Pregare: dove, come e perché

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Padova, 12 dicembre 2023. Come pregare in famiglia? Perché si prega? Quale relazione tra le tante preghiere e l’eucaristia? Sono le tre domande che hanno accompagnato la giornata di studio “Formare alla preghiera cristiana. Una strada per rigenerare le comunità”.

Come pregare in famiglia? Perché si prega? Quale relazione tra le tante preghiere e l’eucaristia? Sono le tre domande che hanno accompagnato la giornata di studio “Formare alla preghiera cristiana. Una strada per rigenerare le comunità” del 12 dicembre 2023, organizzata in collaborazione dai due cicli di licenza (in teologia pastorale e spirituale) della Facoltà teologica del Triveneto, a Padova: si sono alternate le voci di padre Antonio Bertazzo, docente di scienze umane e vicedirettore del ciclo di licenza; don Loris Della Pietra, preside dell’Istituto di Liturgia pastorale di Santa Giustina; don Matteo Del Santo, responsabile del Servizio catechesi dell’arcidiocesi di Milano.

I riti cristiani in famiglia

«Dio già abita il quotidiano. Dobbiamo dare parole cristiane che diano senso al vissuto: non si tratta di aggiungere, ma di portare alla luce quel teologico, quella presenza di Dio, che già abita l’esperienza. Su questo dobbiamo aiutare e aiutarci», ha affermato Matteo Dal Santo.

La preghiera in famiglia è possibile, pur nel contesto odierno, segnato dalla velocità e dalla presunta mancanza di tempo. Anzi, proprio questa condizione genera una ritualità familiare, che permette di restare vivi, cioè di abitare da umani il rapporto così conflittuale con la velocità e con il tempo. I gesti dell’affetto, il racconto serale attorno alla tisana, un momento di pausa al sabato mattina, sono solo alcuni dei riti familiari.

Questa, dunque, la tesi: è possibile introdurre i riti cristiani in famiglia a partire dai riti che già ci sono. A due condizioni: motivare in modo nuovo la preghiera e offrire occasioni desiderabili. Si entra gradualmente: primo, allestire uno spazio, bello, visibile, modificabile; secondo, dedicare un tempo breve, intenso, ripetitivo, perché la ritualità è un appuntamento; terzo, utilizzare i linguaggi e i gesti della casa: parole semplici e gesti affettuosi, corporei (si pensi alla benedizione sulla fronte in ricordo del battesimo); quarto: accogliere l’esito. I riti infatti creano legami, relazioni, appartenenza.

Lo stesso vale per le feste cristiane. «Le grandi feste – ha sottolineato Dal Santo – sono grandi narrazioni: le feste vissute in casa hanno accordato il tempo liturgico con quello delle persone e hanno allargato il senso stesso del celebrare. Un celebrare che non è solo pregare, ma si esprime attraverso le parole della casa. Nel celebrare familiare, troviamo modalità concrete per dare corpo alla fede, per rendere visibile, alla portata di tutti, la celebrazione cristiana».

La festa cristiana viene così scoperta come grande narrazione, un grande racconto che non utilizza solo le parole (si pensi alla tradizione ebraica). Un racconto, una preghiera, un gesto, un simbolo o un oggetto, un canto, un gioco, un’attività, un cibo, un ornamento esteriore: tutto racconta della festa. C’è una sinergia da riscoprire tra liturgia e spiritualità popolare. Non sono sullo stesso piano, ma si illuminano a vicenda.

Un desiderio di infinito

Perché si prega? Tutti portano in sé una capacità naturale di Dio. Il bisogno di credere è legato al bisogno di strutturazione della personalità; se è negato un riferimento al trascendente, le persone fanno fatica a dire “chi sono”, e si sviluppa maggiormente una violenza sociale. Credere, dal punto di vista antropologico, è garanzia di stabilità dell’identità, perché è un bisogno pre-religioso (Kristeva).

Tutte le persone riescono a creare interiormente una relazione nella quale si sentono riconosciuti: in un certo senso, cercano di ricreare un padre e una madre amanti, che permettano di essere apprezzati e attesi (Rizzuto).

Il bambino, in particolare, sviluppa modalità concrete per entrare in relazione con la realtà. Percepisce le cose attorno a sé come viventi, anche i giochi, i fumetti ecc. Dato che non conosce la logica della causa-effetto, deve esserci sempre qualcuno che l’ha provocato.

Queste dinamiche sono anche negli adulti, quando non riescono a dare ragione di eventi importanti: malattia, morte, fenomeno naturale distruttivo… Così affidano a Dio la responsabilità nell’aver provocato il fenomeno. “Perché Dio mi ha mandato questa malattia?”. Oppure circa il domani: “Qualcuno mi aiuterà”.

