Paolo, ebreo del suo tempo

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Paolo di Tarso, un ebreo del suo tempo, di Gabriele Boccaccini e Giulio Mariotti (Carocci, Roma 2025), in uscita in questi giorni, è da considerare un fondamentale ponte tra gli studi italiani su Paolo e le prospettive accademiche internazionali più recenti. Il volume presenta, da una parte la storia della ricerca che ha condotto alla riscoperta della piena ebraicità di Paolo, dall’altra il posizionamento dell’Apostolo all’interno del giudaismo coevo riguardo a temi quali la Legge, il male, il Messia, la salvezza.

È ormai noto che, fin oltre la metà del secolo scorso l’apostolo delle genti era mostrato – a parte qualche notevole eccezione – un oppositore del giudaismo, considerato in contrasto al nascente cristianesimo. Questo stereotipo ha cercato di rappresentare Paolo e le sue lettere come un chiaro spartiacque contro il giudaismo. Solo dopo la Seconda guerra mondiale gli studiosi hanno iniziato ad adottare una prospettiva diversa, sia a causa della Shoah – che provocò una necessaria riflessione da parte dei cristiani sull’atteggiamento ostile che avevano avuto fino ad allora nei confronti degli ebrei (si pensi ad esempio alla dichiarazione conciliare Nostra Aetate) –, sia grazie alle scoperte delle grotte di Qumran a partire dal 1947.

I manoscritti rinvenuti produssero una nuova prospettiva sul giudaismo, anche dell’epoca in cui è vissuto Paolo. Queste scoperte rivelarono l’esistenza di correnti giudaiche che presentavano differenze talvolta significative tra di loro. Ciò mise in profonda discussione la prevalente visione di un monolitico giudaismo legalista, affrancato alla stereotipizzazione del successivo giudaismo rabbinico.

Non solo fu chiaro che il giudaismo non andava visto in contrasto con il “cristianesimo” di Paolo, ma che addirittura molte sue opere presentano temi in comune con quelli del suo epistolario. Quindi che, per lo meno, fosse necessario un confronto con questa letteratura per capire il suo pensiero. Con le scoperte di Qumran, gli studiosi dovettero inoltre rivalutare la letteratura che una volta veniva indicata come “apocrifa”.

Nelle grotte furono infatti trovati testimoni di questa letteratura e ciò produsse lo studio dell’apocalittica giudaica, in particolare di quella delle opere attribuite a Enoc e che, per tal motivo, furono denominate “enochiche”. Oggi è ormai evidente l’impossibilità di capire Paolo senza una previa e approfondita conoscenza dell’apocalittica giudaica, la quale, oltre che a essere rintracciabile nelle idee paoline, è presente in molte opere giudaiche. Prendiamo ad esempio l’idea dell’origine del male e della sua presenza nel mondo. Tali acquisizioni sono anche il frutto della ricerca di Paolo Sacchi, uno dei grandi pionieri dello studio dell’apocalittica giudaica, a cui il volume viene dedicato.

Gli Autori, quindi, riportano come l’Apostolo, nella sua esperienza del Risorto e nella scoperta della Sua giustificazione, riconosca la soluzione al problema del male e delinei una sua originale proposta rimanendo all’interno del variegato mondo del giudaismo del Secondo Tempio e in particolare della visione del mondo apocalittica. Nell’imminenza della fine dei tempi, «in Cristo», l’ebreo Paolo ha trovato l’«unica e inclusiva via di salvezza».

Il volume Paolo di Tarso, un ebreo del suo tempo spiega dettagliatamente tutti i passi occorsi per giungere a una nuova comprensione di Paolo e del suo pensiero. Il testo risulta prezioso per la chiarezza dell’esposizione anche della più recente e promettente prospettiva di ricerca, oggi denominata come la Paul-within-Judaism Perspective, di cui sia Boccaccini sia Mariotti hanno già dato rilevanti contributi.

  • G. Boccaccini-G. Mariotti, Paolo di Tarso, un ebreo del suo tempo (Frecce 409), Carocci, Roma 2025; pp. 312.
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