“Dieci rivoluzioni”: raccontare il cambiamento

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Di solito quando esce un nuovo libro si pubblica un estratto, o si chiede una recensione a qualche amico che si prodigherà in entusiasmi a comando.

Su Appunti ho cercato di proporre un metodo diverso: chiedo agli autori di raccontare come e perché hanno scritto proprio quel libro, visto che dedicare alcuni mesi – o anni – della propria vita a un singolo progetto è, prima di tutto, una scelta che racconta qualcosa dell’autore.

Oggi tocca a me farlo, perché è appena uscito il mio nuovo libro per UTET, che si chiama Dieci rivoluzioni nell’economia globale (che in Italia ci stiamo perdendo). È un libro che in dieci capitoli parla di molti argomenti – dall’intelligenza artificiale all’aumento del debito a livello globale al futuro delle auto elettriche allo smart working – e non avrebbe molto senso farne dei riassuntini qui.

Credo sia più interessante raccontare quello che è successo intorno al libro, che esiste perché il giorno in cui si è diffusa la notizia della mia uscita dal quotidiano Domani, il mio editor di UTET Mattia De Bernardis mi ha scritto un messaggio: «Per dimostrarti il mio appoggio, scrivo oggi stesso alla tua agente per un nuovo contratto».

Così, a scatola chiusa, non avevamo un titolo, un tema, niente, il mio saggio Inflazione era appena uscito, sempre per UTET, da pochi giorni ed era presto per dire se sarebbe andato bene.

Il giorno dopo

In quei giorni complicati alcune persone – vicine e lontane – mi hanno offerto un supporto che non mi sarei aspettato. Il sostegno per il quale sono più grato è quello ricevuto da chi, come Mattia, mi ha prospettato nuovi inizi, in una fase che rappresentava invece la fine di un percorso importante.

Tra gli amici vecchi e nuovi di quelle strane ore ci tengo a ricordare anche Alessandro Calascibetta, direttore di Style del Corriere della Sera: non ci conoscevamo di persona, io non mi sono mai occupato di moda in vita mia, ma mi ha chiamato e mi ha proposto di scrivere un pezzo. È stato il primo.

Poche cose fanno bene a un giornalista senza giornale quanto avere di nuovo una misura, una scadenza, un tema.

Tornando al libro: fin da quel primo messaggio di Mattia, il progetto ha assunto un valore simbolico, di transizione, di nuovo inizio, che di solito i libri non hanno.

Nell’anno che separa la fine della mia direzione, l’offerta del contratto e l’uscita del libro, Dieci rivoluzioni (ben prima di chiamarsi così) è diventato una specie di taccuino di viaggio in una nuova vita, non solo professionale.

Dopo tre anni dedicati soprattutto a coordinare il lavoro di altri, sono tornato a programmare quasi soltanto la mia di giornata, a stabilire le mie priorità professionali invece che quelle di altri, a ragionare sul mio modello di business individuale invece che su quello della testata della quale ero responsabile. E quando devi gestire soltanto te stesso, la risorsa scarsa da allocare con cura è il tempo.

Dopo una brevissima fase di incertezza e senso di vuoto, quel tempo ritrovato l’ho impiegato in modi un po’ diversi da prima: alcuni progetti personali, come Appunti e La Confessione, e altre opportunità professionali scelte soprattutto perché interessanti, visto che dopo aver raggiunto l’apice della gerarchia giornalistica (alla direzione di quotidiano), dovevo ricominciare da zero e non aveva molto senso fare ragionamenti strategici di carriera.

Ho iniziato così a collaborare con l’Institute for European Policymaking della Bocconi (IEP@BU), un nuovo think tank fondato da Mario Monti e diretto da Daniel Gros, che mi ha dato la possibilità di riprendere quel filo intellettuale di rapporto con il mondo accademico che avevo dovuto a malincuore recidere quando avevo lasciato Luigi Zingales e l’Università di Chicago per tornare in Italia a dirigere Domani.

Da non accademico tra gli accademici, mi trovo sempre a contatto con idee interessanti, prospettive diverse, saperi specialistici frutto di anni di studio di cui ho la fortuna di vedere i risultati di ricerca. Quella accademica è una prospettiva di lungo periodo molto complementare a quella dei giornalisti, sempre centrata sul presente.

In parallelo allo IEP@BU ho ricostruito una nuova vita anche giornalistica: prima di tutto Appunti, per sviluppare l’idea che ho maturato negli ultimi anni che il dibattito delle idee e il giornalismo in generale non è più verticale (io che spiego una cosa a voi) ma orizzontale (io al centro di una rete di idee, competenze, storie), e poi varie collaborazioni ormai regolari. Internazionale, Vanity Fair, Milano Finanza, e Radio3, con Le parole dell’economia.

