È tempo di empatia

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grido

«Sia parca e frugale la mensa, sia sobria la lingua ed il cuore; fratelli, è tempo di ascoltare la voce dello Spirito», così cantiamo in uno degli Inni dell’Ufficio delle Letture in Quaresima. L’infodemia del Coronavirus ha creato panico dappertutto e ha aiutato a diffondere la sua «politica». È la politica degradante della chiusura nel bunker del proprio sistema di difesa: i confini vanno protetti, gli altri vanno respinti, l’altro è un possibile untore.

Per Andrea Riccardi: «La prudenza serve, ma forse ci siamo fatti prendere la mano dalla grande protagonista del tempo: la “paura”». Per forza è così in un tempo di angoscia, oltre che di paura. U. Galimberti ha spiegato la differenza tra paura e angoscia e ha precisato che il Coronavirus è angosciante, perché è un nemico (ancora) invisibile di cui non si conosce quando e come può colpire. In questo clima, ogni contatto può diventare contagio, la comunicazione si può trasformare in contaminazione, le influenze in infezioni, come ha sapientemente notato p. Antonio Spadaro, riflettendo sulla necessità di «attivare gli anticorpi del cattolicesimo contro la politica del Coronavirus» (in Civiltà Cattolica n. 4072). L’ansia e l’insicurezza allora diventano la vera pandemia. Il “dio Pan” fa il suo sporco gioco (F. Di Noto).

«Panico, panico»

Anticipando di qualche giorno i tempi della notizia, al festival di Sanremo, Anastasio in Rosso di rabbia, ha cantato questi versi: «Panico, panico / sto dando di matto / qualcuno mi fermi / fate presto / per favore / per pietà / la mia rabbia non volevo sprecarla così». La rabbia spinge all’autodifesa attraverso l’isolamento. Si affievoliscono i legami comunitari, per l’impedimento, “imposto” dalla necessità, di assemblee pubbliche per le scuole e per le chiese (almeno nei luoghi oggi identificati come focolai del virus). Gli aerei sono vuoti e si sentono cose mai fino ad ora udite: che quelli del Nord non vengano al Sud!

Doverosi sono gli appelli alla prudenza e all’obbedienza delle indicazioni di «buon senso» per evitare e contrastare la diffusione dell’epidemia. Tuttavia la gente preme perché si ritorni al «mondo della vita», dopo settimane di confusione in cui è stato difficile distinguere tra verità e fakenews e il cuore umano è stato surrettiziamente indotto sugli aridi sentieri dell’ostilità dell’integrazione dell’altro.

Il Coronavirus ha mostrato la sua capacità di colpire il cuore delle economie mondiali, ma insoddisfatto sembra volere di più: inaridire il cuore degli uomini. Perciò sia benedetto questo tempo di Quaresima, nel quale in cristiani (ma anche tutti gli uomini di buona volontà) possono lavorare sulla propria interiorità, anche grazie al tempo «liberato» dal Coronavirus.

Più tempo per stare in famiglia e poter dialogare tra genitori e figli. Papa Francesco ha chiesto di digiunare dai cellulari e da internet, per potersi guardare «faccia a faccia», negli occhi, consentendo al cuore di parlare al cuore: cor ad cor loquitur (Newman). Mitezza e cordialità nelle nostre relazioni per contrastare le condizioni di rissa, createsi da anni nella politica e nelle società dell’ipermercato: qui diventa sempre più frenetica la corsa ai propri interessi individuali, mettendo gli uni contro gli altri, in competizione, secondo la legge dell’homo homini lupus (Hobbes).

La politica come carità

Molte chiese restano chiuse al Nord e la paura frena la partecipazione alle assemblee liturgiche anche al Sud. Tuttavia la «comunità» cattolica resta. Assolutamente si! Perché il cattolicesimo cristiano è comunitario e solidale, mai intimistico o individualistico, sempre sociale e profondamente etico, non disdegnando di essere altamente «politico», come nella nostra Assemblea diocesana ha chiarito efficacemente don Luigi Ciotti, raccontando la sua esperienza di impegno e di lotta contro le mafie e la corruzione in Italia e nel mondo.

Citando San Paolo VI – «la politica è una sublime ed esigente forma di carità» -, Ciotti ha sottolineato il carattere «rivoluzionario» del Magistero di papa Francesco sulla questione ambientale e sulle questioni del lavoro. Temi che troppo spesso sono stati considerati come «sociologici» e separati dal problema della fede e, invece, devono essere visti come «luoghi antropologici» nei quali la nostra fede cristiana misura la propria autenticità: se non si lotta per servire l’umanità dell’uomo, non si crede davvero al Vangelo.

Non si crede, infatti, perché si aderisce a dottrine su Dio, ma perché si prende posizione e ci si mette dalla parte di Dio. Perciò, è decisivo sapere da che parte sta Dio per sapere com’è fatto, cosa pensa, dove e quando pulsa il suo cuore. Il Dio di Gesù – quello di cui ci ha parlato e che ci ha mostrato Gesù – è un Dio empatico per l’umanità sofferente. Sta dalla parte dell’umanità e ama l’umanità di tutti. Ritorna allora la domanda fondamentale, su cui riflettere criticamente (pop Theology) in questo tempo di Quaresima: qual è l’umanità di cui Dio si compiace? I Vangeli registrano la risposta esatta: «Dio non ha compiacenza se non per l’umanità di Gesù» e, pertanto, chiede di «seguire Lui». La Quaresima è tempo favorevole e propizio per ritornare alla umanità di Gesù.

Come fare? Qual è la via?

L’empatia è la parola chiave, come capacità di «sentire l’altro», «sentire con-altri» e «sentire i sentimenti di Cristo», di pace e di perdono per tutti, nel riconoscimento dell’umanità di tutti, anche dei propri nemici. Impresa impossibile senza conversione (metanoia) continua.

Quaresima è tempo di empatia per esaltare la sensibilità spirituale che «sa sentire» l’altro nel suo dramma, nella sua sofferenza. Perciò l’assemblea unitaria della Diocesi di Noto che ha ascoltato don Luigi Ciotti in Cattedrale ha assorbito, come una spugna, l’acqua viva di una «narrazione empatica»: la testimonianza della vita coinvolta nel servizio di chi è scartato, emarginato o oppresso o abusato è forma della carità di Cristo e vero annuncio del Vangelo.

Il fondatore di Libera comunica «sentimenti gravidi di grandi concetti» e disdegna «i concetti senza carne». Per questo il suo parlare è «cristico», cioè incarnato e invoca un’azione coinvolgente, simpatica, empatica. È un buon contributo per resistere al degrado umano cui spinge la «politica nascosta» del Coronavirus, attivando gli anticorpi del cattolicesimo cristiano, contro il virus mortale dell’anima che è la mancanza di empatia.

+ don Tonino Staglianò,
vescovo di Noto

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