Diario di guerra /44. Solo una buona notizia

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Nelle pagine buie del diario, c’è ora la buona notizia della decisione israeliana di aprire il valico di Eretz e il porto di Ashdod per consentire l’afflusso di aiuti umanitari a Gaza. Prima c’è stata la tragedia dell’uccisione di sette operatori umanitari, molti dei quali occidentali, regolarmente segnalati ai militari israeliani, secondo i protocolli. Due graduati israeliani sono stati rimossi. Al riguardo, va segnalata la brusca telefonata tra Biden e Netanyahu.

Saremo a raccogliere, nelle prossime ore e giorni, un poco di bene per la popolazione, stremata. Spero. Ma c’è, almeno, anche un’altra emergenza in atto, quella del timore di una vendetta iraniana per il bombardamento della sede di Damasco, con le minacce reiterate in queste ore.

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Il turbine di altre notizie è, a dir poco, allarmante. Ma vorrei partire con la sola notizia, tra queste, che, a mio avviso, potrebbe avere, se confermata, un significato relativamente positivo: i militari russi sarebbero tornati, nelle ore trascorse, a presidiare i punti più sensibili e delicati a sud della Siria, cioè in quella zona siriana che conduce verso la Giordania e Israele.

Se questo significasse che i russi non intendono lasciare agli iraniani l’uso diretto di quelle postazioni, sarebbe un fatto positivo in ragione delle temute – e sempre possibili – estensioni del conflitto. I buoni rapporti tra russi e iraniani sono una cosa, la presenza diretta iraniana un’altra. Non si tratta però di una certezza, perché questa “notizia” – come tante altre – per quanto diffusa da osservatori credibili, non si può dire ancora suffragata da fatti inoppugnabili. Rimaniamo nella incertezza.

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Perciò, nella precarietà del quadro, non sta andando molto bene il tentativo di dissuasione che gli Stati Uniti stanno operando nei confronti degli Houti, i miliziani filoiraniani yemeniti che, da mesi ormai, attaccano la navigazione commerciale nel Mar Rosso, per sostenere – a loro dire – i palestinesi e arrecare danno ad Israele.

La Casa Bianca si dichiara, naturalmente, soddisfatta dei risultati conseguiti con l’azione intrapresa già da gennaio, dopo aver inserito, nuovamente, gli Houti nell’elenco dei gruppi definiti terroristi. Col senno di poi, era stato, evidentemente, un azzardo toglierli. Ora Washington sostiene che, in tal modo, si riduce la capacità di accesso al sistema finanziario degli Houti.

Ciò dice, tuttavia, che il risultato voluto, non potrà comunque essere conseguito per la sola via militare: questa, al più, può contenere i danni alla libera navigazione. La Casa Bianca, dunque, sta premendo per ottenere dagli Houti un «gesto di buona volontà»: la liberazione dei 25 ostaggi catturati nello scorso novembre quando è caduta nella loro trappola, una nave cargo – la Galaxy Leader – di proprietà britannica e di gestione giapponese. La risposta degli Houti sarebbe la seguente: «decide Hamas».

Dal Sanaa Center for Strategic Studies, l’analista Abdulghani Al-Iryani esprime la convinzione che il punto sia un altro: «Se gli Stati Uniti vogliono convincere gli Houti, devono offrire qualcosa in cambio; in questo caso è chiaro cosa vogliono: essere riconosciuti come il legittimo governo yemenita. Ma questi termini non sarebbero accettabili né dall’Arabia Saudita né dalle altre forze yemenite».  Thomas Juneau, dell’University of Ottawa’s School of Public and International Affairs spiega in modo piuttosto convincente: «quando gli Houti vogliono fare pressioni sugli Stati Uniti, o altri, minacciano la libera navigazione nel Mar Rosso».

Tutto questo, ovviamente, con i palestinesi c’entra assai poco.

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Ed eccoci all’Iran. La risoluzione di condanna dell’azione militare contro la sede consolare iraniana a Damasco – attribuita ad Israele – non è stata approvata dal Consiglio di Sicurezza. I trascorsi iraniani contro le sedi diplomatiche – notissimo il caso del sequestro di tutto il personale americano in servizio nell’ambasciata statunitense a Teheran che costò la presidenza a Jimmy Carter – non bastano a spiegare un «perché?».

Va chiarito lo status dell’edificio colpito che, secondo i più, risulterebbe adibito ad attività consolari. È, comunque interessante notare come alcuni commentatori abbiano sottolineato come la convenzione – in materia di edifici protetti – affermi che, al loro interno, non debbano svolgersi attività diverse da quelle tipiche di un servizio consolare. La materia è delicata, spinosa; merita approfondimenti.

Mi impressiona ora leggere che, secondo molte organizzazioni umanitarie, nel 2023 le esecuzioni capitali in carcere in Iran siano state «almeno 830»: almeno! Nel 2024 si sarebbero già superate le 100 esecuzioni. Tra le vittime è altissimo il numero dei condannati per narcotraffico: facile ritenere che tale imputazione serva, quasi sempre, a coprire ben altra “colpa”: il dissenso al regime.

  • Tutte le puntate del Diario di Riccardo Cristiano possono essere lette qui.
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