Leggere il futuro politico nell’attuale crisi di governo

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Le crisi sono sempre momenti rivelativi. Così, anche dalla crisi di governo in corso si può trarre più di una indicazione sul futuro del nostro sistema politico. Non certezze, chiaramente. Ma indicazioni da non sottovalutare.

Derubricare la recente crisi a uno scontro puramente personale tra Conte e Renzi è un errore. Che impedisce di vedere oltre. Senza negare che ci sia anche una dimensione di inimicizia, c’è dell’altro. Gli attori politici sono sempre mossi da una razionalità strumentale: lo sappiamo, da Machiavelli a Max Weber. Cerchiamola, anche in questo caso.

Gran parte dell’operazione di sganciamento di Renzi dal governo discende dalla possibile nascita di un partito di Conte. Dal rischio che un premier “messo lì” quasi casualmente nel 2018 diventi il perno del gioco politico dei prossimi anni. Anche nella prossima legislatura. Mai confermato – ma anche mai smentito – da Conte, un suo partito è sicuramente nell’aria.

I sondaggi fatti uscire subito dopo il recente voto di fiducia al Senato, che lo accreditano di consensi vicini al 20%, sono strumenti di marketing. Dobbiamo esserne consapevoli. E non si fa marketing, se non c’è un prodotto (anche solo come idea).

Il “Partito di Conte” non vale probabilmente quelle cifre. Ma comparandolo con la precedente esperienza del “Partito di Monti” (che era più affidabile, ma meno popolare di Conte), una forza politica intestata all’attuale premier potrebbe facilmente stare oltre il 10%.

Un partito nuovo di quelle dimensioni è sufficiente per rimescolare molte cose nel sistema politico nazionale. Da qui nasce la crisi di governo. Dal fatto che Conte sta prendendo troppa forza, secondo alcuni, o sta diventando un fondamentale tassello per non perdere le prossime elezioni, per altri.

Cosa cambierebbe con un “partito di Conte”?

Tutto lo sconquasso della crisi nasce dunque dalla “eccessiva” autonomia di Conte. Ma cosa cambierebbe davvero se Conte decidesse di “cristallizzare” il suo attuale consenso, ottenuto in qualità di Presidente del Consiglio, in una forza politica permanente? Innanzitutto, andrebbe a saturare – e forse a far rinascere, nei disegni (e nei sogni) di qualcuno – un’area centrista. Ancora agognata da alcuni settori del mondo cattolico e della stessa CEI che, non a caso, hanno espresso durante la crisi apprezzamenti pubblici verso Conte e condanne verso Renzi.

Del resto, ricordiamo bene che anche attorno alla analoga operazione fatta da Monti nel 2013 si catalizzarono importanti settori del mondo cattolico (personalità della comunità di Sant’Egidio, ad esempio), nonché del “centrismo” e dei “moderati”: Casini, il trentino Dellai (inventore della “Margherita”, non scordiamolo), o lo stesso Montezemolo, allora in odore di avventura politica. Anche attorno a Conte si catalizzerebbe questa mal celata voglia di rinascita di una “balena bianca”. Oggi più probabile di allora, perché siamo tornati assai più vicini ad un proporzionale.

“Balena bianca” e non “Democrazia Cristiana”: perché il sogno di qualcuno di rifondare l’unità politica del mondo cattolico è oggettivamente antistorico. La stessa identità socio-culturale di quel “mondo” – fortissima dopo il ventennio fascista e il contributo dato alla rinascita repubblicana – è oggi assai più volatile, specie tra i più giovani e nelle parrocchie.

Attorno a Conte si potrebbero però attestare anche importanti centri di potere e “interessi” economici (specie del sistema economico pubblico, dove il premier ha potuto far nomine per tre anni), costituendo quindi un blocco di forze non irrilevante. Non a caso, un editoriale di Fabio Martini sulla Stampa, qualche giorno fa, ha puntato esattamente a “svelare” questo blocco, definendolo “il partito romano di Conte”. Segno che qualcosa nei “salotti buoni” si muove davvero attorno a Conte, con adesione per alcuni o preoccupazione per altri.

Perché Renzi reagisce alla prospettiva del partito di Conte?

È del tutto evidente che Renzi ha agito e reagito in riferimento a questa prospettiva. Certo, per motivazioni di “competizione” politica: quell’area centrale – se non centrista – dello scacchiere proporzionale è proprio la stessa a cui mirava la sua Italia Viva.

