Meeting CL e politica tra passato e presente

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Anche quest’anno avrà luogo il Meeting agostano di Rimini promosso da CL. Se si fa cenno al posizionamento e ai propositi politici di CL, puntuale scatta la precisazione/rettifica di rito: CL non è un soggetto politico, ma un movimento ecclesiale che si definisce e si qualifica per l’educazione alla fede.

D’accordo: questo è il suo fine statutario. E tuttavia è innegabile la sua oggettiva rilevanza politica. Sotto più di un profilo: per la sua consistenza quantitativa e il suo radicamento sociale; per il cospicuo numero di personalità politiche forgiatesi nel movimento e che tuttora ad esso fanno riferimento; per la rete di relazioni con politici e amministratori pubblici nei territori; ma soprattutto per l’impianto “presenzialista” del movimento.

Rilevanza politica del Meeting

Mi spiego: nella ricca costellazione di gruppi e movimenti di matrice cattolica, indiscutibilmente, CL si inscrive con orgoglio tra quelli che più investono su un attivismo sociale e politico dei propri aderenti. Tanto che, specie in passato, nella dialettica interna all’universo cattolico, essi non hanno mancato di polemizzare con l’asserito deficit di proiezione pubblica e politica di altre esperienze associative. Critiche spesso cordialmente ricambiate da altre aggregazioni cattoliche.

Esemplare la discussione degli anni 80 tra “cultura della presenza” e “cultura della mediazione” con la più antica espressione associativa del laicato cattolico italiano, l’Azione cattolica, accusata di spiritualismo, di remissività, persino di subalternità culturale.

A testimonianza della rilevanza politica del Meeting ciellino sta la circostanza che, da molti anni, la densa stagione della convegnistica politica a valle della pausa estiva, convenzionalmente, è aperta proprio dall’appuntamento riminese. Con una partecipazione della stampa e una conseguente visibilità mediatica che non si spiegherebbero se non appunto in ragione della valenza politica ad esso assegnata. Va detto, una visibilità anche cercata, attraverso la chiamata, da parte degli organizzatori dell’evento, di una cospicua rappresentanza di esponenti politici e delle istituzioni.

Anche quest’anno il tema, come da tradizione, è condensato in un titolo un po’ ricercato, suggestivo e accattivante: “Privi di meraviglia restiamo sordi al sublime”, una frase di Abraham Joshua Heschel, rabbino e filosofo polacco.

Per decrittare la chiave politica del Meeting e, più in genere, gli orientamenti politici di CL, gli osservatori vagliano con attenzione i politici destinatari dell’invito a intervenire e il rilievo ad essi assegnato.

L’impressione, scorrendo il panel dell’imminente edizione (18-23 agosto 2020), è quella di un orientamento bipartisan. Ancor più che non lo scorso anno, quando già si avvertiva la tendenza ad una minore esposizione politica.

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I tre criteri seguiti da CL

In passato, non fu così. Semplificando (trattandosi di una storia lunga e non lineare), sono prevalsi tre criteri.

Il primo, quello filogovernativo. CL, tendenzialmente, nei suoi Meeting, si è mostrata incline a riconoscersi nei politici al governo. Anche per una ragione pratica, che può essere giudicata in vario modo: quella di coltivare relazioni atte a propiziare più agibilità e sostegno alle proprie opere, per lo più ascrivibili al privato-sociale, all’insegna della parola d’ordine della sussidiarietà, che meriterebbe qualche approfondimento critico (si veda il modello sanitario lombardo).

Il secondo criterio, quello di una palese preferenza per il centrodestra e i suoi leader, cui forse non è estranea la concezione e più ancora la pratica del rapporto tra autorità e autonomia personale dentro CL e nella società. In qualche occasionale edizione, in verità, si è registrata una liaison con i De Mita e i Craxi e i Martelli (regnanti), ma una affinità senza paragoni e per un tempo assai più esteso – anche a motivo della loro longevità politica – si è manifestata, per esempio, con Andreotti e con Berlusconi. Pur così diversi sotto il profilo personale e, ancor più, nella loro “tipologia cattolica”.

