Il 22 febbraio sono stati celebrati gli ottant’anni del tomo dell’autocefalia per la Chiesa ortodossa bulgara.
Il sinodo e il patriarca Daniele ricordano il giorno del 1945 che ha messo fine a una lunga stagione scismatica e a più di un secolo di sforzi per l’indipendenza e la libertà spirituale della popolazione bulgara. «Per noi oggi, indipendentemente da tutta la storia drammatica e da tutte le vicissitudini del nostro popolo e della nostra Chiesa resta pienamente valida e vera l’antica e conosciuta verità: e cioè che la forza reale del nostro popolo ortodosso è legata unicamente alla sua unità spirituale e culturale, con la cura per la memoria nazionale e la presa di coscienza della necessità di continuità e di costruzione permanente di quanto compiuto dai nostri antenati. Quello che loro hanno conquistato con grandi sforzi e abnegazioni resta per sempre come un testamento eterno per le generazioni. Il loro spirito di intransigenza e la loro volontà di libertà e di vita degna devono operare in noi se volgiamo essere loro degni eredi e continuare la loro opera».
I vescovi fanno riferimento alle crisi che interessano gli stati come le Chiese e ai pericoli interni di divisione. Concludono: «L’autocefalia è una misura della maturità di una Chiesa locale nella comunione indissolubile con tutte le altre Chiese locali, membra dell’unica Chiesa santa, cattolica e apostolica».
Su 8 milioni di abitanti 6 appartengono all’ortodossia locale. Il 30 giugno 2024 è stato eletto, non senza qualche diffidenza, il nuovo patriarca Daniele (cf. SettimanaNews, qui).
Scismi e tensioni
Il testo del comunicato fa riferimento allo “scisma” del 1872. In quel secolo, a seconda della maggior o minor forza del patriarcato a Costantinopoli e delle situazioni locali, l’autocefalia era concessa o negata. Così successe anche nel 1872 quando Costantinopoli, rovesciando una precedente decisione, negò l’autocefalia lasciando la Chiesa bulgara in stato di “scisma”.
Abbandonata dai greci come dai russi, la Chiesa locale visse in questa “terra di nessuno” fino al 1945 quando la tensione si sciolse con il riconoscimento da parte del Fanar.
La tensione interna si è rinnovata all’indomani dell’indipendenza a seguito della crisi dell’Unione Sovietica negli anni ’90 del secolo scorso.
La rivelazione della collaborazione del patriarca e di buona parte del sinodo con la polizia segreta russa ha creato le condizioni per un “sinodo alternativo” di quanti non accettavano la situazione. In particolare, la discussione verteva sul ruolo pubblico della Chiesa, sulla restituzione dei beni da parte dello stato e sulla sudditanza verso la Russia.
Anche grazie alla spinta dei politici filo-occidentali, il sinodo dissenziente ha visto crescere i suoi consensi, soprattutto nella capitale, Sofia, e nelle città di Bansko e Blagoevgrad.
La spinta delle altre Chiese, del patriarcato ecumenico e dei governi successivi hanno fatto rientrare, anche forzosamente, lo “scisma” nel 2004.
Ma la tensione si è riprodotta anche recentemente in occasione dell’elezione del nuovo patriarca. Vi è un ampio dissenso circa il peso della Russia sul paese, ma la guerra russo-ucraina ha convinto il sinodo e il nuovo patriarca ad un avvicinamento alle posizioni delle Chiesa di Mosca.
L’avvenuta registrazione presso la Corte Suprema di Cassazione di una seconda Chiesa denominata “Chiesa ortodossa vetero-calendarista bulgara” ha fatto scattare la reazione del sinodo che ha difeso la Chiesa della tradizione come l’unica espressione istituzionale per l’ortodossia locale.
Ricordando il canone condiviso dell’unica Chiesa ortodossa nello stesso territorio, la necessaria comunione con le altre comunità ortodosse e ricordando come la questione del calendario non si configuri come dissenso teologico ma solo di sensibilità pastorale, ha chiesto che il parlamento invalidasse la decisione con l’approvazione di una legge. Cosa che è avvenuta all’inizio di febbraio 2025.
Le nuove organizzazioni religiose hanno tempo due mesi per modificare i loro statuti e la loro denominazione. Un interventismo statuale che ha sollevato più di un dubbio da parte dei giuristi e dell’opposizione politica.
Il digiuno
In una lunga intervista del luglio scorso, il patriarca Daniele ha insistito sulla necessità di suturare le divisioni difendendo l’ordine canonico rispetto a ingerenze politiche. Ha inoltre sostenuto la legittima presenza della Chiesa sulle questioni che interessano tutte le sfere della vita umana. Vi è infatti un “diritto naturale” di cui la Chiesa è l’interprete.
In occasione di una lettera per la quaresima di quest’anno (2025), il patriarca ha molto sottolineato la pratica del digiuno e, citando sant’Atanasio, ha scritto che l’astensione dai cibi «guarisce le malattie, fa superare i disturbi del corpo, scaccia i demoni, dissipa i cattivi pensieri e rende lo spirito luminoso e il cuore puro».