Gli orrori, i pogrom, le carneficine, hanno nuovamente prodotto una leggera attenzione sulla Siria dove vive un popolo decimato, affamato, distrutto, ma al quale nessuno può guardare come fosse un popolo di selvaggi. È un popolo di vittime, da un secolo.
È difficile capire la Siria (e il Libano) d’oggi senza tornare agli anni decisivi, quelli dell’inizio della pessima impresa coloniale francese, cominciata nel 1920, quando i francesi insediarono il generale Henri Gouraud a Damasco.
Nei primi giorni del suo governo il suo segretario, il diplomatico e visconte Robert de Caix de Saint‑Aymour, gli disse (stando alla ricostruzione storica di Peter Shambrook) che a suo avviso erano disponibili solo due opzioni: “costruire una nazione siriana che non esiste, ammorbidendo le profonde frizioni che la dividono, o coltivare e mantenere questo fenomeno, che richiede il nostro arbitrato, ciò che queste divisioni ci offrono. Devo dirle che la seconda opzione è la sola che mi interessi”.
Nasceva così il governo basato sull’astio etnico o confessionale, la creazione di protettorati da affidare alle varie minoranze presenti in un Paese in vasta maggioranza musulmano sunnita.
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Questo sistema è stato fatto proprio dagli Assad, che hanno governato basandosi su un nucleo di ufficiali e signori feudali della sua minoranza, gli alauiti, e confidando nell’alleanza delle minoranze contro la maggioranza sunnita, identificata in blocco con gli estremisti che questo metodo alimentava nel loro seno. Temendo l’estremismo sunnita al potere, durante la guerra civile libanese, molti sostennero questo approccio anche in Libano, facendo perno soprattutto sui cristiani. Assad andò a impiantare degli alauiti nella città più sunnita del Libano, Tripoli.
Oggi in Siria si torna a questo schema. Il nuovo potere siriano, dell’ex terrorista sunnita al-Sharaa, consente da mesi discorsi in tutto simili a quelli che Assad fece contro i sunniti, questa volta però volti a criminalizzare tutti gli alauiti, la piccola comunità da cui vengono gli Assad, ma che nessuno può identificare in blocco con lui – non solo in via di principio, ma anche perché la storia ci dice il contrario: i villaggi alauiti che non si piegarono agli Assad furono lasciati in orrenda miseria.
Inoltre al Sharaa non ha saputo inserire né i drusi né i curdi nel nuovo potere. Alcuni tra costoro, auspicando una compiacenza israeliana che teme un potere estremista sunnita strettamente alleato con i turchi di Erodgan, hanno cominciato a pensare di allearsi tra loro. Hanno sostegni, per esempio dagli iraniani, ma il malessere è siriano. Sono loro che ragionano da “minoranze” o da “maggioranza” e non da cittadini, e la reazione militare del presidente al Sharaa ha rafforzato gli estremisti tra i suoi nemici.
Infatti ha reagito ad alcune provocazioni sanguinose compiute dai seguaci di Assad con autentici pogrom contro gli alauiti, indiscriminatamente. L’ idea che lo ha guidato è la stessa che guidava Assad: solo l’estrema violenza li terrà a bada. Ecco gli orrendi bagni di sangue di queste ore. Si può dunque dire che non c’è nulla di nuovo dai tempi del generale Gouraud? Si può dire per certo che un metodo andrà crisi se ne viene creato uno nuovo, altrimenti sarà difficile uscirne.
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Il fatto è che l’alternativa è una sola, la cittadinanza: cioè il metodo che non interessava al visconte Robert de Caix de Saint‑Aymour. Oggi come oggi questo non interessa alle grandi potenze, ma dovrebbe interessare ai siriani e all’Europa.
La Siria può diventare una seconda Libia, un buco nero che nessuno controllerà. Ma è difficile parlare di cittadinanza davanti ai cadaveri di civili alauiti, vittime innocenti di inaudita violenza settaria proprio come quelle di ieri.
I complici dei crimini di Assad andavano individuati e inquisiti individualmente. Allora l’Europa potrebbe partire da una visita a Damasco, nel corso della quale dire ad al-Sharaa: “lei vuole fare come Assad? E non sa che qualora perdesse, tutti i sunniti come lei saranno criminalizzati come voi oggi criminalizzate ogni alauita?”
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L’Europa, distratta da altri problemi, ha leve importanti, le sanzioni economiche che da sola ha coraggiosamente deciso di alleviare; potrebbe forse sperare sul sostegno del solo attore interessato a smussare, non acuire i contrasti: l’Arabia Saudita. Riad non vedrà di buon occhio un potere a Damasco troppo legato ai turchi e, quindi, potrebbe favorire qualche apertura verso i curdi, anche per non renderli strumento degli iraniani che vogliono usarli per rientrare in Siria. In questa prospettiva l’Europa è il solo “soft power” che potrebbe indicare la priorità umana e politica di non criminalizzare nessuna comunità.
Bisognerebbe dunque avere il coraggio di stare dalla parte delle vittime, quelle civili, di ognuno; se non lo si è fatto ieri non è un buon motivo per non farlo oggi. Fissato questo si potrebbe anche aiutare ad accertare le responsabilità individuali nel passato, come ha promesso Macron.
Ma c’è qualche attore sul quale fare perno per illustrare a tutti la lezione della storia, quella cominciata ai tempi del colonialismo francese? Sì, è Abdullah Ocalan. Il suo recente discorso, non ascoltato dalla frangia del PKK in Siria, andrebbe ripreso, rilanciato, spiegato, anche dai diplomatici europei.
Infatti non la lezione coloniale, ma quella di Ocalan, offre una prospettiva. Lui ha concluso il suo epocale intervento di rinuncia alla lotta armata con queste parole: “Così come ogni organizzazione e partito contemporaneo la cui esistenza non sia stata interrotta con la forza farebbe volontariamente, convocate il vostro congresso e prendete la decisione di integrarvi con lo Stato e la società: tutti i gruppi devono deporre le armi e il PKK deve sciogliersi”.
La frase che i diplomatici europei dovrebbero aggiungere è soltanto questa: “noi aiuteremo chi governa a non fare come il loro predecessore, Assad, ma ad aprire davvero le porte del palazzo alla società tutta.” Se non fa questo la Siria, in un modo o nell’altro, andrà male. Pensare ancora all’alleanza delle minoranze è una sventura, come governare con la sola forza, come Assad.
Mi dispiace, speravo che la situazione dopo il crollo di Assad potesse migliorare..