Maria senza Vangelo

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Nessuna “buona notizia” per la vergine di Nazaret che riceve l’annunciazione della sua divina maternità. Nel film di Paolo Zucca “Vangelo secondo Maria” (in sala dal 23 maggio 2024) è un angelo da recita scolastica, efebico e biondo, con ali di piume fruscianti e tunica svolazzante, a comunicare a Maria il suo destino di gloria, senza per altro chiederle il consenso. E nel momento in cui sulla giovinetta svenuta si stende, letteralmente, “l’ombra dell’Altissimo”, la sospensione delle leggi di natura si esprime in una serie di fermo immagine, tutti tratti da scene di predazione.

Così Maria passa dalla prepotenza familiare e sociale che le impone di rimanere ignorante, di sposare un uomo deciso da altri, di essere sottomessa e di rimanere in silenzio, alla prepotenza di JHWH, che la vuole strumento del suo disegno di salvezza, “contenitore” del Figlio di Dio.

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Dopo una prima reazione di compiacimento, perché finalmente potrà essere qualcuno, essere ricordata e venerata, Maria si rende conto di dover barattare la sua libertà e la nuova felicità che sta sperimentando insieme a Giuseppe con la gloria di essere Madre di Dio e ne prova orrore. Il sogno in cui Maria vede se stessa come Madonna di gesso, portata in processione da uomini incappucciati e idolatrata da una folla di infelici questuanti (uno dei momenti più espressivi del film), è prolessi di un destino angosciante: la sua identità sacrificata alla funzione nel piano di salvezza del mondo.

Allora Maria si ribella. Dribblando gli agguati dell’angelo impomatato che le compare continuamente davanti, a mo’ di stalker, discute direttamente con Dio dall’orlo di un abisso in cui non esita a gettarsi, pur di non sottomettersi alla richiesta divina, mettendo in discussione la stessa necessità della redenzione: grida infatti contro Dio che solo inventando il peccato l’umanità si rende bisognosa di salvezza.

Ma Giuseppe salva Maria dal fondo dell’abisso in cui si è precipitata, i due ne riemergono finalmente abbracciati (fino ad allora erano vissuti in castità su richiesta della ragazza, che non aveva voluto il matrimonio) e vivono insieme da allora felici e contenti.

Ovviamente Gesù non nasce, senza danno per nessuno.

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Il film, in effetti, funziona anche semplicemente come una storia d’amore, quella che nasce tra Maria e Giuseppe dopo il loro matrimonio, ed è un bel film, anche se non si prevede che possa riempire le sale. Bella l’ambientazione nel paesaggio aspro della Sardegna, tanto più vero e reale (senza ricostruzioni pseudostoriche) quanto più artefatte e surreali sono le scene che rappresentano le sovrastrutture religiose (l’angelo dell’annunciazione, la Madonna in processione). Molto bella la colonna sonora, intensa, aspra e semplice come il paesaggio. Bravo Alessandro Gassman, il paziente e saggio Giuseppe, che però alla fine si innamora e un po’ di pazienza la perde. Bravissima Benedetta Porcaroli, l’inquieta e nervosa Maria che, alla fine, sceglie l’amore terreno.

Il regista Paolo Zucca riprende puntualmente il libro di Barbara Aberti, direttamente impegnata nella sceneggiatura, edito con lo stesso titolo del film nel 1979, per cui non siamo sorpresi del femminismo ante litteram di Maria, della sua ribellione, della sua rabbia, della sua avidità di conoscenza e di indipendenza: un anti-modello fin troppo insistito, contro ogni verosimiglianza storica (verosimiglianza volutamente ignorata). La tesi, vistosamente tale, è che la religione sia supporto del potere patriarcale (se ancora si può usare questa parola di cui si è abusato), esaltando nella Madonna un modello femminile funzionale al potere maschile.

