri

La prima parte noiosa perché, accanto a strade trafficate, per fortuna quasi sempre separati da una barriera di cemento, e poi quasi sempre lungo un torrente che rendeva rigogliosa di alberi la valle: ancora ciliegi e poi pioppi, querce, castagni secolari e anche parecchi noci, purtroppo quasi tutti malati. L’ultima parte, abbandonato l’asfalto, è un bel sentiero di montagna, prima nel bosco e poi tra prati, faticoso il giusto…

Il problema è stato affrontarlo avendo nelle gambe la strada precedente. Ancora più numerosa e assortita la quantità di pellegrini, è facile scambiarsi qualche parola da improvvisati poliglotti. Per un tratto ho camminato con una ragazza coreana e un’altra delle Hawai, poi con una coppia lui russo della Crimea e lei rumena… Quasi al termine del cammino, di fronte a una meravigliosa vallata, una bella ragazza venuta da Chicago si era fermata e cantava canzoni accompagnandosi con una piccola chitarra. La sera alle 19 celebrazione dell’eucaristia nella semplice e bella chiesa parrocchiale di O Cebreiro, retta dai francescani e con vivo apprezzamento per la nostra presenza di italiani (noi sette, ma anche molti altri). Questa è una delle mete parziali importanti, ciclisticamente equivale a un tappone dolomitico.

Martedì 30 Maggio – da O Cebreiro a Triacastela – un po’ più di 20 km

All’inizio percorso ondulato con qualche salitina ripida, poi discesa e ultimo tratto su un bel sentiero tra querce e castagni. Eravamo partiti verso le 7.30 e io sono arrivato insieme a Mario e Stefano (con le donne ci siamo separati… in strada, nel senso che ci aspetteremo all’arrivo di ogni tappa e ognuno viaggerà col suo passo) poco dopo le 13. Al bar del Peregrino abbiamo mangiato una bella pastasciutta, due uova al tegamino e patatine fritte. Poi riposo, lettura, un po’ di bucato e cena di gruppo.

Mercoledì 31 Maggio Festa di Maria che va a trovare Elisabetta con un lungo viaggio. Noi abbiamo camminato da Triacastela a Sarria per circa 25 km

Abbiamo scelto il percorso che passa per Samos, dove c’è un monastero benedettino molto grande e ci dicono bello, che però non abbiamo visitato perché bisognava aspettare quasi un’ora. Poi un cammino da godere, soprattutto sentieri tra campi, castagni e querce, lungo corsi d’acqua che facevano venir voglia di metterci dentro i piedi, e ricordare il Salmo 1: «Il giusto è come l’albero piantato sulla riva del fiume, ricco di foglie e frutti». E anche tante pecore, mucche, contadini, una casa colonica con fiori alla finestra come in Alto Adige. Alla sera, messa nella chiesa dedicata a Santa Marina e retta dei padri della Mercede (niente a che fare con la Mercedes Benz).

Le gambe continuano a rispondere, solo una piccola vescica a un ditino del piede destro… Il cammino di oggi, rispetto ai precedenti, è ancor più da pellegrini: non abbiamo trovato bar o punti di ristoro e neanche fontane, se non quasi alla fine. Minor assistenza e supporti costringe a fare affidamento sulle risorse personali, fisiche e mentali. E c’è ancora più spazio per pensare, ricordare, pregare (un po’ di breviario lo recito mettendo insieme i salmi che so a memoria e i canti della fede più significativi per me).

Giovedì 1° Giugnoda Sarria a Portomarin

Quinto giorno di cammino. Scrivo questi primi appunti durante una sosta a «soli» 100 km da Santiago, più di metà del viaggio è alle spalle. Fin qui il percorso è molto bello e interessante, uscendo da Sarria abbiamo costeggiato un monastero, attraversato un antico ponte, camminato accanto a una ferrovia, affrontata una bella salitina nel bosco e poi un altopiano di prati delimitati da grosse pietre, qualche mandria di mucche e vitellini (una piccola Alpe di Siusi, però sullo sfondo invece del Sassopiatto c’è una lunga fila di pale eoliche). Percorso quasi sempre all’ombra di querce secolari e castagni, a tratti in parallelo a ruscelli. Durante il cammino, o si parla con gli occasionali compagni di strada o si prega o si ruminano pensieri, impressioni, ricordi.

