Bob Dylan, la religiosità stelle e strisce

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Arriva in questi giorni in libreria l’ultimo volume di una trilogia che l’editrice Àncora ha voluto dedicare a Bob Dylan, una figura che ha contribuito in maniera determinante a raccontare la storia della musica del Novecento e ancora di oggi. Il motivo di una scelta, forse a prima vista quantomeno inattesa, è presto detto: il celebre cantautore, di nome Robert Allen Zimmerman, nato in Minnesota nel 1941, in arte Bob Dylan (che la rivista Rolling Stone ha collocato nel 2015 in testa ai migliori 100 cantautori contemporanei), rappresenterebbe addirittura un «capitolo cruciale e complesso della religiosità americana».

Alla vigilia del Tour in Italia con 9 appuntamenti nel mese di aprile (tutti Sold out) l’opera, per la Collana “Maestri di Frontiera”, è destinata a suscitare una certa curiosità.

La Bibbia secondo Bob Dylan o Bob Dylan secondo la Bibbia

Di fatto, per dirla con quanti hanno indagato sulle sue canzoni, Dylan, nel corso della sua carriera, ha attraversato virtualmente ogni stadio dell’esperienza religiosa disponibile all’anima americana. Ne è convinto, per fare un esempio, Alessandro Carrera, docente a Houston in Texas e autore di alcuni testi su Dylan e anche del saggio introduttivo contenuto nel 1° dei poderosi volumi della trilogia (rispettivamente 384, 336 e 432 pagine) a firma di Renato Giovannoli.

L’autore, nato nel 1956 in Romagna, docente di filosofia in un liceo di Lugano, giornalista e scrittore, ha analizzato testi e citazioni con riscontri inediti: quella che emerge si configura come un’analisi complessa o, meglio, una sorta di guida alla Bibbia secondo Bob Dylan o a Bob Dylan secondo la Bibbia. Complessa perché a dir poco enigmatica è la figura del settantasettenne cantautore (cui è stato attribuito due anni fa, non senza polemiche, il Premio Nobel per la letteratura) e molto spesso criptici si presentano i testi delle sue canzoni.

Secondo Carrera, è proprio la Bibbia, «il Grande Codice che ha plasmato il linguaggio e l’immaginario della cultura occidentale e di quella americana in particolare», la chiave principale per decifrare il mistero Dylan e la trilogia di Giovannoli rappresenta anzitutto «un commento in prospettiva biblica dell’intero canzoniere dylaniano, ma anche un’inedita biografia spirituale di Dylan attraverso le sue canzoni». O, se vogliamo, una sorta di manuale cui attingere per conoscere meglio una figura che, nonostante sia un personaggio ampiamente seguito dalle cronache e pure assai premiato – il Nobel del 2016 è solo l’ultimo atto di una lunga serie iniziata con il Grammy Award alla carriera nel 1991, il Polar Music Prize nel 2000 e l’Oscar nel 2001 – per certi versi si può definire ancora avvolta dal mistero.

Numerosissime sono infatti le chiavi di lettura che hanno tentato di decifrare le sue canzoni – sociologiche, poetiche, politiche – ma questa volta è la Bibbia a fungere da accesso privilegiato, anzi, per Carrera forse questo sarebbe addirittura l’unico accesso che possa davvero definirsi univoco e globale.

Per i cultori di musica rock i testi della trilogia costituiscono poi il più vasto repertorio mai compilato delle citazioni bibliche presenti nelle composizioni di Dylan evidenziando sia la ripresa che l’intreccio con testi precedenti sia colti che popolari (ballate, spirituals, gospels, blues). «L’opera di Dylan – si legge nel 2° volume – è un’enciclopedia della musica popolare americana e ogni periodo della sua produzione è un capitolo di questa enciclopedia, scritto con una profondità, e anzi vissuto con un’intensità stupefacenti in un autodidatta come lui». «Nessun bianco avrebbe potuto eguagliare la sua appropriazione del gospel e del rhythm and blues» ha scritto Carrera.

Un percorso umano e artistico non senza contraddizioni

Uno dei riferimenti più significativi è quel richiamo al «comandante supremo» che il cantautore indicava, non senza ironia, in un’intervista del 2004 all’emittente CBS, insieme a quella convinzione strisciante di essere parte di un destino da compiere e che lo spingerebbe a tener fede al suo impegno nonostante i tanti anni di militanza trascorsa.