Renzi sa bene che il suo progetto politico – già molto inferiore alle speranze – sarebbe probabilmente by-passato da quello di Conte. L’obiettivo per tutti è sedersi al tavolo delle trattative per costituire future maggioranze di governo, in un quadro parlamentarista-proporzionale, dopo le elezioni. Ed essere decisivi e influenti. Centrali, anche se forse non “centristi” (numericamente e culturalmente il “centro”, come luogo politico, è ormai evanescente). Più sono i soggetti che si siederanno al tavolo futuro (non dimentichiamoci anche di Calenda, +Europa e partitini vari) e meno è probabile essere quelli decisivi.

Col prossimo parlamento eletto al 60% col proporzionale e con lo sbarramento al 3%, la posta in gioco per Renzi è chiara: la sopravvivenza politica. Renzi ha le spalle al muro: e quando una persona, o un soggetto politico, ha le spalle al muro, è scontato che le sue azioni e reazioni saranno sempre estreme.

Perché Renzi è finito con le spalle al muro?

Perciò, non dovrebbe stupire l’attacco disperato di Renzi a Conte, peraltro da lungo tempo annunciato. Renzi non voleva Conte alla guida della maggioranza che egli “creò” nell’agosto 2019. Non l’aveva pensata perché finisse in mano a lui. Il “vulnus” nasce allora, e per “colpa” della resistenza Cinquestelle a volere ancora Conte, malgrado la sua “macchia” gialloverde. Ciò che deve sorprendere, quindi, è il fatto che non si sia agito realmente in questi lunghi mesi per prevenire e arginare l’ira renziana.

Qui sta gran parte della discussione attorno alla crisi di governo. Secondo Renzi, le sue richieste – dal MES al Recovery Plan, dalla riforma della giustizia ai servizi segreti – erano sul tavolo da troppo tempo, e di buon senso. (Buon senso che – sia detto per inciso – ben pochi commentatori hanno negato, nel merito). Secondo Conte, invece, è stato fatto di tutto per accontentare Renzi: ma lui ha sempre rilanciato, svelando la natura strumentale delle sue richieste.

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Onestamente, è difficile sapere chi abbia ragione. Probabilmente, in parte, entrambi. Però, che si potesse fare di più per disinnescare la “mina Renzi” appare evidente: basti pensare che Conte ha ceduto la delega ai servizi segreti – tema chiave posto da Renzi – nel primo Consiglio dei Ministri dopo l’uscita di Italia Viva dalla maggioranza. O basta analizzare il percorso del Recovery Plan (cf. SettimanaNews, qui) per capire che si poteva concertare meglio e per tempo quel documento fondamentale con Italia Viva (e con tanti altri).

L’impressione allora è che di Renzi ci si sia voluti liberare, non meno di quanto Renzi stia cercando – con la crisi – di liberarsi di Conte. È in atto uno scontro a sangue per il controllo del “centro” del futuro scacchiere proporzionale: nessuno può dire di uscirne con le mani immacolate. Conte non ha fatto nulla per tirare fuori Renzi dall’angolo, anzi; il prezzo dell’aver tirato il primo pugno, però, lo paga tutto il leader fiorentino, avendo – oggettivamente e scandalosamente – lanciato la crisi in un momento tragico per il Paese, in cui occorreva pensare a ben altri problemi, o trovare le soluzioni in altri modi.

La crisi odierna: M5S, Berlusconi e Zingaretti verso il futuro politico…

Ma il movimento che ci ha portato alla crisi non è solo quello della lotta politica tra Conte e Renzi. Ci sono molti altri interessi, a favore della “sopravvivenza” di Conte, anche in chiave politica futura. Il PD di Zingaretti, ad esempio. Sarebbe danneggiato dalla nascita del “Partito di Conte”: -5%, dicono i sondaggi/marketing. Eppure, tra Renzi e Conte, ha preferito Conte. Non solo per antica rivalsa, lungamente coltivata contro il fiorentino.