Ricupero – e a tratti canticchio – canzoni che hanno a che fare col cammino e la strada, cominciando da When the saints go marching in, e poi uno dei canti alla Madonna che cantiamo spesso a Calci: Santa Maria del cammino: viene dall’America Latina e mette insieme fede e carità, preghiera e solidarietà… E poi una bellissima canzone di Claudio Chieffo, Il viaggio: «Fammi camminare ancora… non ho più né padre né madre… il sole del mattino m’incontrò sulla strada a rincorrere i passi che avevo perduto… ho attraversato i monti, ho attraverso il mare, e ora voglio con Te continuare il mio viaggio…» (ne consiglio l’ascolto su YouTube).

E ancora, immancabili, tante canzoni di Guccini, intense e vere:

Lunga e diritta correva la strada…

Statale 17…

Il vecchio e il bambino, che si preser per mano e andavano insieme…

La mitica Locomotiva, lanciata in una corsa ribelle contro l’ingiustizia, inutilmente eroica…

La strada bianca su cui ripartire dopo una sosta in un piccolo Autogrill

Le vie sconosciute su cui se ne vanno Le ragazze della notte

… fino al cammino (senza ritorno?) verso L’ultima Thule

Seconda parte del racconto

Una volta conclusa la tappa a Portomarin – centro abbastanza grande e tutto nuovo perché sostituisce il vecchio paese sommerso da un lago artificiale, che attraversiamo su un lungo e alto ponte al termine del quale bisognava salire 59 scalini, ciliegina sulla torta per i miei doloranti piedi. I quali trovano ristoro insieme a tutto il corpo grazie alla calda doccia di un ostello lindo e ospitale. Verso la fine dell’odierno cammino eravamo stati superati da alcuni italiani in mountain bike, all’ultimo dei quali ho gridato «forza Nibali!», che lui ha apprezzato in quanto siciliano. Anch’io mi sento un po’ Nibali, nel senso che, se cammino insieme a Mario e a Stefano, arrivo sempre terzo… Le reminiscenze ciclistiche fanno parte della mia vita, per fortuna la distanza dall’Italia e i collegamenti incerti mi hanno evitato, sabato e domenica scorsi, di soffrire in diretta tv per la conclusione del Giro d’Italia meno italiano di sempre, come partecipanti e come vittorie. L’Italia in bicicletta è un po’ come l’Italia intera: abbiamo toccato il fondo o scenderemo ancora?

Venerdì 2 Giugnoda Portomarin a Palas de Rei Circa 25 km

Percorsi a buon passo partendo alle 8 e arrivando poco dopo le 14, con sosta intermedia per cappuccino e frittata. Subito all’inizio una bella e impegnativa salita nel bosco, poi un tratto lungo una carretera – cioè strada asfaltata – però col percorso pedonale separato e ben protetto. Poi sentiero di quasi–montagna, valicando a 700 mt (circa 350 il dislivello) con bella vista intorno e aria fine. Le nuvole alte sotto cui eravamo partiti si sono diradate ma il sole non ci ha creato problemi, grazie all’ombra di querce bellissime e protettive.

Terreni coltivati a prato alternati a tratti di bosco, è in corso la raccolta del fieno con falciatrici e trattori all’opera. E tanti allevamenti di bestiame, poche mucche da latte e molte bestie giovani da ingrasso.

Ancora più gente di ieri sul percorso, da ogni dove e di ogni tipo. Mi fa tenerezza una coppia non giovanissima che camminano tenendosi per mano, lui con zaino pesante e lei più leggero; e poi un frate francescano col saio, polacco; una coppia giovane con un cagnolino zoppo al guinzaglio… Insomma, si trova di tutto e di più, la cosa che più infastidisce sono i taxi appostati agli incroci per far salire pellegrini in crisi e le agenzie che hanno programmato pellegrinaggi comodi… il massimo è un pullman noleggiato da un’agenzia USA con una strana scritta di cattolici «orgogliosi e dinamici» (pro o contro Trump?).

