Il Meeting di nessuno

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È facile pensare che, passata qualche settimana dal World Meeting on Human Fraternity, svoltosi il 10 giugno, e costatato il suo fallimento, non ci sia più nulla da aggiungere. Il nome impegnativo, i circa trenta premi Nobel coinvolti, i numerosi artisti, lo spiegamento di sponsor, le «migliaia di persone» previste nel connesso concorso per le scuole, i «milioni di persone in tutto il pianeta» annunciati in diversi comunicati, il «miliardo» di firme proclamate come obiettivo, la diretta RAI, le «otto piazze» collegate in tutto il mondo, la batteria di migliaia di sedie disposte sulla sezione anteriore di piazza San Pietro: tutto era stato fatto nell’aspettativa di un grandissimo evento destinato ad avere eco mondiale.

La realtà purtroppo è stata diversa. Gli operatori televisivi, malgrado gli evidenti sforzi, non hanno potuto far a meno di rivelare in qualche rapida immagine una piazza sostanzialmente vuota (le persone presenti, qualche centinaio, non superavano il numero dei casuali turisti sempre presenti a San Pietro). Nei giorni immediatamente successivi l’evento è stato ignorato pure dai giornali italiani, inclusi quelli dotati di vaticanisti più simpatizzanti (tranne ovviamente Avvenire e l’Osservatore Romano). Vi sono state pochissime eccezioni (per esempio il Messaggero) e temo che queste non abbiano fatto gran piacere agli organizzatori.

Nessuna comunità

Com’è noto, l’unico modo certo per evitare i fallimenti è non fare nulla. Sarebbe quindi veramente fuori luogo trasformare questo insuccesso in un atto di accusa nei confronti degli organizzatori e di tutti coloro che hanno collaborato, senza dubbio con dedizione, convinzione e competenza, alla realizzazione del World Meeting. Ciò sia detto tanto più che una visione delle lunghe cinque ore in cui si è snodato l’evento non mostra assolutamente niente di sbagliato, niente di improprio, niente che avrebbe potuto far dire a una persona presente: «basta, mi alzo e me ne vado». Nel suo genere, tutto è stato pensato e realizzato bene.

E però la piazza era vuota. Mi pare che, per chiunque osserva con interesse le vicende della Chiesa cattolica, e più in generale della presenza della religione nello spazio pubblico, questo sia un fatto degno di riflessione. E lo è tanto più perché esso ha riprodotto, solo in modo più estremo e suggestivo (migliaia di sedie vuote fotografate dall’alto hanno un notevole impatto visivo!), uno schema che in altre occasioni consimili si era già verificato. I paragoni più vicini sono con il Patto globale sull’educazione (15 ottobre 2020) e L’economia di Francesco (19-21 novembre 2020): iniziative ben organizzate, che però sono cadute nell’indifferenza pressoché totale di coloro che dovevano esserne i destinatari.

Una spiegazione facile è quella che fa appello allo spirito individualista contemporaneo: è sempre più difficile unire persone attorno a un’iniziativa, a un ideale, a un progetto, perfino attorno a un incontro ricreativo. Senza dubbio ciò è vero, ma solo parzialmente.

A pochi giorni di distanza dal World Meeting si è svolto il YouTopic Fest di Rondine (tra l’altro citata al World Meeting), paragonabilissimo quanto a tema: e per una piccola realtà le presenze sono state più di 2.000. Lo stesso giorno del World Meeting si svolgeva il Roma Pride, pochi giorni dopo si è svolta la manifestazione del Movimento 5 Stelle: per entrambi una partecipazione che si contava in decine di migliaia. Ma (questo colpisce ancor di più) i numeri del World Meeting sono stati inferiori non solo a queste occasioni, non solo ad una sagra di paese, ma pure a una festa parrocchiale ben organizzata. Perché?

Questi eventi o categorie di eventi che abbiamo citato hanno un cruciale elemento in comune: che essi fanno appello anzitutto a una comunità, o almeno una categoria ideale, che esiste, in cui ci si riconosce, che sta a cuore, per la quale forse si è disposti a dare tempo, forze. In corrispondenza del World Meeting, o del Global Compact, o dell’Economy of Francesco, semplicemente, non c’era niente di paragonabile.

In nome di papa Francesco

Il fatto che l’incontro era destinato (come un tempo si diceva) «a tutti gli uomini di buona volontà» ha reso più grave questo problema. Di per sé non c’è nulla di male nel «non nominare neppure Gesù Cristo», come alcuni osservatori critici hanno deplorato, in questa e in altre occasioni. Altrimenti, bisognerebbe sdegnarsi pure contro Anselmo d’Aosta o Pietro Abelardo o Tommaso d’Aquino, cioè esattamente coloro che hanno fondato la grande tradizione del pensiero teologico medievale, accettando la sfida di ripensare il più possibile la fede cristiana indipendentemente dalla rivelazione, ricostruendone la trama a partire dall’umanità e dal modo in cui essa veniva pensata nella cultura del tempo.

