Diario di guerra /25. Israele, accusa di genocidio

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Neanche le prime giornate dell’udienza della Corte internazionale dell’Aja – per la causa intentata dal Sudafrica contro Israele, per genocidio – sono riuscite a coprire le aperture prioritarie dei media, posto che, proprio da giovedì, l’attacco anglo-americano contro le basi degli Houti in Yemen, ha spostato l’attenzione sulla tanto temuta estensione della guerra, che è già nella realtà delle cose, essendo lo Yemen uno Stato sovrano.

Gli Houti – va subito ricordato – sono guerriglieri yemeniti, da anni coinvolti in un feroce conflitto in Yemen: sono filoiraniani e, dopo averne fatto parte, sono stati ufficialmente rimossi, da parte della amministrazione Biden, dalla lista dei gruppi terroristici, dal 12 febbraio 2021.

Io continuo a pensare che la priorità vada data alla questione dell’accusa di genocidio su Gaza, perché questa potrà pesare, nel tempo, come un macigno, e divenire un discrimine, una sorta di nuovo confine – per come si stanno mettendo le cose – che contrappone il Nord al Sud del mondo.

Cos’è un genocidio?

Non è forse un caso di genocidio – evidente e conclamato – quello perpetrato a danno del gruppo religioso maggioritario – musulmano sunnita – che viveva in Siria, passato sotto silenzio, sia da parte del Nord che del Sud del mondo? Eppure, si è realizzato in questi anni e nessuno non solo lo ha denunciato ma neanche ha usato quella parola!

Il Nord – l’Occidente – ha di fatto accettato la tesi del despota e criminale Bashar al-Assad, responsabile dell’eliminazione di un numero non quantificabile – 500.000 è una stima parzialissima! – di siriani sunniti, con l’espulsione forzata di 10 milioni di loro, per il solo motivo che la famiglia Assad li ritiene sudditi infedeli, vicini al partito dei Fratelli Musulmani, quindi terroristi: tutti terroristi!

Il Nord ha finito dunque con l’accettare la tesi del regime – sostenuta, purtroppo, anche da diversi ecclesiastici siriani –, quella che vuole che si sia trattato di un’azione di reazione, perciò comprensibile, al terrorismo islamico. Mentre il Sud del mondo nulla ha eccepito al riguardo, poiché ritiene che Assad sia dalla sua parte, quella del fronte “antagonista” all’egemonia americana, colonialista.

Ecco il punto: oggi su Gaza si confrontano due analoghe, ma contrapposte, letture. Il problema è dunque stabilire come ci si debba comportare dinnanzi al fenomeno terrorista. Gli Stati Uniti, dopo l’11 settembre, nella persona di George W. Bush, hanno elaborato la pericolosa – oggi lo vediamo – teoria della guerra al terrorismo (war on terror): così hanno risposto all’organizzazione di Osama bin Laden con la guerra di distruzione e occupazione, ossia con due operazioni molto note – e dagli esiti altrettanto chiari – quali le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq. Così, dopo anni di orrori di guerra, Washington, con Trump, è giunto a negoziare con i talebani il loro ritorno in Afghanistan, avvenuto, come tutti ricordiamo grazie all’immagine plastica di persone aggrappate ai carrelli degli aerei in decollo da Kabul; mentre, nel secondo caso, in Iraq, si è consegnato il Paese – con gli errori marchiani di Bush e il ritiro di Obama – al controllo delle milizie filoiraniane.

La guerra al terrorismo – intesa come guerra con metodi tradizionali – è un errore, ma non perché non si debba combattere il terrorismo, bensì perché, con quei metodi, combattendo, si finisce col trasformare tutto in terrorismo, trasformando una parte nel tutto: tutto un Paese, allora, diventa terrorismo; un grave errore che alimenta, davvero, nuovo terrorismo.

L’ho scritto, su queste pagine, più volte: l’azione del 7 ottobre è un pogrom e come tale va considerata, ma non può essere attribuita a tutti gli abitanti di Gaza, mentre, di fatto, tutti gli abitanti di Gaza sono coinvolti nella risposta militare di Israele.

Sostenere questa tesi non vuol dire passare dalla parte di Hamas, così come criticare Bush non significava portare sostegno ai talebani o a Saddam Hussein.

Sud e Nord del mondo avrebbero dovuto, allora, trovare il modo di capirsi. Il Sud, posto di fronte a conclamate crudeltà: quella talebana e quella di Saddam; il Nord dinnanzi agli occhi di ogni afghano o iracheno perseguitato, in realtà, dai rispettivi regimi.

E torno all’enorme esempio siriano: come possiamo oggi negare – dal nostro Nord – di aver chiuso gli occhi davanti agli occhi dei genocidati della comunità sunnita, bollati da Assad come «terroristi»? E come può il Sud non aver visto quel popolo – ritenuto dalla propria parte – morire nel modo più osceno, nel suo ributtante silenzio?

Le potenzialità di Gaza

Per uscire dal circuito perverso dell’odio su Gaza, non basta il cessate il fuoco: certo, è indispensabile per soccorrere la popolazione ed evitare il peggio del peggio, ma non è sufficiente a creare una prospettiva.

Qui mi ripeto. Gaza avrebbe enormi potenzialità! Sta sulla Via del Cotone, quella che potrebbe collegare India, Arabia Saudita e Paesi del Mediterraneo. Il punto ufficiale di approdo della Via – se ci fosse la pace – dovrebbe essere Haifa. Ci sono miliardi di dollari in ballo: potrebbero essere spesi per portare benessere agli esseri umani.

Io chiedo: se Gaza divenisse il terminale sul Mediterraneo, insieme ad Haifa, di un così gigantesco progetto commerciale e infrastrutturale, chi si schiererebbe più col terrorismo di Hamas? Perché non viene neppure ipotizzato? A Gaza c’erano il porto e l’aeroporto, funzionanti!

Al termine di una fase interinale, a Gaza potrebbe essere garantita la piena sovranità palestinese. Certo che, anche con questo, resterebbe il problema, ampiamente rimosso, della colonizzazione israeliana – illegale perché la legge internazionale la proibisce – della Cisgiordania. Ma bisogna pur trovare il modo di uscire dal circolo perverso degli opposti estremismi, e cominciare a costruire reciproca fiducia da Gaza: sarebbe straordinario!

Molti oggi dividono il mondo tra antisemiti e islamofobi. Gli islamofobi e gli antisemiti – o antigiudei – esistono, ma ci sono pure quelli che vogliono sostenere e gli uni e gli altri in virtù di sentimenti di umana pietà contro le contrapposte narrazioni esistenti.

Serve dunque – e serve, ora, disperatamente, più delle armi – una narrativa che esca decisamente fuori da quelle di Stato. Coraggiose intelligenze che lo possano fare esistono, eccome!

Ma esiste mai la volontà politica di lasciarvi spazio? Il Nord del mondo, per quanto gli spetta, e il Sud del mondo per la sua parte, coi loro Capi di Stato, lo vogliono? Io temo di no, ma penso che le buone istanze vadano sempre avanzate. Forse proprio i cattolici, che sono in entrambi i mondi – Nord e Sud – potrebbero favorire l’incontro e la produzione di nuove narrazioni, in un conflitto che, ormai, riguarda proprio tutti.

  • Tutte le puntate del Diario di Riccardo Cristiano possono essere lette qui.
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