Alloggiamo all’ostello San Marco, accanto alla parrocchia, struttura moderna ed efficiente, ordinata, con abbondanza di docce e bagni e ottimo servizio di lavatrici e asciugatrici. Nel locale d’ingresso campeggia una bella scritta: il turista pretende il lusso, il pellegrino apprezza l’ospitalità… non male come messaggio!

Lungo il cammino di oggi ho rimuginato due motivi di riflessione. Il primo è legato alla preghiera, dal serbatoio della memoria (tra poco saranno 43 anni che sono prete, e prima vita in parrocchia dall’infanzia e Azione Cattolica diocesana – Aspiranti e GIAC – negli anni belli della gioventù…) continuo a pescare ricordi e canti, tra quelli di oggi «Ascolta la preghiera del popolo in cammino, Madre di Dio, Madre della Chiesa…». Chiederò al coro della Valgraziosa di metterlo in programma, bontà loro…

Un secondo pensiero è collegato al 2 giugno, festa nazionale in Italia. Al di là della mia contrarietà atavica, vetero–pacifista, alla parata militare, il pensiero – con l’aggiunta di una preghiera – è per le sorti della democrazia nel nostro paese e per l’apporto dei cristiani, dei cattolici (insieme a tanti altro uomini e donne di buona volontà…) alla vita civile, alla costruzione e alla cura della «cosa comune» (res publica).

Al di là delle etichette, in altre stagioni la pianta della fede cristiana ha portato frutti di testimonianza, stagioni di feconde novità a beneficio dell’intera società, fedeltà al Vangelo anche se non sempre alla gerarchia o alle congreghe, e forse/anche/proprio per questo ci furono uomini e donne capaci di creare futuro: De Gasperi, che rifiutò le pressioni vaticane che volevano la DC a governare il comune di Roma con i fascisti; Moro, che fece il centrosinistra sfidando parecchi vescovi tra cui il card Siri; La Pira che si beccò l’accusa di comunistello di sagrestia e intanto requisiva le ville dei ricchi per dare un tetto ai poveri… cose di cui conservo preziose memorie grazie all’indimenticabile Maria Eletta Martini; a quel ceppo non è estranea la sensibilità del presidente Mattarella.

I have a dream: laici cristiani che sappiano pensare in grande oggi, non per sé né per la loro parte, ma per l’Italia e l’Europa… le sfide sono il lavoro, serie misure di contrasto alla povertà, il futuro dei giovani, la lotta all’evasione fiscale e ai privilegi, l’accoglienza dei migranti, la pace…

Nella messa ho pregato per il riposo eterno di Walter Palandri, parrocchiano e amico che non ritroverò a Calci al mio ritorno.

Ora riposo, cena e a letto presto per un buon cammino domani!

Sabato 3 Giugnoda Palas de Rei a Ribadiso do Baixo25 km

Pellegrini certamente, ma ben disposti alla sperimentazione alimentare: arrivati a Melide, dopo una quindicina di km della settima tappa, non poteva mancare una sosta per il polpo alla gallega da Ezequiel, innaffiato da un buon vinello bianco. Poi caffè corretto e si riparte!

Era previsto di arrivare ad Arzua, ci siamo fermati 4 km prima in località Ribadiso de Baixo, piccolo villaggio di abitazioni quasi tutte adibite ad accoglienza e ristorazione dei pellegrini. E comunque ci siamo messi alle spalle 25 km, ormai la distanza da Santiago è non più di 45 km. Oggi, dopo la sosta gastronomica a Melide, ancora sentieri in una bella e fertile campagna, tanti terreni seminati a granturco, orti con patate rigogliose e ortaggi promettenti, e ancora tante mucche.

