Sul difficile essere preti /1

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Si può dissentire o essere critici nei confronti di quanto don Giampaolo Ferri ha scritto su SettimanaNews (qui), anzi forse lo si deve. Non si può nascondere però che quelle brevi righe esprimono un malessere diffuso, un disagio del ministero ordinato nel contesto contemporaneo. Ora, questo disagio può avere ragioni più o meno debite sulle quali è opportuno discutere – coi preti e diaconi in primo luogo. Rimane comunque il fatto che, sul lato soggettivo del ministero, emerga tale malessere dell’essere prete oggi.

Non andrebbe né semplicemente biasimato, né trascurato – perché, per quanto questo possa sembrare paradossale, la vicenda biografica del prete va comunque oltre la sua persona e la sua storia. Ha ricadute sulla vita delle comunità cristiane e sulla Chiesa italiana. Andrebbe, quindi, affrontato (anche empiricamente) e compreso.

L’invocazione a rivedere la teologia del ministero ordinato non è senza ragioni, sorprende però che nulla venga detto sulla spiritualità del prete – ossia, sul modo di vivere nella propria storia un ministero le cui coordinate fondamentali sono in fin dei conti impersonali – appunto, quelle di un mandato a favore della fede della comunità cristiana, delle storie che la abitano, e della sensibilità per la circolazione della Parola nella vita degli uomini e delle donne del nostro tempo.

Ma come si apprende la personalizzazione di un’astrazione (e le cosiddette realtà oggettive del ministero ordinato, dell’essere prete, lo sono)? Solo mediante l’esperienza, l’esercizio del ministero stesso: vivendo-con chi in questo cammino di apprendimento lo ha vissuto (presbiterio) e chi lo ha già accompagnato (comunità cristiana). Mentre invece l’enfasi, in particolare negli anni di formazione, viene posta, da un lato, sulla dimensione privata (vocazione) e, dall’altro, su una puramente cognitiva e di osservanza esteriore.

Manca poi una conoscenza effettiva delle comunità cristiane da parte di chi governa una Chiesa locale – a cui si accosta un’assenza di progetto per i preti e i diaconi che in essa svolgono il loro ministero. Questo porta a una uniformazione appiattita dei vissuti comunitari: tutto deve essere uguale ovunque. Ogni caratterizzazione specifica viene vista come una minaccia, piuttosto che come risorsa per tutta la Chiesa diocesana. Questo appiattimento del cristianesimo, che lo rende comodo da governare, non fa altro che immiserirlo – generando spesso sconforto proprio tra coloro che alla comunità e al vissuto della fede più ci tengono.

In questo, i preti dovrebbero imparare a guardare ai laici: alla resistenza della loro fede, sovente nonostante il ministero ordinato, davanti alla debole resilienza di cui quest’ultimo sembra essere talvolta capace.

Stando a contatto con la vita della gente si impara a ridimensionare molte delle proprie insoddisfazioni personali – a meno che non si sia patologicamente o istituzionalmente narcisisti.

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5 Commenti

  1. Michele Sebregondio 15 agosto 2023
  2. Mauro La Spisa 10 agosto 2023
  3. Tiziana 10 agosto 2023
  4. Fabio Cittadini 10 agosto 2023
  5. P. Davide Traina op 9 agosto 2023

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