Il declino della fede in Europa

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Vi propongo stamattina una riflessione che prende solo uno spunto dal Vangelo di oggi, là dove Gesù dice, parlando del Padre: «Voi non lo conoscete. Io lo conosco perché vengo da lui ed egli mi ha mandato».

È una frase che condensa tanti motivi giovannei, che ruotano attorno alla vera conoscenza di Gesù e di Dio come padre di Gesù. Per Giovanni tutto si gioca, quanto alla religione ma anche semplicemente nella vita, nel conoscere il vero volto di Dio a partire da Gesù e quello di Gesù riconosciuto come volto umano, apparizione storica, manifestazione visibile del Dio eterno e fedele.

Conoscere Gesù e conoscere Dio: questo è ciò che conta, ma anche ciò che sta venendo meno in tanti nostri paesi europei, con una celerità che lascia sconcertati. Sembra di trovarsi di fronte a un processo inarrestabile di declino della fede cristiana nella nostra Europa. Sorge così la domanda su che cosa fare di fronte a un tale scenario.

Sono due gli atteggiamenti che scattano il più delle volte. Da una parte, stanno quelli che prendono atto del cambiamento e si adeguano in modo acritico, assecondando l’andazzo e rassegnandosi all’inesorabile sbiadire del cristianesimo. Sul versante opposto, stanno invece quelli che ingaggiano una battaglia senza quartiere contro quanti dimenticano o rifiutano la fede cristiana e cattolica, e quegli altri che cercando di difendere in tutti i modi possibili il patrimonio ricevuto finiscono con il ritrovarsi fuori dalla realtà che evolve e ridotti a setta.

Non c’è futuro per la fede con nessuno dei due atteggiamenti. Eppure sembrano proprio essi i più diffusi oggi. Se guardiamo a Gesù, vediamo che egli non si scoraggia e non rinuncia a pronunciare la sua parola di verità; nello stesso tempo, però, si fa prudente, non si espone al pericolo che lo minaccia, in attesa che giunga la sua “ora”. Continua la sua opera affidandosi al Padre e disponendosi a ciò che gli chiede.

Non voglio trarre conclusioni sbrigative e strumentali dal Vangelo, ma fa pensare il fatto che Gesù non rinuncia a dire la verità per cui è venuto e tuttavia non fa la guerra a chi ha deciso di rimanere ostinato nella propria chiusura all’appello della realtà e dei segni di Dio, come ben rappresentato anche nella pagina del libro della Sapienza.

Qual è la risorsa e la risposta del credente di fronte alla chiusura ostinata al riconoscimento di Gesù e di Dio o all’indifferenza? Sta in questo: nel non rinunciare mai a dire la verità e a testimoniarla, attendendo i tempi di Dio, anche se, al momento, l’unico destino possibile sembra la croce.

Quale traduzione potremmo fare di tale messaggio per noi oggi?

In primo luogo, va ricordato che il cuore del Vangelo non è una morale o una dottrina, e nemmeno un sistema sociale, una cristianità, ma è l’incontro e il riconoscimento di Dio in Gesù nelle condizioni storicamente date. È questo che va cercato e favorito al di sopra di tutto, anche per me, anche per noi. Questo vuol dire mettere in conto anche il suo rifiuto attorno a noi. Non resta che perseverare nella fede, certi che il Dio di Gesù è fedele.

In questa perseveranza bisogna usare discernimento. Avverto perciò due compiti. Lavorare per tutelare e far passare la visione della persona e della comunità umana che scaturisce dalla nostra fede e che corrisponde perfettamente al senso dell’umano comune, quello che davvero promette a ciascuno di raggiungere sé stesso, di attuare la propria umanità.

Questa sarà una fatica non sappiamo se inutile o feconda. Forse sarà solo una testimonianza; possibile anche che porti frutti inattesi. Ma dobbiamo sapere che questo sforzo sostiene la fede indebolita e la condizione umana di molti.

Guardiamoci però dall’atteggiamento di chi si illude di fermare una frana inarrestabile; ciò che serve è uno sguardo realistico e fiducioso allo stesso tempo, che proporziona l’impegno al risultato possibile, sapendo che, alla fine, il nostro sforzo non sarà infecondo.

Il secondo compito che vedo mi viene suggerito dalla raccomandazione che il profeta Geremia fa agli esiliati: lavorate, mettete su famiglia, fate figli, fate prosperare il paese in cui vi trovate. Oggi in qualche modo sentiamo che comincia un tempo di esilio; sentiamo che lavorare a favore dell’Europa, anche di un’Europa sempre meno cristiana, è, alla fin fine, lavorare per la causa dell’uomo in questo continente e nell’umanità intera. L’Europa – e un’Europa unita – ha qualcosa di importante da dare e noi dobbiamo essere i primi a favorirne l’opera e la fecondità.

Tutto questo però richiede una cosa: coltivare la conoscenza e quindi l’incontro vivo e costante con Dio grazie a Gesù e con Gesù in Dio e come Dio. È questo ciò che tutti dobbiamo innanzitutto curare. Noi vescovi, perché questo è il cuore del nostro ministero. E anche voi, cari collaboratori della segreteria. Il nostro lavoro nasce da un’ispirazione di fede e dal vigore dell’esperienza cristiana. È ciò che dobbiamo innanzitutto coltivare nel segreto del nostro cuore e nel cuore della comunità cristiana, come in questa eucaristia, alla quale affidiamo ogni nostra invocazione e tutta la nostra vita.

Venerdì, 24 marzo 2023

Mariano Crociata

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