Il papa di tanti altri

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preghiera

La Porota è una delle tante figure che popolano la recente autobiografia di papa Francesco. E’ una ex prostituta che viveva nel quartiere dove abitavano i Bergoglio quando lui era un ragazzino. Saputo che Jorge Mario è diventato vescovo ausiliare, lo cerca telefonicamente, lo rintraccia e lo va a trovare. Vuole solo raccontargli di lei, e di sua sorella, un’altra ex prostituta, da tutti chiamata la Ciche.

Lei, la Porota, si qualifica nel racconto come donna energica, dai modi spicci, come il linguaggio. Si è innamorata di un uomo più anziano e quando è morto ha deciso che, dopo aver fatto tutto con il suo corpo, ora vuole occuparsi dei corpi che non interessano a nessuno.

La Ciche anche ha cambiato vita, ma passa il tempo a pregare in chiesa: «È diventata una succhia candele. Diglielo anche tu che deve muovere il sedere e fare qualcosa per gli altri».

Commenta il papa prima di proseguire il racconto della storia della Porota, alla quale dice che ha voluto bene: «Aveva un linguaggio pittoresco e immaginifico, quattro imprecazioni ogni cinque parole. Ed era malata».

I tanti personaggi che popolano la sua autobiografia, Spera, mi hanno indotto a ritenere che uno spettro si aggiri in alcuni ambienti. Si tratterebbe dello spettro delle non dimissioni di Jorge Mario Bergoglio, che sembra leggermente migliorare. Nelle dimissioni qualcuno potrebbe confidarci.

È solo un’ impressione e che potrebbe derivare da tante motivazioni, forse non ultima che lui – che quando fu eletto al soglio pontificio e gli dissero di indossare i calzoni bianchi rispose «non ho mai desiderato di fare il gelataio» – è un po’ anche «il papa di tanti altri».

L’espressione è ambigua, ovviamente è quello che sappiamo, Vescovo di Roma e Sommo Pontefice della Chiesa universale, per farla breve. Nessun elenco di questi «altri» può essere esaustivo o «quello giusto», ma si può provare a stenderlo questo elenco, tentando di essere accurati.

Gli allontanati

I primi «altri», almeno muovendo dal suo approccio, sono gli altri cristiani, quelli delle altre Chiese, ai quali dalla prima sera del suo pontificato ha detto «io sono il vescovo di Roma»: si è presentato così, subito, da quella sera.

Dunque altri cristiani che riconoscono che la diversità dei carismi è una ricchezza, non un’offesa né per loro né per chi accettandolo si pensi non il capo dell’unica Chiesa, ma il primo tra pari, possono considerarlo «il loro papa», quello che riterrà anche loro, un arricchimento.

Procedendo così non possiamo che passare ai cattolici che in vario modo si sono allontanati, o sono stati allontanati, o tali si sono sentiti. Sentiranno anche loro Francesco come «il loro papa»? Alcuni riterranno che abbia fatto poco, altri no.

Tra i primi di costoro dobbiamo considerare i divorziati risposati. Pensano che abbia fatto poco per loro? Alcuni sì. Ma ricorderanno anche loro che ai tempi del combattutissimo sinodo sulla famiglia uscì la voce del papa afflitto da un tumore al cervello, per qualcuno era un modo per insinuare che il papa fosse pazzo. Comunque era una fandonia, ma «interessante».

Ritengo che i cattolici divorziati e risposati, come gli altri, non l’abbiano fatto per il gusto di cambiare, ma perché dopo una sconfitta hanno sperato di poter tornare ad essere amati.

A loro, anche prima di Francesco, erano aperte le porte dell’eucaristia ma solo se vivevano castamente la loro unione. Agli esterni appare una strana delimitazione, anche agli «interni», credo.

Francesco nei fatti ha solo aggiunto che anche in questo caso si può fallire, e a questo fallimento la Chiesa può guardare con sguardo misericordioso e ai suoi preti da lui chiamati a decidere se dare la comunione ha ricordato che l’eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli».

