Una suora, l’Africa e il Sinodo

di:

suor faye

Il prossimo Sinodo mondiale dei vescovi e i suoi preparativi nei processi sinodali in tutto il mondo mostrano come i segni dei tempi interpellano oggi la Chiesa alla luce del Vangelo. Non si possono più nascondere i grandi problemi generali che attualmente la scuotono. Citiamo solo alcune parole chiave: uguaglianza, minoranze, poligamia, clericalismo, Chiesa ministeriale, abusi in tutte le loro forme, riforma della morale sessuale cattolica, celibato, ruolo delle donne e loro ordinazione, diritti della comunità LGBTQIA+, neocolonialismo… – tutto questo è rilevante nel mondo intero.

Ad affermarlo è la suora originaria del Senegal, Anne Béatrice Faye, che lavora da sei anni in Burkina Faso. È una religiosa della Congregazione dell’Immacolata Concezione di Castres. Specializzata in filosofia, si occupa della questione del genere nel contesto dell’Africa e opera nella formazione delle religiose e dei seminaristi.

«Prima di tutto, in queste mie riflessioni – scrive – vorrei fare tre affermazioni sul processo sinodale della Chiesa in Africa».

(1) Nonostante tutti i progressi, ci sono ancora impronte clericali, patriarcali e gerarchiche. La prima affermazione è piuttosto un’ammissione.

Devo ammettere apertamente che, in certi contesti socio-culturali, non è affatto scontato porsi la domanda sui “compagni di viaggio”, come si fa in preparazione al Sinodo mondiale dei vescovi; figuriamoci ascoltarci vicendevolmente da pari a pari e parlare con coraggio alla Chiesa gerarchica!

Nella Chiesa, famiglia di Dio in Africa, vescovi, sacerdoti, fedeli, religiosi e giovani dovrebbero riconoscere apertamente di essere uguali nella Chiesa e di avere opinioni diverse. In effetti, nella vita di tutti i giorni sono i laici e soprattutto le donne che fanno progredire la vita della Chiesa. Tuttavia, in alcuni paesi, nonostante gli evidenti progressi, la Chiesa sembra ancora essere molto clericale, patriarcale e gerarchica.

(2) La conservazione delle istituzioni ecclesiastiche spesso è in contrasto con l’annuncio del regno di Dio. In secondo luogo, mi rendo conto che la preoccupazione per la conservazione delle istituzioni ecclesiastiche è spesso in contrasto con la proclamazione del regno di Dio.

La centralità del ministero episcopale o sacerdotale rende possibile un’azione pastorale coerente, a condizione però che coloro che occupano posizioni di guida siano disposti a lavorare insieme quando si tratta della missione della Chiesa. Le difficoltà sorgono quando il loro modo di dirigere è troppo incentrato sulla loro persona e sulla loro autorità. Abbiamo piuttosto bisogno di collaborare e di lavorare in équipe per creare un clima di apertura e “spazi certi” per l’incontro e lo scambio di idee in cui nessuno si trovi in difficoltà.

(3) Ma il processo sinodale suscita anche in Africa entusiasmo e una nuova apertura reciproca. La mia terza osservazione riguarda lo stesso processo sinodale, che ha sorprendentemente suscitato molto entusiasmo e apertura reciproca in molte Chiese locali.

Il documento di lavoro per la tappa continentale del Sinodo mondiale dei vescovi afferma che il metodo del dialogo spirituale ha trovato ampia accettazione perché ha permesso a molti di dare uno sguardo limpido alla realtà della vita della Chiesa e chiamare per nome le luci e le ombre.

Già questa valutazione sincera ha prodotto da subito frutti proiettati verso la missione. Gran parte delle risposte ha sottolineato che questa era la prima volta che la Chiesa chiedeva alle persone la loro opinione e che intendeva continuare su questa strada. Cito a questo riguardo la Conferenza episcopale della Repubblica Centrafricana: «Si nota una forte mobilitazione nel popolo di Dio, la gioia di ritrovarsi, di camminare insieme e di parlare liberamente. Alcuni cristiani, che si erano sentiti feriti e si erano allontanati dalla Chiesa, durante questa fase di consultazione sono tornati».

Le voci delle donne, dei giovani, dei bambini degli emarginati e degli esclusi

È chiaro, quindi, che il processo sinodale in Africa può effettivamente contribuire ad una maggiore uguaglianza all’interno della Chiesa. Ciò richiede la capacità di coinvolgere radicalmente tutti i gruppi, un comune senso di appartenenza e una profonda accoglienza dell’insegnamento di Gesù. Occorre adottare un atteggiamento di ascolto delle voci sommesse delle donne, dei giovani, dei bambini, degli emarginati e degli esclusi.

Nel percorrere il cammino sinodale, la Chiesa, famiglia di Dio in Africa, è particolarmente chiamata a rivolgersi a quelle persone che vivono in condizioni precarie e la cui voce è raramente ascoltata perché sono troppo lontane. Sebbene siano ampiamente sostenuti dalle comunità cristiane, raramente vengono ascoltati, tanto meno vengono chiesti loro dei consigli. Ciò è facilmente spiegabile per la loro condizione di estrema povertà.

