Nell’ostia c’è Gesù in miniatura?

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«Cosa significa o come esprimere oggi l’eucaristia in quanto sacramento della presenza di Cristo e del suo sacrificio?».

La domanda pervenutami precisava: «Ti chiediamo, se possibile, di prendere in esame un quesito da tempo dibattuto e che si ripropone ad ogni Pasqua, ad ogni processione con l’ostia, ad ogni “infiorata” devozionale, ad ogni adorazione eucaristica: che cosa si intende oggi per «presenza reale» del Signore? La comunione con Dio che abita il cuore dell’uomo, nostalgia a volte inascoltata e inespressa, abita anche e prima il cuore del Padre: come può essere meglio presentata? Dicendo che è un mistero? E perché abbiamo parlato della transustanziazione, del sacrificio della messa? Il linguaggio teologico va attentamente rivisitato. Ma come?».

Presenza reale attraverso simboli

Prima di tutto, vorrei ricordare che non sempre dobbiamo cambiare le parole per rinnovare il messaggio. Le stesse parole cambiano di significato e il loro sviluppo può costituire un passo avanti anche nella comprensione della vita e della dottrina di fede.

La parola presenza, per esempio, può essere intesa in modi nuovi corrispondenti alle diverse attività che rendono possibili rapporti inediti. A livello umano, infatti, con il termine presenza, si indica il rapporto che si stabilisce fra persone diverse.

Vi è una presenza spaziale, per persone che sono nello stesso luogo, una presenza elettronica, per persone che si parlano al telefonino o attraverso qualche programma del computer, una presenza intenzionale, per persone che si pensano, una presenza puramente simbolica, attraverso una foto o un ritratto… secondo il tipo di attività che rende attuale la relazione.

Ogni rapporto ha tre componenti costitutivi:

  1. il soggetto operante,
  2. il fondamento, cioè l’attività che consente la presenza,
  3. il termine a cui l’attività in qualche modo si rivolge.

Pensiamo ad una conferenza con un oratore e ascoltatori presenti nello stesso luogo. Hanno una relazione complessa basata sulle onde sonore (c’è parola e ascolto), sulle onde luminose (ci si incontra con lo sguardo) e sull’appartenenza allo stesso luogo. Se la conferenza è teletrasmessa, altre persone possono assistere all’evento anche se la loro presenza non è locale ma fondata su onde elettromagnetiche (che consentono l’ascolto e la visione).

Secondo le diverse possibili attività, esistono vari tipi di presenza. Il telefono, la radio, la televisione, il computer… sono oggi strumenti attraverso i quali si può stabilire una relazione di presenza reale, irrealizzabile nei secoli scorsi.

Tutte queste sono presenze effettuate attraverso simboli (= realtà che ne rappresentano altre), ma sono reali perché consentono in diverse maniere il rapporto e il coinvolgimento delle persone.

Diverso è il caso di una presenza virtuale, quando l’evento non accade nello stesso tempo in cui viene rappresentato.

Se, per esempio, viene trasmesso un evento del passato con immagini registrate, il rapporto non si stabilisce con le persone ma con l’evento raccontato e gli attori coinvolti possono essere anche morti. Ciò che accade è presente realmente agli spettatori che si coinvolgono.

Nella trasmissione degli attuali mezzi di comunicazione l’azione è molteplice: gli attori che operano l’evento, l’eventuale telecronista che riprende, la telecamera che trasmette, gli ascoltatori e gli spettatori, più o meno coinvolti. Si tratta di una presenza reale. Se nessuno accende la radio o il televisore, le onde sono tutte presenti, ma non c’è presenza dell’evento perché non ci sono relazioni.

Presenza eucaristica

Anche nell’eucaristia non si tratta di presenza spaziale o locale, ma sacramentale, cioè attraverso simboli oggettivi.

Nell’enciclica Mysterium fidei (3/9/1965) Paolo VI afferma che la presenza eucaristica non si attua «come i corpi che sono nel luogo» (EV 2, 427). Il rapporto tra il credente e Cristo non si realizza per contatto di dimensioni spaziali, bensì attraverso richiami simbolici. Questo tipo di presenza viene detta sacramentale (che si realizza attraverso segni sacri) o con altri termini nelle diverse tradizioni cristiane.

La relazione che si stabilisce nel sacramento è reale e dinamica, nel senso che trasforma il fedele che si apre nella fede all’azione salvifica di Dio, che opera attraverso Cristo e il suo Spirito.