Per alcuni divorziati non per torto ma per colpa altrui è stato di conforto, e a differenza dello sguardo arcigno di quelli che chiamiamo rigoristi, e che forse faremmo bene, mediando il linguaggio europeo, a chiamare «i vescovi frugali», almeno frugali di misericordia, avranno percepito un discorso più aperto.

I ribelli

Questo ci introduce a un altro discorso, che alcuni hanno chiamato dei cattolici che vivono uno «scisma silenzioso», o una progressiva astensione dai riti: tempo addietro sono stati definiti cattolici normali e anche uomini e donne normali, che come gli altri usano la pillola, o che in giovane età praticano il sesso prematrimoniale.

Sono due discorsi poco affrontati, ma che portano ad una categoria più ampia, quella che ormai considera la Chiesa troppa Magistra, e molto poco Mater. Una madre non rinuncia a educare i propri figli, ma non li allontana per un diverbio, forse un dissidio, dalla casa familiare.

Francesco non ricordo si sia rivolto a questi gruppi e sottogruppi in modo specifico, ma al Parque Eduardo VII di Lisbona, in occasione della cerimonia di accoglienza con la quale è entrata nel vivo la Giornata Mondiale della Gioventù del 2023, stando alla sintesi dell’Osservatore Romano, ha detto che la Chiesa «non è «la comunità dei migliori» ma «la Madre di tutti»: un approdo fraterno e accogliente per ciascuno, dove vige la logica delle «braccia aperte» e non del «dito puntato», perché tutti — giovani e vecchi, sani e malati, giusti e peccatori — sono importanti e nessuno è «inutile» o «superfluo». In una parola, è un modo «misericordioso».

Lo sentiranno anche loro come «il loro papa»? Forse, soprattutto quelli a cui ancora interessa, perché così parlando ci stiamo avvicinando ai cuori di quei cattolici che non sanno più di esserlo; la loro condizione è il prodotto di tante cose, anche di una Chiesa ancora certa di essere la societas perfecta, che tutto norma e definisce parlando solo con sé stessa: se Dio è il monarca dell’umana società anche la Chiesa e lo Stato devono esserlo; una Chiesa quindi «clericale», che come nella vecchia liturgia indica l’unica strada che porta a Dio, che veniva dal clero celebrante, vera ala marciante, qui non del proletariato ma del «popolo di Dio», che nulla sa, ma segue.

Ma se Jorge Mario Bergoglio critica sempre il clericalismo allora può essere in qualche modo che sia sentito in questi ambienti come «il papa che ci guarda» da chi si è ribellato decenni fa a quello che ancora si chiamava «clerico fascismo»; poi in vari modi si sono ritrovati nella società che da quella ribellione è emersa; non certo bella, liquida, ma non silente sul patriarcato, sulla donna umile ancella, sugli omosessuali malati; i pilastri di una visione senza storia.

Se così è, o fosse, allora Jorge Mario Bergoglio può essere immaginato come «il papa che può riguardarmi» anche da chi ha finito con lo smarrire la fede, e vive sconsolato, sebbene in qualche modo la desidererebbe questa consolazione.

I secolarizzati

Ci sono anche altri pezzi di società che a modo loro gli riconoscono qualcosa di «papale». Sono quei secolarizzati che ormai si sono dimenticati della Chiesa dalle eccessive rigidità dogmatiche e forse hanno difficoltà ad ammettere che vorrebbero farsi incantare di nuovo.

In questo modo anche chi non si definisce, non sa di appartenere a una «casella» sociale, nuota in questo pozzo liquido ancor più complesso, disarticolato, immerso ormai in una solitudine che dopo aver rivendicato comincia a sentire eccessiva, quasi consapevole che un io troppo sovrano è anche orfano; ma non ci pensa, lo percepisce dentro di sé ma non se lo dice espressamente e all’improvviso, ogni tanto, scopre di aver trovato in «questo papa» una voce interessante, che lo riguarderebbe, anche se non sempre.

Nuota in un pozzo liquido di gocce disomogenee e scorge un amico da ascoltare, almeno nei momenti più bui o più importanti, o ascoltando casualmente una parola; misericordia.

