In casa, le cose /3: la stanza accanto

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catt0Le paginette che seguono parlano di piccole cose che si trovano in casa perché ancora meglio possiamo abitarla. Una finalità centrale e un tema con echi profondissimi che soprattutto le artiste e gli artisti sanno evocare. Nei loro confronti il mio debito è altissimo.
Ho avvertito la presenza di questi oggetti apparentemente insignificanti ed essi si sono fatti largo al mio sguardo, con insistenza e profondità. Mi hanno accompagnato nella ricerca della casa interiore ma anche nell’abitare gli spazi in cui vivo rendendoli più ospitali.
C’è un sentire religioso in queste righe: più volte nelle preghiere dei salmi la casa è presente e il canto si sposta tra la casa propria (“Camminerò con cuore integro dentro la mia casa (…) Non abiterà nella mia casa chi agisce con inganno…” Sal 101,2 e 7), quella di Dio (“Signore amo la casa dove tu dimori” Sal 26,8) e quella che Dio ci dona (“ai derelitti Dio fa abitare una casa, fa uscire con gioia i prigionieri” Sal 68,7). La sapienza biblica ci invita in percorsi tra case diverse, anche quelle meno accoglienti e da riconoscere come tali con coraggio e forza d’animo. La prospettiva suggerita è chiara: “abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni” (Sal 23,6) . Ho chiesto a un amico fotografo – Matteo Losurdo – di accompagnare con qualche suo scatto queste note e a mio marito – Paolo Marino Cattorini – di leggerle apportando e condividendo qualche correzione. A entrambi un grazie sentito.

La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte:
è come fossi nascosto nella stanza accanto.

Più volte ho letto e ascoltato in occasione di lutti e funerali questa frase erroneamente attribuita a Sant’Agostino (anche per la somiglianza a un autentico scritto di Agostino).

È l’incipit di un brano delicato e carico di speranza che fonti autorevoli assegnano a un canonico anglicano, Herry Scott Holland nel sermone che egli pronunciò nel 1910.

Desidero riprendere la nota della “stanza accanto” per sottolineare una dimensione domestica che ho colto più volte e che la bellissima Annunciazione di Alberto Savinio sa raffigurare con particolare forza e audacia creativa. Qui – nella stanza accanto – (non è chiaro se il luogo su cui si spalanca la finestra sia esterno o interno all’abitazione) appare uno smisurato viso di foggia classica i cui occhi sono concentrati sulla figura femminile dal volto di pellicano che siede meditativa accanto alla finestra.

stanza

Il titolo del capolavoro risalente al 1932, L’apparition o L’Annunciazione, rilegge tale scena religiosa ma l’artista sovverte i canoni tradizionali coinvolgendo lo spettatore nei sentimenti e nelle emozioni   di Maria. Il mistero dello spazio attiguo a quello abitato è disegnato con un’inquadratura che stravolge la prospettiva classica e insiste con sulla dimensione obliqua della visione. D’altra parte, la rivelazione dell’angelo a Maria è rivoluzionaria e così va rappresentata.

Nella figura accogliente della Vergine fatichiamo ad indentificarci; tuttavia, la scelta dell’uccello pellicano riporta a un’immagine spesso usata nella storia dell’arte sacra cristiana: è il volatile che – nutrendo i suoi piccoli con il proprio sangue – rappresenta il sacrificio eucaristico di Gesù e quindi il corpo offerto per la vita vera. D’altra parte, solo nella propria casa, intesa come intimità più profonda, è possibile l’annuncio di una straordinaria e positiva verità, tale da mutare il corso della propria esistenza.

Qui la Vergine – che tra breve sarà inaspettatamente madre – è ritratta nel momento in cui ha già superato la sorpresa “invadente” (che l’artista fa però vivere a chi guarda il quadro) e si sente accolta dallo sguardo di chi la scruta in modo attento e profondo. L’apertura suggerisce quella di un grande schermo cinematografico in cui appare un volto ingigantito. La posa della donna seduta e quasi assopita rivela l’accoglienza quieta di quel viso dai grandi occhi: probabilmente si era già presentata nei suoi sogni migliori. È cessato il turbamento con la scoperta di una familiarità e subentra l’”Eccomi!”.

La stanza accanto ha spesso spazi sghembi ma che – con sorpresa – scopriamo abitati da realtà anticipate da sogni carichi di grandi speranze. Ciò che cogliamo appartenerci lo scopriamo finalmente già presente nella stessa nostra casa, come se fosse sempre stato posto in un locale attiguo a quello in cui abitualmente soggiorniamo.

Nel bel libro di Maria Savinio dedicato a suo marito – un epistolario tra i due – nelle lettere di Alberto leggiamo parole (spesso scritte accanto a simpatici disegni qui riprodotti) che rivelano la magnifica sorpresa avvertita dall’artista dopo l’incontro con lei, la gestazione di un amore atteso e che durerà nel tempo.

Tale consapevolezza non è solo descritta dopo i primissimi incontri ma anche in anni posteriori quando sua moglie a volte si doleva dei suoi silenzi.

E così l’artista le scrive, come parlandole da una stanza accanto: “Si parla per tirar l’acqua al proprio mulino. Ma se si sanno le stesse cose, se si credono le stesse cose, se si odiano le stesse cose- se non si possono amare, odiare pensare, credere cose diverse a che parlare? Lasciamo che il silenzio ci protegga come la moscarola protegge il formaggio e per la salute delle nostre leggi, del nostro statuto, del nostro stato guardiamoci dal romperlo”.

In casa, le cose

Carta velina

Conchiglie

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