Paolo VI, riassumendo la dottrina della Chiesa, precisa che nella celebrazione eucaristica il pane e il vino «acquistano un nuovo significato e un nuovo fine, non essendo più l’usuale pane e l’usuale bevanda, ma il segno di una cosa sacra e il segno di un elemento spirituale; ma intanto acquistano nuovo significato e nuovo fine in quanto contengono una nuova realtà, che giustamente denominiamo ontologica» (Paolo VI, Mysterium fidei, ib.).

In questa prospettiva deve essere intesa la dottrina tradizionale della Chiesa secondo cui la presenza di Cristo nell’eucaristia è «vera, reale e sostanziale» (Concilio di Trento, Sessione XIII, Sul sacramento dell’eucaristia 4).

È presenza vera, perché la relazione tra il fedele e Cristo risorto esiste di fatto. È presenza reale, perché ambedue i termini sono esistenti nell’atto della relazione. È presenza sostanziale, perché la relazione collega le persone e non solo qualche loro qualità accidentale o una semplice loro immagine.

Il Catechismo della CEI precisa che, nel sacramento, «il Crocifisso risorto si fa presente come Agnello immolato e vivente. Il pane è realmente il suo corpo donato, il vino è realmente il suo sangue versato… Il pane e il vino sono diventati nuova presenza…, dinamica e personale, nell’atto di donare se stesso e non solo della sua efficacia santificante, come negli altri sacramenti». (La verità vi farà liberi, n. 689)

Per l’esercizio della fede i credenti entrano in relazione con Cristo risorto attraverso il rito. In questo senso non sono esatte tutte le formule che utilizzano parametri spaziali, che parlano cioè di Gesù dentro la particola o immaginano una sua presenza in miniatura. Egli infatti non è nello spazio, come l’attore non è dentro il televisore o l’interlocutore dentro la cornetta del telefono.

La presenza si realizza in modo “sacramentale”, cioè attraverso simboli, come si può dire che alla televisione c’è un determinato personaggio o che al telefono c’è una persona cara. Il catechismo precisa inoltre che l’eucaristia non è una ripetizione o un’aggiunta della croce «ma la ripresentazione, qui e ora, sotto i segni sacramentali, di quello stesso atto di donazione con cui Gesù è morto ed è stato glorificato» (ib., 690).

Questo è il significato che acquistano il pane e il vino all’interno del rito eucaristico. La novità veniva chiamata transustanziazione, ma, poiché oggi il termine “sostanza” è riferito in modo esclusivo all’aspetto chimico-fisico, ignoto nel medioevo, è meglio parlare di transignificazione o transfinalizzzazione, come suggeriva il Catechismo olandese.

Importante però è ricordare che la relazione sacramentale non è fine a se stessa, ma è ordinata alla missione della Chiesa.

Gesù ha reso presente Dio nella storia umana con la sua attività e la sua esistenza. Per questo è stato chiamato sacramento di Dio, segno cioè della sua presenza nel mondo. Fare memoria di Cristo significa evocare questa sua missione salvifica e impegnarsi a essere epifanie viventi, ambiti della sua azione nel mondo. Così, se chi partecipa all’eucarestia non mette in moto la fede, c’è sì l’azione di Dio, ma il rapporto di presenza non si stabilisce.

Eucaristia “sacrificio”?

Nelle attuali formule della messa cattolica è presente alcune volte il termine “sacrificio”. Anche nel racconto della cena è stata introdotta l’espressione un po’ forzata: «offerto in sacrificio per voi», mentre la formula greca del Vangelo dice semplicemente «dato per voi», cioè a vostro favore.

Tutta la dinamica della salvezza è segnata dalla grazia, cioè dall’azione di Dio a nostro favore. La morte di Gesù non salva perché offre a Dio qualcosa, ma perché rivela la fedeltà dell’amore esercitato da Gesù anche sulla croce. La sua non corrisponde al volere di Dio perché è un atto di violenza contro Gesù da parte di chi ha rifiutato il suo messaggio.

Da parte di Gesù è un “atto sacro” un “sacri/ficio”, non offerto a Dio ma pervaso dalla sua volontà salvifica nel confronto degli uomini. La fedeltà di Gesù all’amore rende la tragica e ingiusta sua morte un “atto sacro” e consente anche a noi di celebrarla con memoria riconoscente.

È superato il modello di un Dio violento ed è messo in risalto il valore redentivo dell’amore, quando resta operante nonostante la sofferenza.

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Un commento

  1. Luigi Macchiarulo 3 luglio 2019

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