Ma questa messa tra parentesi, che ha un valore grande dal punto di vista della riflessione teorica, è inevitabilmente più astratta e anonima e non è affatto detto che funzioni per coinvolgere (nessuno dei grandi medievali pensava questo, tra l’altro). Certo: una trentina di premi Nobel, di differentissimi orientamenti ideali, sono stati protagonisti, e questa è stata una cosa straordinaria: ma si trattava di persone che erano state chiamate per nome. Nessun potenziale partecipante si è invece sentito chiamato per nome. Il testo promozionale terminava così: «Partecipa anche TU, ti aspettiamo!»: ma chi era questo TU?

Se c’è, in effetti, un aspetto sotto il quale il World Meeting è stato un relativo successo è stato quello televisivo: la trasmissione parziale in diretta sulla RAI ha avuto uno share del 16,7% e un numero di spettatori di 1.424.000: numeri ottimi, che confermano la bontà della preparazione. Essi purtroppo però confermano anche un’altra cosa: che l’investimento ritenuto congruo dalle persone è stato premere un tasto del telecomando in un sabato pomeriggio casalingo in cui non c’era nulla di meglio di fare. È il minuscolo investimento necessario per «balconear». (E comunque: numeri ottimi sì, ma un sesto di coloro che il giorno dopo hanno visto la finale di Champions League, o un ventesimo di coloro che in altri tempi vedevano Portobello).

Ma evidentemente, gli organizzatori si attendevano qualcosa di diverso, in questa come (mutatis mutandis) nelle occasioni precedenti. Perché? La risposta ci pare ovvia: perché si trattava di iniziative fatte in nome di papa Francesco, o a lui direttamente attribuite: sicuramente la persona oggi più conosciuta al mondo, che gode di maggiore stima, affetto, simpatia. Ogni statistica di gradimento conferma ciò che l’esperienza comune attesta.

Nel caso specifico, è evidente quanto il World Meeting abbia scommesso sul suo prestigio. La «Dichiarazione sulla fraternità umana» che è stata firmata contiene sei citazioni esplicite e molte implicite: tutte di papa Francesco. Lo stesso comunicato stampa, che presentava lo scopo della «promozione della cultura della fraternità», sottolineava che ciò avveniva «intorno al messaggio di fraternità proposto dall’enciclica Fratelli tutti».

La fede, a «caro prezzo»

È buono il riferimento a persone reali, in questo tempo spesso accusato di spersonalizzare. Ci si può chiedere però perché papa Francesco sia presentato come unico riferimento, e se ciò non sia alla fine controproducente.

Il problema non è nato oggi: credo che sia corretto dire che da circa un secolo e mezzo la Chiesa cattolica ha interiorizzato la tendenza a concentrare la propria identità pubblica sulla figura del papa. Ma questa tendenza è stata poi moltiplicata dai mezzi di comunicazione di massa e pare oggi inarrestabile, con esiti che a volte, visti con un po’ di distacco, lasciano molto perplessi (come può per esempio essere «segno di speranza per tutta l’umanità» un satellite che mette in orbita una microriproduzione di un libro di papa Francesco?).

Già sei anni fa un’osservatrice pur simpatetica come Isabelle de Gaulmyn parlava candidamente di «une formidable machine à papolâtrie». Ciò solleva diversi problemi, ma quello che qui ci interessa è che questa concentrazione sulla figura del papa, abbinata ad una popolarità come quella di papa Francesco, rischia di indurre una sorta di ipnosi sullo stato attuale della comunità cattolica, e anche della comunità umana.

Sì, il papa è popolare, è stimato, ispira simpatia: ma ciò purtroppo non è sufficiente a consolidare né tanto meno a creare impegno e partecipazione, né sul piano cristiano né sul piano umano. Popolarità e approvazione non possono in nessun modo supplire alla mancanza o al declinare di una realtà personale, di legami, di impegni. A meno che, appunto, ci si contenti della partecipazione che consiste nel premere un tasto del telecomando e si dimentichi, come ha osservato Fulvio Ferrario proprio negli stessi giorni, quale sia «il prezzo della fede».

Anche chiamarsi «tutti fratelli e sorelle» richiede una fede e ha un prezzo alto. Il World Meeting andrebbe giudicato a posteriori un successo se il suo fallimento servisse a ricordare che fiction e realtà sono cose diverse, e alla comunità cristiana servisse ad avere alta tra le proprie priorità la domanda se «il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà fede sulla terra».

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7 Commenti

  1. Lorenzo 9 luglio 2023
  2. Angela 7 luglio 2023
  3. Dario Busolini 4 luglio 2023
  4. Maria Luisa Fappiano 4 luglio 2023
  5. Fabio Cittadini 4 luglio 2023
    • Angela 7 luglio 2023
      • Fabio Cittadini 10 luglio 2023

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