Teologia: il sapore dei giorni

di:
Teologia, allegoria

La teologia dirige il lavoro della scienza e dell’arte (Manchester, John Rylands Library)

Mi inserisco volentieri, con alcune riflessioni, nel discorso amico aperto su SettimanaNews da Marcello Neri (Teologia oggi: paradosso e ripensamento) e da Jakob Deibl (La teologia: una lettera amica). Ritengo importante tenere aperto questo dialogo che cerca di immaginare i percorsi per una teologia a-venire. Che ci sia un’urgenza nella ricalibratura e revisione del percorso di studi teologici oggi, è un’evidenza che nasce dalla stessa esperienza dell’insegnamento; davanti alla quale non si può restare semplicemente inerti, aspettando che il mero scorrere delle cose produca da sé gli aggiustamenti e cambiamenti necessari.

Sono persuaso che la teologia abbia nelle sue corde la capacità e la forza di darsi da sé una figura a-venire, proprio in virtù della sua doppia aderenza al Vangelo e al vissuto concreto di chiunque. Una persuasione condivisa qui da noi al Centre Sèvres, che ci ha impegnato in una reale riscrittura del nostro curricolo di studi capace di accogliere la condizione dell’umano e del credere nel contemporaneo, segnati da un vivere-insieme in quei contesti di pluralità che sono tipici della modernità avanzata.

Evento della parola e del linguaggio

Credo sia un segno significativo che il dibattito aperto su Settimananews abbia assunto, fin dalle prime battute, la forma di un dialogo, di un’interlocuzione che non rimane astratta, ma si rivolge a qualcuno che, nello spazio della rete, diventa immediatamente un chiunque. Perché la riuscita della teologia si realizza quando essa riesce a farsi evento, improducibile in quanto tale, della parola e del linguaggio. Quando questo accade, nello spazio limitato di due ore di lezione, allora si entra tutti insieme in un mondo che si costruisce – assaporando così l’imprevedibile genesi di un momento teologico.

L’evento della parola e del linguaggio a cui la teologia deve tendere, come abbiamo detto, è improducibile in quanto tale, ma può e deve essere preparato nel modo stesso in cui ci si appronta a fare due ore di lezione e nella stilistica in cui essa viene realizzata. In questo senso, la teologia deve trovare la via per superare quella perdita del quotidiano che sembra ancora gravare su di essa. Lo deve fare perché la sua ragione di essere è proprio quella di rendere plausibile la fede nel quotidiano di chiunque.

Pensiamo semplicemente al cibo, così comune a tutti e così particolare/diversificato in ogni cultura, addirittura in diverse regioni della medesima cultura. Su questo tema sta lavorando con grossa abilità un mio dottorando brasiliano a partire dall’esperienza «culinaria» del suo popolo. La vita stessa si fa così concreta, perde ogni astrazione, nel momento in cui viene convertita in cibo. E dentro questa conversione si può delineare un’articolazione teologica che si attua non solo dentro la cultura, ma è in grado anche di ricuperare tutto quel linguaggio concreto racchiuso nell’eucaristia come cibo che dà vita.

Passione ardente per il quotidiano

Da qui si può, poi, prendere le mosse per sviluppare una metaforica dell’assimilazione nell’articolazione dello stesso discorso teologico. Questo solo per fare un esempio di come sia possibile procedere a quel recupero del quotidiano intorno al quale si gioca la capacità di una teologia a-venire. In questo modo si apre un orizzonte per la trasformazione della teologia in evento della parola e del linguaggio nello spazio della lezione. Qui, in questo spazio, entra fin dall’inizio una problematica, una formulazione della domanda, che è anche quella degli studenti – quella che essi portano con sé a partire dai propri vissuti.

La teologia dovrebbe essere l’arte di cogliere questa formulazione della domanda così come essa si dà, ritenendola la questione stessa della teologia, da un lato; e, dall’altro, dovrebbe essere l’abilità di indirizzare, di interloquire con questa formulazione della domanda in maniera tale che essa, alla fine della lezione, possa risuonare nelle sue tonalità evangeliche. Solo così si «beccano» davvero i ragazzi e le ragazze in quell’evento che chiamiamo lezione, e solo così si apre la possibilità di onorare la destinazione del Vangelo alla quotidianità dei giorni di chiunque. Ogni questione teologica deve poter essere situata nel quotidiano e qui essere poi attivata come una sua parte propria (non si aprirebbe, in tal modo, anche una via per una ricollocazione della liturgia e del culto nel nostro tempo?).