Parecchi tratti ombrosi, alle diverse specie di alberi trovate finora si sono aggiunti gli eucalipti. Attraversiamo piccoli corsi d’acqua su caratteristici ponti, l’ultimo dei quali immette al villaggio di arrivo. Nella seconda parte del percorso due belle salitine troncagambe, o forse il passo era rallentato dall’impegno digestivo del polpo…

Stamani ci eravamo fermati per una preghiera e il timbro sulla Carta del pellegrino in un paio di chiesette aperte – non tutte lo sono – nella seconda delle quali c’è un Cristo in croce particolare: il braccio sinistro inchiodato al legno, il destro staccato dalla croce e piegato verso il basso, come a indicare la strada. L’ipotesi è suggestiva: anche/proprio dalla croce Gesù continua a insegnare e a guidarci sul giusto cammino!

Ieri sera avevo dimenticato la mia felpa in un negozio/laboratorio di magliette per pellegrini gestito da un uomo che era stato campione di sollevamento pesi, poi ha perso un arto inferiore in un incidente e ora fa questa attività con un risvolto solidale: ogni mille magliette vendute regala la protesi a qualcuno che ha perso una gamba come lui, facendolo curare al Rizzoli di Bologna. Poiché ha anche un punto di vendita lungo il percorso che dovevamo fare e stamani andava lì, ho avuto la bella sorpresa di ritrovare la mia felpa, che lui aveva portato con sé prevedendo il mio passaggio: evviva questo campione di altruismo!

Oggi, durante il cammino, pensavo a come è differente questa esperienza dalle non poche camminate che ho fatto e che continuerò a fare. Ricordavo quando, bambino, andavo col babbo e con lo zio Giuliano (ora tutti e due mi guardano di lassù) sui monti Pisani, e poi le prime cime delle Apuane su cui don Pierluigi Furlan conduceva noi ragazzi di Mezzana, e poi la scoperta di montagne «vere» scarpinando e sudando sui sentieri di Val di Fassa, Val d’Aosta, Val Pusteria…

Lì si tratta sempre di raggiungere un luogo (un panorama, una cima, un bel prato…) per poi ritornare al punto di partenza, al massimo il giorno dopo dormendo in un rifugio, meglio se con un percorso circolare anziché rifare la via dell’andata. Qui la cosa cambia radicalmente, ogni tappa ha una nuova meta e indietro non si torna, quello che troverai sarà sempre una scoperta, una sorpresa e forse una conquista, una vittoria sulla parte di te che vorrebbe fermarsi o voltarsi indietro. La tentazione in agguato è la stessa del popolo d’Israele, che nel cammino verso la terra promessa rimpiange le cipolle d’Egitto…

Non so ancora che cosa porterò con me dal Camino, però comincio a pensare una cosa: è una parabola della vita, della mia vita, da vivere guardando avanti, senza diventare replicante del già vissuto, e invece aperto a nuove sfide, incontri, sorprese, rischi, scoperte… e tutto questo è possibile solo volendolo, preventivando e accettando la fatica e la sfida, sentendoti nonostante tutto attratto da una meta che desideri e che però sarà nuova rispetto a quello che sai e sei già…

Mi fermo qui con una citazione di Dag Hammarshold: «Al passato grazie, al futuro sì!».

Domenica 4 Giugno, PentecosteDa Ribadiso de Baixo a Pedrouzo circa 24 km

Prima sosta ad Arzua, dopo circa 4 km; qui volevamo celebrare la messa, ma c’era da aspettare più di un’ora e allora, dopo la sosta in un bar ben fornito di dolcetti locali, riprendiamo il cammino attraversando una zona boscosa di belle querce, poi anche pini montani e soprattutto tanti eucalipti, alcuni davvero giganti, che profumano l’aria. Troviamo anche dei noci rigogliosi e con bei frutti in maturazione, molto diversi da quelli malati e rinsecchiti frequenti nella prima parte del cammino.

Nelle preghiere in cammino, un pensiero particolare ai cinque bambini che don Federico sta battezzando stamani nella Pieve di Calci e un’invocazione allo Spirito Santo per il gruppo dei giovani (18 – 25 anni) che alla fine di questo mese riceveranno la cresima.