I non credenti

Misericordia è una delle parole-chiave del pontificato e certo non interessa soltanto i credenti. Rispetto alla fede il mondo si articola tra chi crede, che Dio esista o che non esista, e chi rifiuta di credere in un senso o nell’altro, e si limita a definirsi dicendo che non sa.

Anche qui si può scorgere in Bergoglio «il nostro papa», quello che non possono avere: non sono addentro alle cose della Chiesa, non è la loro casa, ma desiderano un confronto con Dio non escludendolo dal loro orizzonte, come un oltre che li riguarda: questo segmento di società a volte si interroga e può ritenere che la strada non sia definita da qualcuno, ma che esistano i punti cardinali.

Non è «contrapposto» a chi crede, sente la voce della sua coscienza, e quella esiste anche per gli atei: la divisione manichea tra cattolici e laici Bergoglio l’ha respinta nel suo recente discorso di Ajaccio, poche settimane fa.

È stata una liberazione per chi si richiama all’umanesimo di certo agnosticismo, come di certo ateismo:

«I credenti si aprono con sempre maggiore serenità alla possibilità di vivere la propria fede senza imporla, viverla come lievito nella pasta del mondo e degli ambienti in cui si trovano; e i non credenti o quanti si sono allontanati dalla pratica religiosa non sono estranei alla ricerca della verità, della giustizia e della solidarietà, e spesso, pur non appartenendo ad alcuna religione, portano nel cuore una sete più grande, una domanda di senso che li conduce a interrogare il mistero della vita e a cercare valori fondamentali per il bene comune».

È strano che tanta stampa «laica» lo abbia tralasciato, quasi che le aperture vadano ignorate, è più rassicurante.

I musulmani

Andiamo in altri ambiti, tra altri «altri»: si vede da anni che molti musulmani lo sentono come «il loro papa». È emerso perché il vero equivoco che ha allontanato cristianesimo e mondo islamico è stato un equivoco arabo-europeo.

All’inizio del Novecento l’Europa ha colonizzato il mondo arabo e quel mondo ha risposto con due pensieri che partendo dalla stessa urgenza anti colonialista hanno offerto due risposte opposte: i panarabisti ponendo l’urgenza di opporsi all’Europa combattendo per creare la nazione araba, i panislamisti ponendo l’urgenza di opporsi alla colonizzazione culturale creando Stati islamici, tramite il varo di leggi coraniche.

Lo Stato laico era per loro il veleno colonialista che li avrebbe uccisi. Ne è uscito un equivoco che ne ha prodotti molti altri, sulla fede e sulla laicità, risoltosi nella costruzione di dittature militari per i primi, religiose per i secondi. Ma colonialista era l’Europa, non il cristianesimo, che poi è stato percepito come il maestro che rimproverava l’alunno perché non sapeva fare i compiti a casa.

Il primo papa contemporaneo non europeo, ma del Global South, ha saputo avvicinarsi a questo islam prodotto da un mondo arabo arretrato, nonostante il suo passato glorioso, che si è coperto con un islam privato di calore, che lo assorbiva tutto per nascondere i suoi brividi interiori.

Francesco, che da buon latino americano conosce bene l’anelito alla Patria Grande, ha saputo capire anche l’anelito arabo alla Patria Grande e aiutare quel mondo a scoprire come quelle due ideologie fallite, panislamismo e panarabismo, avessero ammalato fede e patria. Forse la dimestichezza con la psicologia, e la stessa psicanalisi, lo hanno aiutato in questo. Forse non solo questo, anche la fede, certamente.

Il papa altrui

Detto questo, provo a dire qualcosa su cosa io veda alla base di questo «papa altrui». Credo lo abbia consentito un mix potente: figlio del Concilio e non padre conciliare, gesuita, convinto del ruolo centrale dello Spirito Santo, e (last but least) prete, ma entrato tardi in seminario.

Delle novità conciliari si parla da decenni. Prima del Concilio la libertà religiosa era «anatema», poi è diventata un pilastro della Chiesa. Una giravolta che ricorda quella degli altari: prima messi in modo che il celebrante desse le spalle ai fedeli, estranei al suo celebrare, poi girati verso di loro, creando una comune mensa eucaristica, intorno alla quale tutti concelebrano. Nostra Aetate, Gaudium et Spes, sono solo i titoli più noti emersi dal Concilio.