Emerge in qualche modo la necessità di dover credere, di entrare in relazione con qualcuno che garantisca una continuità e una sicurezza. Davanti all’impotenza dettata dalla realtà, gli adulti ricorrono a un Dio capace di risolvere le questioni e i problemi. Si sottomettono a questo Dio, quasi per ottenere la conversione di Dio alle proprie necessità.

Gli adulti devono ricongiungere gli opposti, per cercare un equilibrio e un benessere fisico: da qui nasce la preghiera, che fa riferimento al Dio Onnipotente.

Il bisogno di credere tocca anche il senso del mistero. Mistero non è solo ciò che è inconoscibile: definire il mistero di una persona significa indicare la realtà più intima dell’io, ciò che lo costituisce appunto come persona. È qualcosa che è rilevabile nel pensiero, nell’intelligenza, nell’agire. In tutto ciò che rende la persona pensante, amante e volente. È la capacità di pensare ciò che non è visibile né sensibile.

È questa la capacità di apertura al trascendente: per esempio, il rapporto con il tempo («ricordiamo ciò che abbiamo vissuto e anche quello che ci attende»); poi il bisogno della ricerca, della domanda, della meraviglia, della relazione; il rapporto con il dolore, che è inserito in ciò che è imprevedibile e difficile da affrontare; il tema della solitudine, cioè dell’assenza di intimità; il cuore inquieto e l’insoddisfazione; infine, il sorriso e il gioco. Il sorriso è tipicamente umano: si pone nell’opposizione tra realtà e illusione. E il gioco è l’esperienza più profonda dove si sperimenta la dimensione simbolica. «Siamo segnati – ha evidenziato Antonio Bertazzo – da un desiderio di infinito e dalla necessità di porre un limite a questo desiderio: nasce un conflitto esistenziale, che risolviamo attraverso il bisogno di credere».

Rito e mistero

Come la liturgia incontra questa esperienza antropologica fondamentale, perché possa essere incontro con Cristo? Il rito è quella realtà che fa percepire per via simbolica che il mistero è altro. Una preghiera senza ritualità non fa i conti con la corporeità e scade nel panteismo. Il rito è il linguaggio più adatto per attestare una spiritualità non disincarnata.

La preghiera cristiana è universale, perché sono tre gli elementi in gioco: il soggetto orante, il suo rapporto con il bene, il suo rapporto con il prossimo. Quali sono, allora, le forme della preghiera cristiana?

La domanda di beni per sé, l’invocazione allo stato puro. È la preghiera più elementare: è già un modo per rompere l’autosufficienza. Non si può eliminare la domanda nella preghiera.

Poi c’è la domanda di beni per l’altro: è domandare a Dio qualcosa per un altro. Qui sta anche il suffragio dei defunti. Tra l’orante e Dio si colloca un terzo, la situazione per cui pregare.

Terza forma, è la domanda di bene a cui corrisponde il rifiuto del male: confessare il male è un modo di pregare. Non è chiedere qualcosa, ma è riconoscere che manca qualcosa che solo Dio può dare in termini di bene.

Poi la domanda di saper perdonare e di essere capaci di perdono: l’altro è destinatario del proprio perdono.

Infine la lode, strutturalmente segnata dall’alterità: si loda perché si gode del bene altrui. È il superamento del meccanismo dell’invidia.

L’eucaristia accoglie e purifica la preghiera umana: è il grado massimo, ma prima ci sono forme intermedie. A causa del venir meno delle devozioni, la messa ha coperto tutto il posto del pregabile. Abbiamo bisogno di riscoprire il dialogo fecondo tra i riti di famiglia, la preghiera come esperienza antropologica universale, le forme della preghiera cristiana e l’eucaristia.

«La Chiesa dovrebbe guadagnare il terreno sulle soglie esistenziali. Servono forme credibili di iniziazione alla liturgia, per i piccoli, per i giovani, per gli adulti. Ma anche esperienze di rottura, di sospensione. Abbiamo pensato che una liturgia è tanto più avvincente quando assomiglia alla vita. Ma così non abbiamo ottenuto quello che volevamo ottenere. Abbiamo bisogno di riconoscere – ha concluso Loris Della Pietra – che le cose che contano devono essere una rottura, una sospensione con il quotidiano, se lo vuole trasformare».

Alla luce anche delle domande che i gruppi sinodali rivolgono nei confronti dell’esperienza liturgica, la giornata di studio ha offerto alcune piste interessanti di esercizio di pensiero e di pratica pastorale.

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  1. Pietro 8 gennaio 2024

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