Ogni settimana una parola da spiegare, per un quarto d’ora, una trasmissione-podcast della domenica, da ascoltare mentre bolle l’acqua della pasta (o il brodo dei tortellini, per stare alle mie coordinate modenesi). Oppure in differita quando si vuole.

Questo nuovo assetto professionale mi ha spinto a uscire dalla bolla nella quale si consuma il commento all’attualità quotidiana in Italia, che è – in estrema sintesi – analisi della giornata politica.

Anche le crisi internazionali vengono piegate in questa chiave (la guerra in Ucraina è rilevante soprattutto perché incide sulle candidature del PD alle elezioni europee, la tragedia di Gaza è lo sfondo delle manifestazioni degli studenti e alle polemiche negli atenei e così via).

Quello della reductio ad unum – nel senso di ricondurre qualunque argomento a una discussione sul governo in carica – è un gioco al quale so giocare e ho giocato, su carta e in televisione, ma adesso che sono più libero, preferisco fare altro.

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E così è nato Dieci rivoluzioni, che è una specie di taccuino – visto il contesto sarebbe più corretto dire che è una raccolta di appunti – su quello che ci succede intorno mentre discutiamo di Giorgia Meloni e del generale Vannacci.

Su ognuno dei temi toccati dal libro – dalla fine della crescita cinese alle tasse europee sulle emissioni – ci sono intere biblioteche, ore e ore di webinar su YouTube, decine di convegni, ma si tratta quasi sempre di discussioni specialistiche, tra esperti del campo.

Proprio perché sono argomenti complessi, che richiedono molte coordinate prima di potersi fare un’opinione, ho pensato che fosse utile fare un libro che permettesse anche a chi specialista non è di avere qualche elemento per capire i grandi cambiamenti che ci circondano, senza doversi leggere libri, paper o ascoltare mille podcast su ognuna delle rivoluzioni raccontate.

Spero così di rispondere anche a un lettore di Appunti che mi scrive ogni tanto piuttosto seccato perché non mi occupo abbastanza di politica italiana. Potrei scrivere un editoriale su Salvini, Meloni o Elly Schlein ogni giorno, perfino a occhi chiusi, ma sarebbe davvero un modo appagante di impiegare il mio tempo che non è più scandito dai ritmi rigidi e ossessivi del giornale quotidiano?

Allungare l’orizzonte

Nell’anno che è passato da quel primo messaggio di Mattia De Bernardis e l’uscita del libro, Dieci rivoluzioni ha poi assunto anche un’altra rilevanza, più personale che professionale.

Ho iniziato a lavorare un libro che condensasse le cose di cui ritenevo interessante occuparmi come giornalista, cioè come osservatore distaccato, e invece mi sono trovato a scrivere un libro che raccontava il mondo nel quale si preparava a entrare una bimba, Linda, che è stata l’undicesima rivoluzione di questo anno pieno di cambiamenti.

Non scrivo mai di me – e in questo sono antistorico, me ne rendo conto – e non credo di aver mai postato sui social neppure una foto delle vacanze. Ma l’arrivo di una figlia ha un impatto anche sul modo di fare il giornalista. Allunga l’orizzonte di interesse: pensavo che l’impatto rilevante delle rivoluzioni raccontate fosse quello che si dispiegherà nei prossimi tre-cinque anni. All’improvviso mi sono trovato più interessato (e preoccupato) di quello a venti-trent’anni. O a cinquanta.

Sarà Linda a entrare in un mercato del lavoro dominato dall’intelligenza artificiale, a comprare prodotti con emissioni tassate dall’Unione Europea, a prendere la patente con un’auto elettrica.

Ho finito le prime bozze del libro giusto in tempo per potermi concentrare sul suo arrivo, con la consapevolezza che il mondo in tumulto nel quale si affacciava urlante era certo angoscioso, stravolto dalla guerra, pieno di minacce.

Ma come spero si capisca dal libro, è anche un posto incredibilmente interessante, in una fase di grande cambiamento, di suprema incertezza, dove finalmente (o purtroppo) si torna a discutere di cose molto serie dopo anni nei quali l’unica priorità – individuale e collettiva – sembrava essere l’aumento dei consumi.

Poiché non riuscirò a fare molte presentazioni in giro per l’Italia – l’undicesima rivoluzione di cui sopra richiede le mie attenzioni a Roma – sto pensando di organizzare una serie di chiacchierate digitali con la comunità di Appunti, per parlare con altri autori e autrici di libri su questi temi, ho anche il titolo: Rivoluzioni in corso. Ora devo solo trovare il tempo per organizzarle.

Intanto voi, se credete, potete leggere il libro.

  • Dal Substack Appunti, 3 aprile 2024

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