Vita religiosa: gli “altri” consacrati

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vita consacrata

Per chi si interessa di vita consacrata e di nuove Famiglie ecclesiali le sorprese non sono mai finite. A partire dai numeri.

Un primo regesto di esperienze è stato fornito da Giancarlo Rocca (Primo censimento delle nuove comunità, Urbaniana Press, 2010). Ne ha presentate 800. Ma, quando i vescovi arrivano a Roma nella visita ad limina, esplodono altri numeri.

I brasiliani parlano di 600 nuove fondazioni, moltissime delle diocesi africane ne presentano alcune, non mancano neppure in Asia. Rapidamente nascono e, in parte, rapidamente chiudono. Ma un buon numero continua.

Il mondo degli istituti tradizionali (maschili come femminili), soprattutto quelli nati sull’onda dei bisogni sociali nel 1800, conoscono gravi difficoltà in Occidente, ma, se si tiene conto di tutte le nuove forme di consacrazione, il giudizio dovrebbe essere più sfumato. Anche perché, accanto alle nuove fondazioni, rinascono forme di consacrazione che si ritenevano archiviate. Così gli eremiti e le eremite (si parla di circa 200 casi in Italia), delle vergini (un migliaio), delle beghine (alcune decine), delle vedove (circa 450).

Due dicasteri

Una parte delle nuove fondazioni fa riferimento al dicastero dei laici. Fra questi i movimenti più noti: Comunione e Liberazione, Focolari, Neocatecumenali, Comunità di Sant’Egidio, Cursillos, Rinnovamento nello Spirito ecc.

All’interno di alcuni di questi movimenti c’è l’esperienza di vita comune e di consacrazione, come per i Focolari, il Rinnovamento nello Spirito e i memores domini dei ciellini. Ma la grandissima maggioranza sono laici associati in varie forme.

Una seconda parte delle nuove fondazioni fa riferimento al dicastero dei religiosi. Fra di esse: le Beatitudini, dal Werke, Schönstatt, Foyer de charité, Verbum Dei, Comunità dei figli di Dio ecc. In questo secondo caso, i laici coinvolti sono numericamente meno numerosi, mentre i sacerdoti e i consacrati (maschi e femmine) costituiscono il cuore delle associazioni.

I movimenti fra i laici

Il dicastero dei laici organizza le varie fondazioni che ad esso fanno riferimento in due sezioni: gli “organismi internazionali” e le “associazioni di fedeli”. I primi hanno un radicamento in alcuni paesi, le seconde sono legate a una singola diocesi.

Di particolare rilievo è il decreto generale che il dicastero ha pubblicato l’11 giugno del 2021. Esso prevede una disciplina comune in ordine alla scelta del moderatore o presidente e del suo consiglio. La scelta richiede la partecipazione, diretta o indiretta (in ogni caso formale) di ciascun membro; il mandato è per cinque anni, rinnovabile una sola volta, mentre il fondatore può rimanere più a lungo ma con il permesso del dicastero.

Alcuni problemi rimangono aperti. I consacrati dei movimenti che spesso hanno vita comune non sono formalmente riconosciuti come religiosi. Inoltre, i preti attivi nel movimento e magari formati nelle sue istituzioni sono incardinati in una diocesi e non nel movimento stesso.

Famiglie ecclesiali fra i religiosi

Il dicastero dei religiosi a cui fanno riferimento i monasteri, gli ordini, le congregazioni, gli istituti secolari e ora anche le comunità tradizionaliste prima coordinate dalla commissione Ecclesia Dei, dentro la Congregazione per la dottrina della fede, chiama le nuove fondazioni: Famiglie ecclesiali.

Queste si possono così definire: «La Famiglia ecclesiale è un unico soggetto giuridico con più rami distinti comprendenti il ramo maschile di celibi e quello femminile di donne nubili. Questi due rami principali professano voti pubblici di castità, povertà e obbedienza, e comprendono così gli appartenenti con pieno diritto alla famiglia ecclesiale» (R. Fusco, Vita consacrata, n. 4, 2022, p. 295). Anche in questo caso ci sono laici e laiche associate.

È ancora da definire il tipo di legame dei laici perché la loro condizione di sposati non è assimilabile a quanto richiesto dalla consacrazione dei religiosi.

Inoltre, il presidente, che può essere un laico e una laica, si configura come “ordinario” (in parallelo al vescovo) e alla sua responsabilità ecclesiale.

Il carisma

Le evidenti difficoltà del diritto e della disciplina ecclesiale di inseguire le fantasiose vie dello Spirito rimanda al cuore pulsante di queste nuove fondazioni, il loro carisma proprio; quel dono particolare che enfatizza temi specifici del Vangelo in capo alla persona del fondatore. Il deposito carismatico è più narrato che definito.

Il richiamo più immediato è al fondatore o alla fondatrice e alla sua vita e opere, ma anche al nucleo originario dei suoi collaboratori o collaboratrici. La sua forza di riferimento è decisiva in ordine alla compresenza e all’armonia degli stati di vita nella Famiglia o nel movimento.

Viene molto enfatizzata la domanda di radicalità evangelica esigita dal carisma che plasma lo stile proprio per ciascun stato di vita. E si chiede al magistero e alla gerarchia di condividere la stessa ottica.