Siamo arrivati a Pedrouzo verso le 15, alloggiati in un ostello, anche questo nuovo, doccia ristoratrice, riposo e poi messa di Pentecoste nella chiesa parrocchiale retta, come altre in questa zona, dai padri di don Guanella. La celebrazione è intensa e coinvolgente, il racconto della varietà delle lingue per annunciare l’unica Bella Notizia viene attualizzata dal celebrante, padre Fabio, che fa alzare la mano, gruppo per gruppo, ai pellegrini delle diverse nazionalità: tranne l’Africa, ci sono tutti i continenti. Omelia incisiva e preghiera dei fedeli con intenzioni libere dell’assemblea, benedizione finale a tutti i pellegrini chiamati attorno all’altare.

Penso a una possibile e forse necessaria attualizzazione del racconto biblico: a Gerusalemme persone di nazioni diverse sentirono tutti annunciare le grandi opere di Dio ciascuno nella propria lingua, oggi bisogna che i migranti in arrivo sulle nostre coste da tante parti del mondo ci sentano parlare il linguaggio dell’accoglienza e della solidarietà.

Lunedì 5 Giugnoarrivo a Santiago di Compostela.

Lasciamo Pedrouzo dopo la consueta colazione: cappuccino con pane tostato, burro e marmellata, il carburante di quasi tutte le mattine. Primo tratto del cammino all’ombra di querce ed eucalipti, con l’accompagnamento del concerto di un cinguettio di uccellini. Poi si comincia a udire il rombo degli aerei e arriviamo a costeggiare il recinto dell’aeroporto, lo stesso da cui ripartiremo giovedì.

Si prosegue attraversando un paio di villaggi e finalmente abbiamo di fronte il monumento dedicato a San Francesco e a Giovanni Paolo II eretto in cima all’ultima salita, il Monte do Gozo: monte della gioia! Infatti le salite sono finite e giù in basso si vede l’abitato di Santiago.

Entriamo in città su ampi viali, rotonde, semafori e, infine, la città vecchia e l’arrivo sulla piazza della Cattedrale. È di rito inginocchiarsi sulla pietra che reca un’antica iscrizione, proprio al centro della piazza, di fronte all’imponente edificio. Anche se le ginocchia scricchiolano e i muscoli sono doloranti, lo facciamo volentieri, e poi abbracci e baci tra compagni di cammino con l’aggiunta di qualche lacrima. Stamani eravamo partiti verso le 8, ci siamo aspettati per giungere insieme alla meta poco dopo le 14. Peccato che la monumentale facciata, con l’imponente portico della gloria, sia nascosta dal ponteggio allestito per i restauri.

Dopo aver lasciato il bagaglio presso l’alloggio – in via San Rocco, nei pressi della Caritas interparrocchiale (ma guarda!) – e un po’ di lavaggio e di ristoro… è il momento di entrare nella cattedrale dal transetto di destra. È d’obbligo concludere il pellegrinaggio salendo dietro l’altar maggiore per abbracciare la statua di san Giacomo, e poi scendere nella sottostante cripta per sostare qualche momento davanti all’urna che ne contiene il corpo. Oltre a questi adempimenti rituali, vivo intensamente due cose: la Confessione (da un prete spagnolo, ma prima mi assicuro che intenda bene l’italiano) e l’adorazione eucaristica nella cappella a ciò dedicata, al riparo dall’ondata di turisti più che di pellegrini. Poi messa concelebrata all’altare centrale, sotto San Giacomo abbracciato in precedenza, attorniato da un trionfo di decorazioni barocche: oro a profusione e anche un bel po’ di polvere…

Avremo tempo per ritornare sul Giacomo dei Vangeli e sul suo corpo arrivato qui dopo il martirio, e anche sul senso dell’arrivarci a conclusione di un cammino denso di pensieri, ricordi, speranze, incontri con persone nuove e anche con la compagnia diversa ma vera di chi ti ha seguito da casa o dal cielo con l’affetto e la preghiera, e che hai portato nel cuore camminando. Anche quando i piedi facevano male, tuttavia erano belli, come diceva san Paolo…

Martedì 6 Giugnointera giornata a Santiago

Ieri eravamo arrivati a Santiago col cielo coperto, verso sera aveva cominciato a piovere e sotto la pioggia siamo usciti dalla cattedrale e dopo la sosta in un buon ristorante di quelli di noi che non avevano già mangiato (qui un pasto completo e buono costa come da noi una pizza e una bibita) e poi un bel sonno senza l’assillo della sveglia.

