La recente elezione di Papa Leone XIV ha riacceso i riflettori sulla Dottrina sociale della Chiesa ed è singolare che questo sia accaduto esattamente a dieci anni dalla pubblicazione della Laudato si’. Un’enciclica che tutti i commentatori hanno, fin dalla prima ora, dichiarato essere un capitolo nuovo e importante proprio della Dottrina sociale. Non è questo il contesto per riproporne tutte le argomentazioni. Basti, a questo proposito, ricordare il numero 49 nel quale Papa Francesco esplicitamente lega la questione ecologica a quella sociale, ricordando che non si può ascoltare «il grido della terra senza ascoltare anche quello dei poveri» perché «non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale» (LS 139).
Un respiro spirituale
Su questo, molto si è scritto e difficilmente si può dire qualcosa di nuovo. Tuttavia, non è fuori luogo evidenziare che, prendendo su di sé la problematica ecologica, la Dottrina sociale non ha unicamente imparato ad affrontare un nuovo problema, aprendosi un «campo di azione» finora poco esplorato, ma, da un certo punto di vista, ha ricevuto un impulso a ridefinirsi.
Il magistero sociale della Chiesa – che, ricordiamocelo, nasce come «filosofia sociale» per poi diventare «dottrina sociale» – accogliendo al suo interno la Laudato si’ non aggiunge solamente un capitolo al corpus dei suoi insegnamenti, ma una profonda riflessione spirituale. Laudato si’ infatti ci insegna che, nella concretezza dei problemi ambientali affrontati, l’azione sociale della Chiesa deve adottare sempre una metodologia che ha al suo centro un respiro spirituale, fatto di contemplazione, di discernimento e (anche) di azione. Un respiro ispirato dalla carità di Cristo che non si ferma all’analisi dei problemi e alla teorizzazione delle strategie politiche di soluzione, ma domanda una conversione interiore, affinché possano «…emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù…» (LS 217).
Diversamente da come molti detrattori di papa Francesco e della sua apertura all’ecologia hanno sottolineato, Laudato si’ propone uno sguardo sul mondo (pardon! sulla creazione) e sulla connessione della questione ecologica con quella sociale che, per così dire, frena la spinta all’azione per sollecitare uno sguardo contemplativo che prende le mosse unicamente dall’adesione credente alla parola di Cristo, il quale – comandando ai suoi discepoli di dare da mangiare agli affamati perché «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40) – ha stabilito che, dal punto di vista di Dio, c’è una perfetta coincidenza tra l’affamato e Cristo Signore e Giudice della storia.
Venire incontro ai bisogni dell’affamato è così figura escatologica, e, dunque, definitiva, del modo con cui la coscienza credente riconosce che la Signoria di Cristo è posta sotto il segno della responsabilità per l’altro: pertanto non è disumana la condizione dell’affamato in quanto tale, ma è giudicato (da Dio) disumano colui che non si cura della fame dell’affamato.
«Vi raccomando di dare la parola ai poveri»
In questo senso si capisce il legame tra il «grido della terra e quello dei poveri» che spinge con forza la Chiesa a difendere coloro che, dalla crisi ecologica, subiscono l’impatto più duro e devastante. Parimenti, viene alla luce quel respiro spirituale che muove la comprensione teo-logica dell’azione sociale della Chiesa e che giunge perfino alla consapevolezza che – prima ancora di andare ad aiutare gli ultimi – sono quest’ultimi ad aiutare noi, misteriosamente trasformati in mendicanti dei mendicanti:
«“Una cosa sola ti manca”. Questo è ciò che ci manca: imparare a mendicare da quelli a cui diamo. Questo non è facile da capire: imparare a mendicare. Imparare a ricevere dall’umiltà di quelli che aiutiamo. Imparare ad essere evangelizzati dai poveri. Le persone che aiutiamo, poveri, malati, orfani, hanno molto da darci. Mi faccio mendicante e chiedo anche questo? Oppure sono autosufficiente e so soltanto dare?» (Francesco, Incontro con i giovani, Manila 18 gennaio 2015).
Ci sarebbe da chiedersi se, in questo caso, si possa ancora parlare di «Dottrina sociale» e non, piuttosto, come Leone XIV recentemente suggeriva ricevendo la Fondazione Centesimus annus (17 maggio 2025), della capacità ecclesiale di affrontare i nuovi problemi sociali favorendo una «cultura dell’incontro» che sappia mostrare al mondo un «sapere […] frutto di un cammino comune, corale e persino multidisciplinare verso la verità». Si tratta di mettere in piedi una vera e propria azione sapienziale che ha al centro sempre un’attenzione privilegiata ai più deboli.
«Vi raccomando di dare la parola ai poveri», terminava Leone XIV: riconoscersi nella fede mendicanti dei mendicanti determina, infatti, una nuova comprensione di sé stessi e degli altri che i cristiani mettono in atto nelle azioni concrete in cui – in quanto credenti, e, dunque, muovendo da quanto stabilito da Dio (non dall’uomo) – contribuiscono a definire il significato del vivere umano nel mondo. La comprensione che muove l’agire credente, in campo sociale, non può dunque essere valutata in una contrapposizione «di principio» rispetto alle altre, ma quando fa valere, nel concreto della vita vissuta, in modo non coercitivo ma incondizionato, la propria comprensione come adeguata a rendere umana la vita dell’uomo.
Nicola Reali è professore ordinario presso l’Istituto Pastorale «Redemptor Hominis» della Pontificia Università Lateranense