A mio parere, anche il dibattito sulla crisi degli abusi e sulle sue cause sistemiche fanno parte del processo sinodale in Africa.

A questo proposito, voglio evitare qualsiasi malinteso sul significato della parola “sistemico”. Questo termine non significa, come molti pensano, che la Chiesa abbia compiuto intenzionalmente e sistematicamente abusi sessuali su larga scala. Si riferisce piuttosto al fatto che la Chiesa, in generale, non ha saputo rispondere adeguatamente ai numerosi, ripetuti e notori casi di abuso e fare ciò che è necessario, vale a dire porre fine agli abusi e prevenirne altri. Si può quindi parlare di un fenomeno sistemico dovuto alla persistente passività, alle omissioni, alla mancanza di vigilanza, agli occultamenti e all’incapacità di ascoltare le vittime.

Personalmente, credo che non si debba mettere in discussione la capacità della Chiesa di porre rimedio alle situazioni che si creano al suo interno. Per questa ragione, la crisi degli abusi e le voci delle vittime e dei sopravvissuti sono al centro del processo sinodale. Questo è uno dei segni dei tempi che la Chiesa sta attualmente affrontando alla luce del Vangelo.

Del resto – come risulta dal documento di lavoro per la tappa continentale del Sinodo mondiale dei vescovi – nella maggior parte dei processi sinodali effettuati a livello locale e nazionale, il clericalismo, l’abuso di potere e l’abuso sessuale sono stati identificati come fattori chiave nella percezione della Chiesa e compresi, non solo dai mezzi di comunicazione, ma dai cattolici stessi.

I fedeli dicono che la Chiesa deve essere liberata dal clericalismo

I fedeli affermano anche che la Chiesa deve essere liberata dal clericalismo affinché tutti i suoi membri – consacrati e laici – possano svolgere insieme la loro missione. È chiaro che non è più possibile ignorare, negare, sottovalutare o trascurare qualsiasi tipo di abuso: sessuale, spirituale, di potere o di coscienza. Si tratta di un palese misconoscimento della dignità umana.

Se la Chiesa non fornisce una risposta credibile a questo problema, i cattolici in molti paesi si chiederanno sempre più se rimanere nella Chiesa o andarsene. La grande maggioranza dei cattolici reagisce in maniera suscettibile a questa crisi, ma vuole anche conservare l’unità della Chiesa cattolica.

Quindi, che fare? Il Sinodo è un processo in cui la Chiesa deve ascoltare. Dovrebbe ascoltare meglio le voci sommesse che denunciano il clericalismo imperante, come mostra il Rapporto della Repubblica Centrafricana: «Alcuni parroci si comportano come “persone che impartiscono ordini” e impongono la loro volontà senza ascoltare nessuno. I cristiani laici non si sentono membri del popolo di Dio. Le iniziative troppo “clericali” devono essere stigmatizzate. Alcuni collaboratori pastorali, sia chierici che laici, a volte preferiscono circondarsi di chi condivide le loro opinioni, prendendo le distanze da coloro che hanno convinzioni sfavorevoli o contrarie».

Il clericalismo è un impoverimento spirituale

Bisognerebbe anche riconoscere che il clericalismo è una forma di impoverimento spirituale, una perdita di ciò che è veramente il ministero consacrato, e che è una cultura che isola il clero e danneggia i laici. Questa cultura separa dall’esperienza viva di Dio, danneggia i rapporti fraterni e favorisce la rigidità, la sottomissione legalistica al potere, l’esercizio dell’autorità che diventa più potere che servizio.

L’invito alla conversione nella cultura della Chiesa per la salvezza del mondo è concretamente legata alla possibilità di ancorare una nuova cultura con nuove pratiche e strutture. Un gruppo parrocchiale negli Stati Uniti lo ha così bene espresso: «Piuttosto che comportarci come buttafuori che cercano di escludere altri dalla tavola, dobbiamo sforzarci di più per assicurarci che la gente sappia che qui tutti hanno un posto e una casa».

Si può quindi ipotizzare una riforma della Chiesa che infonda nuova vita alle strutture esistenti. Ma sarebbe meglio se la Chiesa avesse il coraggio di lasciare le strutture inutili che non hanno futuro. Tutto questo deve avvenire in un sincero processo decisionale spirituale.

Il documento di lavoro per il sinodo dei vescovi mostra – come mai prima in un testo vaticano – in quante maniere diverse e multiformi vivono i cattolici in ogni parte del mondo. Figli di preti, ordinazione delle donne e relazioni poligamiche sono soltanto alcune parole chiave che si riscontrano nel Rapporto.

Suor Anne Béatrice Faye, da sei anni in Burkina Faso, specializzata in filosofia, è una religiosa della Congregazione dell’Immacolata Concezione di Castres.

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