Stamani, dopo una favolosa dormita, risveglio con un bel sole, colazione con cappuccino e dolcetti locali e comincio a scrivere questi appunti mentre sono in coda per la Compostela, una sorta di diploma conferito a chi dimostra, con i timbri in regola sulla Carta del pellegrino, di aver fatto almeno 100 km. Noi ne abbiamo fatti più di duecento, la pergamena ufficiale dice che da Ponferrada ne ho fatto 218… robetta, in confronto a chi è partito dalla Francia facendone più di 800! Come li fece nove anni fa Mario Messerini, il nostro prezioso e impareggiabile capocordata. A lui va il primo grazie riconoscente, il secondo a don Federico che si è fatto carico per due settimane di gioie e fatiche della vita parrocchiale. Altri grazie sarebbero troppi, mi fermo qui e casomai provvederò in seguito. Però tutti quelli che si sono fatti vivi – o mi avevano salutato prima di partire – con parole, pensieri, messaggi, richieste di preghiera e attenzioni varie si sentano ricambiati!

Ora abbiamo davanti questo e un altro giorno, e poi a casa, a riprendere la vita quotidiana però belli carichi: carichi dello zaino con cui riporteremo a casa un po’ di panni da lavare ma soprattutto ricordi, pensieri, emozioni, immagini, volti, fatiche, scoperte, speranze …

Come ha scritto qualcuno, a proposito di un altro tipo di viaggio: «Ne valeva la pena»! Sono proprio convinto che valeva la pena di camminare sei/sette ore al giorno, fino al punto prima di sentire dolore ai piedi e poi di scordarmene perché i pensieri che nascevano dentro, i paesaggi che vedevo, la gente che augurava Buen Camino, i volti che avrei ritrovato al ritorno e anche la percezione che ce la stavo facendo contavano di più…

Ritorno su alcuni canti e preghiere – in aggiunta ad altri già ricordati – che mi hanno accompagnato, pescando nella memoria fin dall’infanzia e l’adolescenza e assaporando in modo nuovo e antico parole e sogni:

  • «Quando cammino per il mondo, il Signore cammina accanto a me, lo riconosco tra la gente di ogni razza e nazionalità. A volte però mi fermo perché la strada è faticosa, allora anche Lui si siede laggiù e mi aspetta sorridente…
  • Viva la gente, la trovi ovunque vai, viva la gente simpatica più che mai…
  • È la mia strada che porta a te, è la mia strada Signor che porta a te… e mio fratello viene con me… e mia sorella, e la mia gente, e batte le mani chi viene con me…
  • Signore, io sono Irish, quello che verrà da te in bicicletta!
  • Tu quando tornavo eri felice …
  • Camminando e cantando la stessa canzone, nelle fabbriche e a scuola e nei campi e in città…
  • Dio del cielo, se mi vorrai amare, scendi dalle stelle e vienimi a cercare…
  • C’è un’oasi nel deserto dove un giorno a chieder l’acqua si fermò un forestiero…»

Intanto lentamente avanza la coda per ottenere la Compostela, la parola viene da «campo di stelle», una pioggia luminosa che indicò a un contadino, secoli e secoli fa, il campo in cui era sepolto il corpo senza testa dell’apostolo Giacomo. È questa la vicenda leggendaria che dà origine alla costruzione dell’imponente cattedrale e al cammino dei pellegrini. Storia e leggenda si intrecciano, come per tante storie di santi e racconti di vicende prodigiose da cui derivano santuari, feste, devozioni popolari.