Niente di nuovo, appunto, dal 1979. Ma a differenza di allora, tempi di femminismo graffiante, ora è difficile anche solo scalfire su questo punto l’indifferenza dei più. Il tanto parlare di “patriarcato” e violenza sulle donne difficilmente va a cadere sulle responsabilità della religione, forse per quieto vivere, e, d’altro canto, l’invito accorato di papa e vescovi a non confondere la violenza con l’amore e al rispetto per le donne non si vede mai che faccia i conti con le responsabilità di una cultura cattolica storicamente misogina, non foss’altro che per prenderne le distanze. Certo, non aiuta il fatto che la gerarchia ecclesiastica sia ancora tutta esclusivamente e insistentemente maschile.

C’è anche un altro tema interessante, anche più interessante, su cui il film provoca una riflessione, parrebbe del tutto involontariamente, e cioè che tutto il “vangelo” si ridurrebbe alla redenzione dal peccato (Barbara Alberti parla esplicitamente di peccato originale).

Ma quale credente oggi direbbe in questi termini la sostanza del suo credere e sarebbe persuaso da questo “vangelo”? In sostanza, in tutta la vicenda rappresentata non c’è un “vangelo”, non c’è una buona notizia per gli uomini, così come non c’è per Maria.

Non c’è, nell’incarnazione, il desiderio di Dio di abitare con l’umanità e la sua richiesta di esserne ospite.

Non c’è, nelle parole dell’angelo, il rispetto di Dio per la libertà umana e non c’è, nel dipendere da una donna, la sottomissione di Dio stesso alla legge della vita, che non si dà senza l’accoglienza di una donna che voglia essere madre.

Non c’è, nell’annunciazione a Maria, la promessa che “i potenti saranno abbattuti dai troni e gli umili saranno esaltati”, promessa che Gesù invera in ogni suo gesto e che pure sarebbe potuta piacere anche al femminismo. C’è solo un peccato, per altro di discutibile forma e contenuto, da redimere. Ma ci sentiamo di assegnare ad altri, nella fattispecie all’Alberti e allo Zucca, la responsabilità di un tale impoverimento dell’annuncio?

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Eppure.

Eppure troviamo nella rappresentazione degli autori anche una sorta di (involontaria?) adesione alla qualità sovversiva dell’annuncio evangelico. Maria, infatti, si chiede ripetutamente perché, tra tutte le brave ragazze di Nazareth, proprio a lei, così poco sottomessa, così desiderosa di libertà e di sapienza, sia toccato di accogliere il Figlio di Dio. Ci piace pensare che nella figura di una Maria ribelle ci sia qualcosa non tanto e non solo del femminismo dell’autrice, ma anche della figura di Maria che emerge abbastanza chiaramente dai racconti evangelici (comunque ne parli Barbara Alberti), tutt’altro che passiva e convenzionale.

Ci piace pensare che quando Maria, dall’orlo dell’abisso, sfida JHWH nella sua potenza, chiedendosi perché non eserciti il suo potere per violare anche la sua povera volontà di fanciulla, cioè non faccia automaticamente corrispondere la debole volontà umana di una ragazza col suo onnipotente volere divino, si affermi davvero il rispetto di Dio per la libertà dell’uomo, senza nemmeno che ne seguano delle ritorsioni. E, infatti, i due innamorati si incamminano insieme verso Alessandria per viverci felici e contenti.

E allora? Allora possiamo anche, audacemente, immaginare che la Maria di Nazareth che conosciamo, che ha accolto nel suo grembo il Figlio di Dio, possa essere stata preceduta da un’altra o anche più fanciulle non disposte al compito, eppure impunite e felici, al punto di non comparire nemmeno nei racconti evangelici come esempi negativi.

Sarà anche una fantasia impertinente, ma del tutto coerente con le parole e con i gesti di quel Gesù che, a un certo punto, una ragazza di Nazareth ha liberamente accolto e fatto nascere.

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4 Commenti

  1. Gino Mazzacani 18 giugno 2024
  2. Stefano 18 giugno 2024
  3. Paolo Zucca 13 giugno 2024
    • Elisa Mascellani 13 giugno 2024

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