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Mentre affiora la bella speranza di uscire entro l’estate dalla malattia da Covid-19, accresce – nei media e nell’agone politico – la brutta retorica dell’invasione degli stranieri sullo scoglio di Lampedusa.

Il repentino arrivo di centinaia di persone sul lembo sud dell’Europa ha riportato sul tavolo dei problemi sia l’impreparazione ricettiva congenita di un’Italia a corto di strategie, sia l’ostinato tergiversare del resto degli stati europei che, oltre a dare qualche pacca sulle spalle del ministro italiano, sanno solo balbettare parole di generica solidarietà.

I migranti come paravento

Ci ritroviamo così in un Paese ancora ripiegato su sé stesso, alle prese con dati assai incerti sulla fuoriuscita dalla crisi più profonda, in preda a molteplici rivendicazioni di parti arrabbiate e travalicanti gli interessi collettivi di salute pubblica, di sicurezza e di futuro. L’arrivo dei poveri migranti piove quindi come manna dal cielo per chi ha interesse a distogliere l’attenzione dai fallimenti della nostra organizzazione pubblica.

Ogni Regione (o Provincia Autonoma) insegue logiche di autoassoluzione. E i migranti costituiscono, ancora una volta, l’occasione giusta del ricompattamento contro qualcuno che non si può certo difendere.

Così i migranti ridiventano il problema più grande e più urgente da risolvere in una comunità nazionale a corto di idee, oltre che di risorse. Ritorna lo slogan: “prima gli italiani e poi – se ce n’è – gli altri”. Di quali italiani si tratta? Dei lavoratori cassintegrati che non sanno se nel gennaio prossimo avranno ancora un posto di lavoro? Delle partite IVA precarie? Delle famiglie senza reddito? Dei minori che vivono in contesti di povertà assoluta? Certo, ma tutte queste categorie di fragilità sociale esistevano ben prima degli sbarchi o della pandemia!

Le ragioni di quello che accade

È vero, gli sbarchi a Lampedusa sono ripresi, così come sono ripresi gli attacchi ai pescherecci italiani nel Mediterraneo centrale e orientale. Ma perché non ci si pone seriamente – e da tempo – la domanda delle ragioni profonde dei fenomeni e non ci si pone in un’ottica di minima lungimiranza?

Non dimentichiamo che i grattacapi provengono di nuovo dalla Libia, un paese in palese decomposizione, ormai da anni, con autorità statali apparenti, corrotte ed inefficaci. Alla Libia l’Italia ha saputo solo regalare motovedette, armi e strumenti di controllo pensando di trasformare predoni in partner affidabili.

Dalle inchieste di Nello Scavo sulle pagine di Avvenire traspare evidente il fallimento della strategia italiana. Disgiungere lo sfruttamento delle rotte migratorie libiche dagli interessi geostrategici delle parti tuttora attive nel conflitto, significa selezionare un epifenomeno da un contesto ben più complesso ed articolato. Continuiamo a parlare di sbarchi senza pensare agli imbarchi. Continuiamo a voler ignorare da dove e perché le persone cercano comprensibilmente di uscire dagli inferni in cui si trovano.

Lampedusa

Qui non voglio dilungarmi nell’elenco percentuale delle accoglienze dei richiedenti asilo da parte dei diversi paesi dell’Unione: è un esercizio fatto tante volte senza sortire convincimenti apprezzabili, in quanto le modalità e gli ostacoli da superare per il riconoscimento della protezione internazionale sono a geopolitica variabile e non portano mai sintesi condivise.

I primi mesi dell’anno in corso hanno visto triplicare gli sbarchi su Lampedusa rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma nessuno in Europa si è scomodato: ogni progetto di ridistribuzione segna il fallimento sin dal suo concepimento. Una direttiva europea che sia tale dovrebbe imporsi di forza propria a tutti gli stati membri oppure – come sta accadendo – può solo recare, quale unico prodotto, l’indebolimento della credibilità dello stesso concetto politico di Europa.

Siamo tutti ormai consapevoli dell’impossibilità di governare fenomeni sovranazionali in regime di unanimità: basta il diritto di veto esercitato da un solo stato membro, anche se di soli 300 mila abitanti, per fermare ogni processo. Occorre ormai guardare oltre, se vogliamo fare l’Europa.

Sono passati circa sessanta anni dall’indipendenza di quasi tutti gli attuali stati africani e delle ex colonie asiatiche. Ma pare che il nostro continente abbia avviato un processo di amnesia collettiva sul proprio passato, come se i flussi migratori contemporanei fossero originati da un infausto destino.

L’ombra lunga del colonialismo

La maggior parte dei richiedenti asilo proviene da territori rimasti per circa un secolo sotto il dominio europeo, soprattutto della Francia e del Regno Unito. Perché non rintracciare le responsabilità degli eventi in tale lungo periodo di dominazione militare e amministrativa finalizzata allo sfruttamento della manodopera locale e delle risorse naturali?

Perché i paesi europei non appaiono interessati ad interventi strutturali in grado di ridurre la necessità di migrare? La mancanza di diritti civili, sociali e politici sono accomunati a dittature funzionali al mantenimento di influenze neocoloniali, cause primarie delle spinte migratorie. Anche se le responsabilità non vanno ora ricercate solo sul suolo europeo, è indubbio che l’Europa ha maturato un debito enorme di risarcimento nei confronti dei ¾ del pianeta.