Quello che conta è che la religione sia al servizio della fede, che le devozioni aiutino a vivere un’autentica preghiera, e soprattutto che i racconti troppo umani – popolari o colti che siano – non annacquino l’Evangelo…

Riprendo a scrivere, ritirata la Compostela, seduto su una panca della grande, ricca e affollata cattedrale. E proprio dai racconti del Nuovo Testamento recupero quel che serve per una degna e cristiana memoria di Giacomo. Figlio di Zebedeo come Giovanni, era uno dei quattro pescatori che furono i primi a lasciare tutto per seguire Gesù. Lui e il fratello sono detti «figli del tuono», hanno una madre impicciona che tenta di raccomandarli a Gesù perché occupino i posti d’onore nel Regno che pare imminente. Gesù le risponde che l’unica cosa che conta è saper bere al suo stesso calice. Il calice sarà quello della passione, però quando il Maestro chiederà a Giacomo, come a Pietro e a Giovanni, di vegliare e pregare con lui nel Getsemani, i tre si metteranno a dormire. Eppure, non era la prima volta che Gesù faceva a quei tre una speciale proposta di coinvolgimento: li aveva portati con sé sul monte della trasfigurazione anticipando lo splendore della risurrezione, li aveva chiamati a seguirlo a casa di Giairo, il capo–sinagoga la cui figlia era morta e che Gesù aveva richiamato in vita. E loro, come tutti noi, duri e maldestri, generosi solo a parole incapaci di vegliare un’ora sola…

Però Giacomo il calice della passione lo bevve davvero, primo tra gli apostoli a subire il martirio sotto la persecuzione di un Erode degno successore di quello della strage degli innocenti. E poi tante altre cose che qui si dicono di noi, per descrivere le quali il condizionale è d’obbligo…

Lascio tra parentesi il Santiago «matamoros», a cavallo e con la spada in mano per far strage di musulmani. Prendiamo per buona l’affermazione che il culto di Santiago contribuì ad arginare la conquista europea dell’islam in procinto di passare i Pirenei, non emetto giudizi sul passato.

Ma per il presente faccio mie le parola di una mitica canzone di Bob Dylan, che ricordo nella versione di Joan Baez: «Se Dio è dalla nostra parte, dovrà far sì che non ci sia un’altra guerra». E così, sulla tomba dell’apostolo martire, preghiamo per la pace.

Torno al Santiago martire, testimone della fede fino all’effusione del sangue. Chi è il cristiano? Uno che non mette niente e nessuno davanti alla fede in Gesù Cristo, nemmeno il bene preziosissimo della vita. A che serve vivere, se non per la fede e per fare del bene, per spendersi per la solidarietà e la pace, per una causa grande e bella che dia senso alla vita? Ciò che è bene vero non si può barattare con qualcosa che permetta semplicemente di sopravvivere, di salvare la pelle… Mentre stamani, alla messa degli italiani, un prete lo spiegava ai pellegrini, la memoria è andata a Graziella Fumagalli, il medico responsabile del centro anti–tubercolosi di Caritas italiana a Merka, in Somalia, che pagò con la vita la sua fedeltà alla causa della carità, una donna intelligente e generosa che curava tutti con totale dedizione e grande competenza, senza accettare compromessi.

Qualche mese prima l’avevo incontrata e lei, alla domanda se non aveva paura nel lavorare in mezzo a violenze e ricatti, aveva risposto: «Che cosa ci possono fare? Tutt’al più ci ammazzano!». Questa è la risposta di un pazzo oppure, nella lingua dei Vangeli, di un testimone, cioè di un martire. E così, sulla tomba di Giacomo apostolo e martire, l’ho ricordata insieme a tante persone care che penso e spero nella gioia del Cielo: cominciando dai miei genitori, Alberto e Giuliana, e poi l’arcivescovo Alessandro e tanti altri che hanno finito il cammino terreno.

Mercoledì 7 Giugnoovvero: qui finisce l’avventura…

Da pellegrini consapevoli a turisti quasi per caso, per l’escursione organizzata in pullman con guida avendo come meta principale Finisterre, la punta all’estremo Nord–Ovest della penisola iberica.

Prima sosta a Ponte Maceira, villaggio caratteristico con un antico e suggestivo ponte.