Questo nesso fra esperienza quotidiana del vivere e Vangelo deve stare al centro di ogni teologia a-venire. La domanda da cui si genera una tale teologia è quindi «cosa porto di interessante e significativo al quotidiano?». Domanda che nasce solo se la teologia è portata, a sua volta, da una passione ardente di essere interessante per il quotidiano degli uomini e delle donne del nostro tempo. Con la consapevolezza che parlare astrattamente di questioni vitali per l’umano che vive concretamente è sempre, in un qualche modo, una forma di violenza inferta. Esattamente quello che non è il Vangelo di Dio vissuto da Gesù.

Meta-discorso teologico

Ora, il quotidiano ai nostri giorni è figura complessa, contrassegnata da una forte diversificazione sistemica degli ambiti di vita delle persone e da processi di estrema frammentazione dello stesso vivere concreto. Tutti aspetti di cui si deve tenere debitamente conto in un discorso teologico che non vuole essere violento nei confronti dell’esperienza quotidiana del vivere umano. L’impresa dello sviluppo di una debita sensibilità verso questa diversificazione e frammentazione appartiene al disegno di una teologia a-venire.

Si è così delineato il quadro che va a istruire il rapporto fra la genesi della teologia come evento della parola e del linguaggio che si situa nel quotidiano di chiunque e il meta-discorso teologico che profila il quadro sistematico di una genesi della teologia stessa. Detta in una battuta, la centratura sul quotidiano non dispensa dalla fatica del meta-discorso, ne delinea però la sua stessa destinazione a chiunque.

Tornando alla metafora del cibo. La teologia in quanto meta-discorso è come la ricetta di un piatto succulento: e come ogni ricetta non riempie e non ha sapore. È una destinazione che giunge alla sua riuscita soddisfazione solo se accende una determinata operatività e abilità. La teologia come meta-discorso prepara il momento, è in vista di un’assimilazione che si realizza in un altrove, ovunque. Questo vuol dire preparare alla consegna all’indipendenza nel mondo quotidiano, attrezzati per osare qualcosa proprio lì.

Vi è un altro aspetto che dobbiamo tenere bene in vista quando si riflette sul meta-discorso teologico. Si tratta di una sorta di confine assoluto fra l’oralità (della lezione) e la scrittura (del testo). Lo scrivere comporta sempre un movimento obiettivo, che è la condizione stessa del medium testuale. Ora, questa obiettività dello scrivere che si raccoglie in un testo teologico deve realizzarsi in un atteggiamento che sappia onorare effettivamente il suo generarsi nel quotidiano. Ossia, deve mettere in campo un’operazionalità interna al testo stesso che non faccia del suo movimento obiettivo un’astrazione di fatto rispetto al quotidiano. Solo questo può preservare il necessario meta-discorso teologico dal tramutarsi in violenza nei confronti del quotidiano vivere di chiunque.

Sensibili ai giorni

Il meta-discorso, quindi, si destina ad aperture in uno spazio altro da esso. È in questo altrove che la teologia, adeguatamente attrezzata, è chiamata alla sensibilità di un fiuto fino per i problemi concreti dell’umano con cui essa ha il dovere di interloquire. Non parlando in generale, ma rivolgendosi a qualcuno, a un chiunque concreto.

Capace di immergersi fin nell’intimo del vissuto, fino nelle trame profonde dei giorni umani. Ingresso necessario per condurre il cristianesimo e la fede al di fuori del meccanismo, quasi magico, di una trasmissione del Vangelo basata unicamente sull’omogeneità dello spazio sociale – condizione che, semplicemente, non esiste più e che, probabilmente, non è nemmeno adeguata all’intenzione del Vangelo.

Come uno parla e si rivolge, anche in teologia, diventa allora questione decisiva. Non altro fu lo stile di Gesù, nelle parabole e nei discorsi indiretti approntati per dare spazio alla libertà di chiunque e far emergere la fede di fondo che ognuno porta con sé nella quotidianità dei giorni.

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