Secondo Giovannoli – che ha lavorato a questa ricerca per una decina d’anni – per Dylan si tratterebbe di una specie di contratto stipulato con il comandante in capo (alias Dio): «Io rimango on the road fino a quando mi regge il fiato, e tu mi fai arrivare dove nessun altro, nella nobile arte di scrivere e cantare canzoni, è mai arrivato». Nessuno sa dire ovviamente se questo è davvero l’intento di Dylan, ma è verosimile crederlo.

Nato e cresciuto in una famiglia ebrea non osservante, Dylan è approdato, non senza un lungo travaglio interiore (fatto di fermate, inversioni di rotta, slanci in avanti), al cristianesimo evangelico nel 1979, un percorso che si ritrova in numerose strofe dei suoi canti e ballate (spesso con citazioni di seconda mano) tanto che ai giornalisti che lo intervistano giunge ad affermare: «Dio lo sento nel cuore». Per dichiarare poi inaspettatamente: «Io trovo religiosità e filosofia nella musica… Le canzoni sono il mio vocabolario. Credo nelle canzoni».

Il primo volume, per dirla con l’autore, rappresenta un po’ il periodo classico di Bob Dylan, protagonista della grande stagione del pop-rock degli anni ’60-’70; il secondo tratta invece della crisi spirituale e della conversione negli anni 1978-1988, mentre il terzo (1988-2012) è dedicato alla maturità umana e professionale dell’artista.

Forse è superfluo sottolineare come la lettura si rivela decisamente più immediata se il lettore può contare su una buona conoscenza sia della Scrittura che della lingua inglese dal momento che Giovannoli riprende costantemente termini o interi versetti biblici accostandoli in parallelo con i testi del cantautore. Un’operazione perfettamente riuscita soprattutto nel secondo volume dove si legge: «… un esempio di come Dylan componga i suoi versi grazie ad un attento studio della Bibbia basato sulle concordanze, anche a dimostrazione di come in questo periodo tutti i suoi versi, anche i più strani, siano strettamente aderenti alla lettera del testo biblico».

Ecco allora una delle canzoni più belle dell’album uscito nell’agosto 1979 Slow Train Coming, I Believe in You (“Io credo in te”, e non si può non ricordare che I Believe è anche l’incipit della professione di fede all’interno della messa).

Ciononostante, le contraddizioni sono dietro l’angolo, come accaduto nell’autunno 2009 quando fu pubblicato Christmas in the Heart (Natale nel cuore), un album di cover di canti natalizi popolari: quanti si aspettavano un disco a sfondo religioso – annota Giovannoli – restarono delusi. Sei canzoni su 15 (tra cui Adeste fideles cantata solo in parte in latino) sono sì a carattere religioso senza però distanziarsi da quel genere americano dei canti natalizi politically correct (di fatto la copertina raffigura una modella in abiti di Santa Claus e una slitta…).

Altrove afferma che la sua fede è come una strada in cui «non ci sono altari». Ma scrive pure Man can’t live by bread alone (l’uomo non può vivere di solo pane).

Ma suoi ispiratori sono anche Omero e John Lennon…, davvero un esempio della “religiosità” popolare americana.

A dir poco straordinario è l’indice analitico per capitoli, quello delle canzoni e, infine, l’indice per temi, simboli e personaggi che occupa un centinaio di pagine, quasi un’appendice del 3° volume. A completamento di una trilogia che è già un classico per chi intenda addentrarsi nella Bibbia secondo Bob Dylan.

Renato Giovannoli, La Bibbia di Bob Dylan (1961-1978) Vol. I. Dalle canzoni di protesta alla vigilia della conversione, Àncora 2017, pp. 384, € 26,00; La Bibbia di Bob Dylan (1978-1988) Vol. II. Il periodo “cristiano” e la crisi spirituale, Àncora 2017, pp. 336, € 26,00; La Bibbia di Bob Dylan (1988-2012) Vol. III. La maturità umana e professionale, Àncora 2018, pp. 432, € 26,00 (ogni ebook EPUB € 19,99).

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