Il Mediterraneo e l’Italia

Torno alla questione italiana. Nel prendere atto della nostra fragilità negoziale – ovvero della incapacità di salvaguardare i nostri legittimi interessi – non possiamo permetterci di recedere di un solo passo dalla nostra umanità e dalla responsabilità storica che questo tempo ci consegna.

Ritengo immorale, oltre che illusorio, ipotizzare il futuro del nostro Paese in Europa senza fare i conti con i prossimi dell’Africa o dell’Asia.  Persistere in un tale atteggiamento di rifiuto denota una miopia politica e strategica di portata devastante.

Non voglio subito mettere l’accento sulla decrescita demografica del continente e in particolare dell’Italia, – tendenza peraltro decisamente inarrestabile nel medio-periodo – bensì sul capitale umano che solo continenti come l’Africa e l’Asia sono in grado di apportare. Attrezzarci oggi per accogliere – dotandoci di un vero piano nazionale di ripresa e resilienza – significherebbe realizzare un investimento demografico ed economico di gestione del nostro paese, nel contesto europeo e mondiale.

Qualche ministro dell’attuale governo (come Daniele Franco o Enrico Giovannini) sembra pensarci. Ma servono volontà politiche ampie: serve cultura politica, servono programmi di formazione di avviamento al lavoro in grandi progetti di rilancio, a condizioni di pari dignità dei giovani migranti e dei giovani lavoratori italiani. La riforma della ormai – peraltro caotica – legislazione italiana sull’immigrazione è una delle prime che dovrebbe essere presa in seria considerazione. Così come dovrebbe essere presto ripreso lo ius soli o lo ius culturae che dir si voglia insieme alla riforma del diritto di cittadinanza.

Invece, siamo ancora a sentir dire, di nuovo e ogni giorno: “troppi sbarchi e troppi stranieri clandestini in Italia!” Ma è vero? In riferimento a che?

Stando ai dati di Eurostat, nel 2019 nella U.E. a 26 paesi (senza il Regno Unito), risiedevano 23 milioni di cittadini da Paesi Terzi, inclusi 2,7 milioni di ingressi a vario titolo nello stesso anno. Rappresentavano il 5,1% dei 447,3 milioni degli abitanti totali. Nello stesso anno 706.400 persone hanno ottenuto la cittadinanza da un paese membro (+5% rispetto al 2018).

I dati Istat al 1° gennaio 2021 stimano che i migranti stranieri in Italia siano in calo di 4 mila unità – pari ad un meno 0,8 per mille – attestandosi sui 5,036 milioni di individui. Il dato complessivo è il risultato della somma di 174.000 nuove iscrizioni e della sottrazione di 46.000 cancellazioni anagrafiche (in favore dell’estero), della somma di 51.000 unità – quale scarto tra 60.000 nascite e 9.000 decessi nella popolazione immigrata – e ancora della sottrazione di 84.000 per effetto delle revisioni anagrafiche e di altre 100.000 unità per acquisizione, dopo molti anni, della cittadinanza italiana.

Sostanzialmente la popolazione immigrata in Italia appare dunque stabile o in leggero calo, pur mantenendo, in sé, un saldo positivo tra nascite e decessi e pure una positiva tendenza di iscrizioni anagrafiche unicamente determinata dai ricongiungimenti famigliari dai paesi di origine. Non sono certamente questi numeri tali da far gridare alla invasione degli stranieri!

L’aspetto rilevante – come ormai si comincia a dire da più parti, ma solo per allargare semplicemente le braccia – è la continua decrescita demografica degli italiani (inclusi i naturalizzati stranieri), passati dai 55,9 milioni del 2009 ai 54,222 milioni del 1° gennaio 2021: una perdita di 1,6 milioni di persone nel nostro paese in poco più di dieci anni. Sempre al 1° gennaio 2021 i residenti in Italia erano 384.000 meno rispetto al 2019, con un continuo calo demografico che vede – attualmente – 7 neonati per 13 decessi ogni mille abitanti.

Un’Europa che guarda alla finestra

Per quanto riguarda i nuovi sbarchi – gli eventi mediaticamente più amplificati in questi giorni – i numeri dicono che al 13 maggio 2021 sono stati raggiunti dati analoghi al maggio del 2018. Il calo registrato tra il 2019 e il 2020 ha, quali probabili cause, non solo le pratiche di respingimento in mare volute coi “decreti Salvini”, ma pure l’evoluzione della situazione libica nella fase di avanzata di Haftar verso la Tripolitania con l’esercito di Bengasi e il conseguente assedio della stessa città di Tripoli.

Ora che la situazione è ritornata sotto il controllo delle milizie (delle bande) e il comando delle motovedette è stato affidato ad uno dei migliori trafficanti di esseri umani, le partenze sui gommoni sono riprese come prima.

La sola differenza rispetto al non lontano passato è data dalla assenza delle imbarcazioni delle ONG per il soccorso in mare. Coi natanti trattenuti o posti sotto sequestro, a vario titolo, dai decreti, i salvataggi sono stati messi in ulteriore e grave difficoltà, con conseguente, inevitabile, aumento dei naufragi e delle morti.

Così non resta che confidare nei salvataggi delle motovedette libiche: tragica realtà da gridare con indignazione! Forte è il sospetto che i nuovi signori della tratta libica lucrino sulla vita delle persone facendole partire, per poi “salvarle”, per poi ricatturarle e farle ripartire per effetto di nuovi esborsi di sporco denaro.

Tutto questo avviene mentre l’Europa sta a guardare auto-giustificata dalla propria ignavia!

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