Meno percepite le eventuali “malattie” legate al riferimento carismatico. Come, ad esempio, le forme narcisistiche di alcuni fondatori che scambiano il dono spirituale in ordine alla Chiesa come dono personale o quei gruppi dirigenti che pretendono di avere il carisma come un “possesso” pienamente disponibile solo a partire da sé stessi, se non addirittura in contrasto con la gerarchia.

Nuove strutture, nuove generazioni

Ma c’è chi si interroga sul “novum”, sulla novità di tale esperienze, visto che, nella tradizione ecclesiale, il coinvolgimento dei laici nel carisma dei fondatori è stato già variamente declinato. Oggi ci sono tuttavia le condizioni teologiche e culturali per un pieno riconoscimento della centralità del battesimo, della dignità del laico, del sacramento del matrimonio, della dignità della donna.

Diverse sono soprattutto le generazioni presso le quali il fascino delle fondazioni più tradizionali è molto meno pronunciato. Sono anche le generazioni che non hanno vissuto una “civilizzazione” cristiana e spesso sono a digiuno anche delle più elementari conoscenze ecclesiali. Una sincera generosità non ancora plasmata dentro la pratica della fede.

Discernimento e formazione

Diventano fondamentali le dimensioni del discernimento del vescovo e della Chiesa locale, la pratica della formazione all’interno delle Famiglie e della vita comune nei movimenti, oltre allo studio teologico.

I vescovi sono talvolta in difficoltà a operare un discernimento efficace, troppo condizionati dalle urgenze pastorali e da impressioni non adeguatamente sviluppate. Una nuova normativa li obbliga a un preventivo accordo con il dicastero romano. Ma, nonostante questo, si auspica di ampliare le indagini.

Lo strumento tradizionale, le cosiddette “lettere testimoniali” di alcuni dei protagonisti diocesani, andrebbe sviluppato in un apposito parere della Conferenza episcopale regionale.

Considerando le basi di partenza dei partecipanti, la formazione è un passaggio decisivo. Non è facile trovare buoni formatori e ancora meno comunità formanti.

Un crudo ascetismo praticato da alcuni è poco raccomandabile, come anche la confusione tra foro interno e foro esterno con scarsa attenzione all’equilibrio e alla maturità della persona.

In parallelo, la formazione teologica dovrebbe avvenire in istituti di provata qualità e robustezza, consapevoli che, senza la maturità umana, essa rimane insufficiente. Forse si potrebbe parlare più di probazione che di formazione.

Domande

Restano comunque aperte molte domande. Non sono ancora troppi i canoni sviluppati sui modelli tradizionali rispetto alle nuove forme di consacrazione? Come possono gli sposati poter emettere promesse simili a quelle dei religiosi? Come costruire un diritto a partire dai doveri-diritti comuni con successive specificazioni per i diversi rami (maschile, femminile, celibatario, religioso e presbiterale)? Possono le famiglie assumere i compiti e gli oneri della vita consacrata? Come garantire l’uguaglianza fra consacrati e consacrate nello stesso istituto? Come distribuire il potere fra organi centrali e supremi consigli dei singoli rami?

Il moltiplicarsi delle domande testimonia che la questione è molto scavata e riflessa, ma anche che l’attuale equilibrio resta provvisorio.

Stagione di verifica

Dopo i primi decenni post-conciliari in cui queste realtà hanno avuto ampia libertà di funzionamento e di autogoverno, nell’ultimo ventennio sono stati oggetto di vari correttivi. Lasciando da parte il mondo degli istituti religiosi come i Legionari, la Comunità di San Giovanni e diverse comunità monastiche, anche le nuove fondazioni sono state toccate.

Direttive di correzione sono arrivate a Comunione e Liberazione, Opus Dei, Schönstatt, Verbe de Vie, Eucharistein, Totus tuus, Beatitudini, Fraternità di Gerusalemme, Foyer de Charité ecc. Un’opera di verifica più che di disciplinamento, resa necessaria dalle sbavature, dagli abusi registrati e dalla comprensibile incertezza dopo la morte dei fondatori.

Il crinale fra censura e accompagnamento è sempre sottile. Dovrebbe salvaguardare la libertà dei battezzati e delle loro associazioni, ma anche la coerenza degli stessi con l’intero popolo di Dio, sia a livello diocesano sia universale.

Come non avvertire positivamente la spinta evangelizzante di molte di queste nuove fondazioni? Lo stesso dicastero della vita consacrata si interroga sull’identità dei visitatori e dei commissari (un’ottantina) e sulla loro efficacia. Si registrano resistenze e opposizioni, spesso ingiustificate, ma non sempre fuori luogo.

Accompagnatori docibili

Per gli istituti di più lunga storia, spesso occupati con problemi non facili come la gestione di una ramificazione internazionale, la multiculturalità, il persistente flusso di uscite (quasi 3.000 all’anno), l’infecondità nel quadrante occidentale ecc., si apre il compito di avvertire le nuove presenze e le figure “ritornanti” (eremiti e simili) come parte di uno stesso flusso di testimonianza di radicalità evangelica.

Non sono “maestri”, ma certo accompagnatori preziosi e docibili (disponibili a imparare).

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