Mons. Giovanni (Pelushi) di Korçë è il nuovo primate della Chiesa ortodossa albanese autocefala. Il 16 marzo il sinodo e il collegio elettorale lo hanno eletto all’unanimità e in perfetta continuità con il predecessore, mons. Anastasio Yannoulatos (cf. qui su SettimanaNews).
La sorprendente rinascita di una Chiesa dopo la drammatica stagione del comunismo e i suoi caratteri dialoganti, ecumenici e di coesistenza fra popoli diversi sono stati confermati. Giovanni di Korçë è stato il discepolo e l’aiuto più vicino ad Anastasio. Sui tre milioni di abitanti, la maggioranza è di ceppo musulmano (84%). Gli ortodossi sono l’8% e i cattolici il 6%.
Dall’islam “bektashi” alla fede cristiana
Giovanni Pelushi nasce nel 1956 in una famiglia islamica di appartenenza “bektashi”; battezzato in segreto nel 1979, è attivo come psicologo all’ospedale psichiatrico di Tirana dal 1979 al 1990.
Fugge in Italia e, grazie a una borsa di studio, va a Boston (USA) presso la Scuola superiore di teologia ortodossa. Dopo il master, torna a Tirana nel 1994 diventando diacono e presbitero nello stesso anno.
Anastasio lo rimanda a studiare a Boston e, dal 1996 al 1998, è preside dell’accademia teologica di Albania. Traduce importanti opere dei padri greci e scrive il primo manuale di dogmatica.
Ordinato vescovo da Anastasio (1998), si butta nella pastorale a Korçë, fonda e dirige una rivista (Tempulli) che rappresenta un luogo di incontro di teologi locali e stranieri, oltre che di tematiche sociali e culturali. Partecipa attivamente al movimento ecumenico ed è fra gli estensori dei documenti del concilio ortodosso di Creta (2016).
Credente clandestino
In un’intervista del 2002, ripubblicata da Ortohdoxie.com il 16 marzo, racconta della sua famiglia “bektashi”, cioè appartenente all’islam ma con evidenti tracce di tradizione cristiana come i tre livelli del clero, la venerazione dei santi e delle icone e l’uso del vino. Fra parentesi, ricordo che l’attuale primo ministro, Edi Rama, ha proposto nel settembre scorso di riconoscere ai “bektashi” un piccolo stato sull’esempio del Vaticano.
Il padre ha conosciuto la prigione come “nemico dello stato”. Giovanni – ma il suo nome di famiglia è Fatmir – si converte al cristianesimo nel 1975 dopo la lettura del Vangelo. Entra in una piccola comunità clandestina e viene battezzato nel 1979 con grande rischio per sé e per il battezzatore.
Erano gli anni di maggior persecuzione verso i credenti. «Abbiamo molte persone che hanno sofferto la persecuzione e che oggi devono cercare di impedirsi di diventare a loro volto dei persecutori. Per questo è così importante per noi imparare a perdonare […] È decisivo che le tre principali comunità religiose partecipino a tale sforzo. Le religioni in Albania devono convivere […] Nel nostro piccolo paese di divisioni ne abbiamo già abbastanza. Non abbiamo bisogno di altre».
Una generazione perduta
C’è un’intera generazione perduta fra i 40 e i 60 anni, priva di riferimenti religiosi.
«Il grande peccato è la paura dell’altro. Quando c’è paura, tutto il mondo è una minaccia. Di questo vi sono molti sintomi anche fra i cristiani. Il vero senso della parola inglese “gospel” è “buona novella”, ma ci sono quelli più attratti dal vangelo della “cattiva notizia”. Sono circoli religiosi più interessati all’Anticristo che al Cristo, al numero apocalittico 666 che alla Santa Trinità. È un orientamento fissato sulla paura, sulle “cattive notizie”! Nella misura in cui tale mentalità prospera, il contributo cristiano alla società si svilisce. Laddove la fede, la speranza e l’amore fioriscono, si produce una vera trasformazione. La fede cambia la vita».
Discepolo e continuatore
«Abbiamo a che fare con il culto dell’individualismo. La Chiesa non è fatta di individui, ma di persone. Un individuo è qualcuno nello stato di separazione, fuori della comunione. La persona, invece, è unica ma, al tempo stesso, in comunione con gli altri. Non potete isolarla. Una persona non è mai clonabile o ripetibile. La sua esistenza include gli altri. Senza l’altro non c’è persona, senza comunione non c’è esistenza».
Quando, nel 1992, tutti scappavano dal paese, Giovanni ritorna, nonostante i solleciti a rimanere all’estero, e affianca l’azione pastorale del primate Anastasio. Ora è chiamato a prolungarne la testimonianza.
Grazie per questa presentazione onesta e simpatetica. Da’ bene a sperare per i rapporti ecumenici con questa piccola chiesa, che con Anastasio è stata capace di tessere relazioni importanti, presentandosi spesso come ponte e spazio neutrale di dialogo tra le parti in conflitto. Speriamo che il nuovo arcivescovo si muova nella stessa linea, e tutto ciò che per il momento si sa di lui, e che l’articolo sottolineo, lo lascia credere. Axios!