Non solo perché con Conte si doveva, per responsabilità, governare ancora due anni. Non solo per non lasciare alla destra l’elezione del Presidente della Repubblica, tra 12 mesi. Ma perché solo con il “Partito di Conte”, in prospettiva, i numeri potrebbero bastare al PD per tornare al governo anche nella prossima legislatura. E la classe dirigente di Zingaretti – parafrasando Giulio Cesare – preferisce sicuramente comandare in un partito più piccolo, che essere all’opposizione in uno più grande.

Più complesso il quadro per i Cinquestelle: anche per loro, come per il Pd, il “Partito di Conte” sarà un salasso; ma con la salvezza di Conte la corrente “istituzionale” (Di Maio, Crimi) potrebbe avere ancora e sempre un “amico” a Palazzo Chigi, anche se – visti i sondaggi attuali – non avrà più i numeri per imporre un proprio Presidente del Consiglio.

Ma, più di tutti, interessato a non staccare la spina a Conte sarebbe Berlusconi: non è un mistero quanto l’anima moderata di Forza Italia soffra in un centrodestra a egemonia di Salvini e Meloni. La nascita del “Partito di Conte” aprirebbe a Berlusconi la politica dei due forni: una pattuglia azzurra potrebbe essere decisiva (nella prossima legislatura, se non prima) per la nascita di un terzo o quarto governo Conte.

Lì Forza Italia conterebbe ben più che nel centrodestra, in termini di potere e poltrone. E mal che vada, anche solo questa minaccia di “doppio forno”, basterà al Cavaliere per farsi “coccolare” un po’ di più dai suoi alleati “maggiori”. Senza Conte, la vittoria delle destre alle prossime elezioni sarebbe così netta, da rendere Berlusconi prigioniero della sua stessa coalizione. Per questo farà il possibile per salvare Conte e la legislatura, anche se – a parole – non può far nulla. E per questo Salvini e Meloni lo controllano a vista.

L’ultima mossa di Renzi

Renzi, dunque, è davvero isolato. In Parlamento, come nel Paese. Davvero nell’angolo. Tutti hanno interesse a guardare a Conte – persino al suo partito politico – piuttosto che a lui. Da qui la sua mossa – disperata e costosissima, anche per il Paese – della crisi di governo. Che si poteva evitare, mesi fa: ma troppi avevano voglia di chiudere i conti col rissoso fiorentino. E di liberare Conte dalla sua marcatura. Ora Renzi ha solo una ultima carta: sperare che Conte in queste ore non trovi “ristori” in Parlamento.

M5S, PD e sinistre hanno scommesso che i numeri si troveranno: perché alla fine nessuno – neanche Berlusconi – vuole andare a votare. Per arrivare ad un assetto politico meno bipolare, e meno sbilanciato a destra, la legislatura deve durare. E se non sarà possibile farlo con Conte, sarà con altri. Per questo, se i “costruttori” non saltano fuori, Renzi può tornare in pista. Di più: potrebbe persino vincere. Vincere la sua battaglia al coltello contro Conte e contro il futuro politico – a lui indigesto – che il partito del premier disegnerebbe.

Questa crisi va dunque letta come la “doglia del parto” che ci porterà ai futuri equilibri, forse diversi da quelli degli ultimi 20 anni “bipolari”, nella prossima legislatura. O, ancora, come una battaglia di posizionamento: simile a quella dei cavalli prima della partenza del Palio di Siena (cioè, le prossime elezioni). Alla fine, qualcuno vincerà: e sarà in pole position per governare ancora il Paese, oggi e in futuro.

Ma vincerà un Paese che, demolito da un anno di pandemia, di morti tragiche, di crisi economica, guarda sbigottito lo spettacolo della lotta di posizione, senza capirne i reconditi motivi. Eppure, sono semplici, e tragici, in fondo: ogni attore politico è convinto che il suo modo di governare i problemi sarebbe migliore.

Per questo – oltre che per la vanagloria del potere – lotta sempre per conquistare la posizione. Il ritorno al proporzionale rende più fluido il Parlamento e le maggioranze: quindi non pone più alcun argine a queste dinamiche posizionali. Il proporzionale, senza partiti forti, tende inevitabilmente al trasformismo parlamentare. Prepariamoci: nel futuro, se non usciranno dal voto maggioranze schiaccianti, quelle odierne sono scene che rischiamo di vedere ancora tante volte. Un rischio molto pesante per il Paese, oggi come per il suo futuro.

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Un commento

  1. Nino Remigio 27 gennaio 2021

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