Seconda fermata panoramica – da noi sarebbe un Belvedere, qui lo chiamano Mirador – con vista sull’Atlantico e, in lontananza, Finisterre; il punto d’osservazione è in cima ad un’altura caratterizzata da una gran quantità di pale eoliche.

Altra sosta a Muros, paese marinaro, uno dei tanti porti collocati nelle numerose insenature che hanno caratteristiche analoghe ai fiordi; questo mare è molto adatto alla coltivazione delle cozze, che crescono su piattaforme lignee ancorate a qualche distanza dalla costa. E poi visita alla Cascata di Èzaro, in fondo a un fiordo, spettacolo naturale della forza della natura, che sarebbe ancor più fragoroso se buona parte dell’acqua non fosse incanalata per produrre energia elettrica.

Attraversata Cee, arriviamo a Finisterre. Qui la terra finiva davvero: finis terrae per i romani, oggi Fisterre per i galiziani. Di fronte a noi «il grande Atlantico sonante» e, infinitamente al di là del mare, il Nuovo mondo scoperto da un coraggioso marinaio italiano. Un faro sormonta il promontorio della costa che fu chiamata «della morte» perché qui i naufragi erano all’ordine del giorno. Dopo la vista dal panorama del faro, ritorno al paese per una ricca grigliata di pesce (alle 15.30, ora giusta per il pranzo in Spagna).

Di nuovo in pullman per visitare il Santuario della Madonna di Muxia, la chiesa non è gran che ma continuiamo a goderci la vista e il vento dell’oceano.

La giornata di distensione turistica è utile per «ruminare» i giorni trascorsi camminando e l’impatto con Santiago. Non ero partito con particolari programmi e obiettivi, solo col desiderio e la curiosità di un modo diverso di ri–scoprire un po’ di cose passo dopo passo, di fare un po’ di conti con me stesso e di guardare la mia vita e il mio «lavoro» in prospettiva, direi col giusto distacco per rituffarmici dentro.

Né vacanza né fuga, ma ricarica delle batterie, verifica del funzionamento del motore, controllo della capacità di mettere a fuoco, per guardare le cose dalla giusta distanza: una sorta di tagliando per testa, cuore, occhi, muscoli, fede, vita…

Ritorno sull’impatto con Santiago. Al di là della bellezza barocca, pomposa, eccessiva dell’edificio sacro, l’entrata nella cattedrale e soprattutto i momenti di preghiera personale, la confessione e la messa in tante lingue – bella la prassi di coinvolgere i concelebranti facendo recitare loro una parte della preghiera eucaristica nel proprio idioma – sono stati momenti vissuti intensamente.

Ho portato con me nel cuore e ho presentato al Signore e all’intercessione di san Giacomo prima di tutto la realtà dell’unità pastorale della Valgraziosa: idee e progetti, sogni fatiche speranze, grane e arrabbiature, ma soprattutto il desiderio – affidato al Signore e all’intercessione del primo apostolo martire – di lavorare insieme, di camminare insieme.

E poi la chiesa pisana con l’arcivescovo Giovanni Paolo, i preti e tanti laici che lavorano nella Chiesa e nel mondo, a cominciare da quelli del vicariato Pisa nord-est, la Caritas e tutto quel che le ruota intorno, e ancora le Acli pisane, la fondazione Casa card. Maffi, la fondazione Zancan…

Un angolino particolare di preghiera per il progetto «Misericordia Tua» a Sant’Andrea a Lama e per la casa famiglia «Durante noi» per ragazzi down che prenderà vita a Mezzana, in quella che è stata (e in certo modo continuerà a essere) la casa dei miei genitori Alberto e Giuliana.

Grazie al Signore, ai compagni di viaggio e a tanti che mi hanno accompagnato con affetto, grazie per aver potuto portare queste cose nel cuore fino a Santiago.

Domani partenza, sosta a Barcellona e arrivo a Pisa in serata.

Un caro saluto a tutti quelli che, anche grazie a Facebook, mi hanno accompagnato fin quaggiù. Forse ci speravate, ma non vi siete liberati di me!!!

Firma di don Antonio Cecconi

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