Terzo criterio: una malcelata ostilità verso la sinistra politica cui si imputano – esemplifico – statalismo e laicismo. Un po’ all’ingrosso, se si considera che, da un lato, il laicismo è piuttosto trasversale (quello pratico a destra non è meno corrosivo di quello ideologico a sinistra); dall’altro, da almeno un ventennio, la sinistra nostrana, forse anche per farsi perdonare un passato effettivamente statalista, si è semmai consegnata a una certa subalternità al paradigma liberale e mercatista.

Appiattendosi sull’establishment, smarrendo il suo storico rapporto con i ceti popolari, al punto da accreditare l’idea che a corrispondere alle “attese della povera gente” fossero più adeguate le forze populiste di destra. Per quanto palesemente forzosa e strumentale si spiega così la battuta di Salvini circa l’eredità di Berlinguer. Tesi bislacca e non plausibile e tuttavia rivelatrice.

Verso una sensibilità “bipartisan”?

Come che sia, è apprezzabile che il prossimo Meeting abbia un timbro bipartisan. La circostanza si spiega.

Sia considerando che il quadro politico è in movimento, molti vecchi schemi sono saltati ed è difficile, al momento, stabilire a chi apparterrà il futuro.

Sia per il trauma subito dal caso Formigoni, il politico prediletto e in certo modo simbolo dei politici ciellini. Per altro, non un caso isolato. Gli amministratori e i manager legati al movimento protagonisti di opache vicende e incappati nelle maglie della giustizia non sono pochi.

Sia – e conseguentemente – perché, in forma più o meno esplicita, sembra si sia aperta una discussione al riguardo dentro il movimento, con la polarizzazione tra una sensibilità più spirituale interpretata da don Carron (che, quasi un contrappasso, sembra proporre ora a CL la “scelta religiosa” contestata in passato all’AC) e una più attivistica in capo alla vecchia guardia ancora molto introdotta nei posti che contano nella politica, nella scuola, nella sanità, nelle imprese.

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Bernhard Scholz (presidente Fondazione Meeting)

Sia benvenuta, dunque, una correzione di rotta, un approccio meno politicista e meno schierato. Bello sarebbe se, all’apertura “ecumenica” persino ostentata alle culture, alle civiltà, alle religioni cui non da oggi ci ha abituato il Meeting – e che va onestamente apprezzata –, si affiancasse un’analoga, magari più modesta apertura ad intra, al confronto con i cattolici che la pensano diversamente sul piano sociale e politico. Chiamiamoli pure con il loro nome: cattolici democratici che militano a sinistra. Raramente invitati a interloquire.

È vero che, tra i politici chiamati a intervenire, non sono mancati ieri i Mattarella e i Prodi e, nell’edizione prossima, i Gentiloni e i Sassoli, ma in ragione del loro ruolo istituzionale in Italia o in Europa. Non per dare parola a una cultura teologica e politica “altra” con la quale utilmente confrontarsi senza reticenze. Perché – diciamoci la verità – un tempo, tra le varie anime del cattolicesimo italiano, si bisticciava, ma almeno si discuteva vivacemente, oggi più semplicemente ci si ignora. Che sia perché abbiamo meno idee e meno passione? Che sia perché, nel lungo dopo-Concilio, per la Chiesa e, segnatamente, per il laicato, le cose non siano andate per verso giusto?

Spero di non rivelare nessun segreto se confido di avere ragionato recentemente di questo con il card. Scola, allora giovane prete di CL, con una punta di nostalgia per conversazioni passate. Quando, auspice qualche comune, saggio amico più avanti negli anni, ci si incontrava, si ragionava, si discuteva, si conveniva o ci si divideva ma, comunque, ci si parlava.

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Un commento

  1. Giorgio Brera 20 luglio 2020

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