Vorrei solo ricordare le prime parole di Gaudium et Spes, che mi sembrano una sintesi di questo pontificato: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».

Davvero chi ha tentato di cogliere in contraddizione dottrinale Francesco sui divorziati risposati sente così?

Un cambiamento come quello del Concilio non era facile da «digerire». Sono serviti decenni per interpretare il Concilio, poi Francesco, non più padre conciliare, ma figlio del Concilio, ha detto che era giunto il tempo di attuarlo. Questo ha acuito attriti, ma anche aperto porte che prima nessuno riusciva a vedere.

Liquidato così il valore di un evento epocale che richiederebbe volumi, magari di studiosi a differenza di me, arriva l’altro tratto fondamentale, altrettanto noto: l’essere un gesuita.

Argomento delicato, da dotti veri: anche i gesuiti non sono tutti uguali, ma tutti convengono nel dire che è difficile trovare tra loro un sempliciotto.

Francesco però è così poco semplice da essere riuscito a comunicare in modo semplice un pensiero complesso, profondo. Bastano le sue prime parole da «papa» (o, meglio, da vescovo di Roma): «Cari fratelli e sorelle, buonasera». Sono state queste le sue prime parole dopo l’elezione. Un altro mondo, un altro modo di comunicare, un altro modo di essere e di rapportarsi.

Chi pensa che la Chiesa possa tornare quella di prima, rifletta sulla forza di questo «buonasera». Ma per continuare ad essere questa deve fare i conti con un’altra frase, più complessa: «Questo per la Chiesa è il tempo del discernimento». E cioè?

L’ho chiesto proprio così a un suo confratello, argentino anche lui, suo amico da tantissimi anni, padre Diego Fares. Mi ha risposto così: «Non è difficile capire cosa sia il discernimento. Prima di fare una cosa ne parlo con Dio. Se gli piace la faccio, se non gli piace non la faccio».

Siccome ho i riflessi lenti, non ho avuto la prontezza di rispondergli «e tu non lo sai già prima di fare una cosa se gli piace o no? State sempre a parlare del catechismo, di quello che è ammesso e vietato, quello che è proibito, peccato mortale, peccato veniale. A che serve il discernimento?».

Non ho la risposta perché questa domanda non l’ho saputa fare e purtroppo quella persona straordinaria non c’è più. Ma c’è un’indicazione importante, che Francesco ha dato quando ha incontrato a Caserta un suo amico, un pastore pentecostale. E cosa ha detto quel giorno?

«Io non capisco un cristiano fermo! Un cristiano che non cammina, io non lo capisco! Il cristiano deve camminare! Ci sono cristiani che camminano, ma non alla presenza di Gesù: bisogna pregare per questi fratelli. Anche per noi, quando in certi momenti camminiamo non alla presenza di Gesù, perché anche noi siamo tutti peccatori, tutti! Se qualcuno non è peccatore, alzi la mano…

Camminare alla presenza di Gesù. Cristiani fermi: questo fa male, perché ciò che è fermo, che non cammina, si corrompe. Come l’acqua ferma, che è la prima acqua a corrompersi, l’acqua che non scorre…

Ci sono cristiani che confondono il camminare col “girare”. Non sono “camminanti”, sono erranti e girano qua e là nella vita. Sono nel labirinto, e lì vagano, vagano… Manca loro la parresia, l’audacia di andare avanti; manca loro la speranza. I cristiani senza speranza girano nella vita; non sono capaci di andare avanti. Siamo sicuri soltanto quando camminiamo alla presenza del Signore Gesù. Lui ci illumina, Lui ci dà il suo Spirito per camminare bene».

Ecco, lo Spirito… quello che ci consente di camminare, nella Storia.

Nella Storia

Deve esistere un rapporto anche tra idea e realtà, e scrive in Evangelii Gaudium:

«Esiste anche una tensione bipolare tra l’idea e la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora. Tra le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà. È pericoloso vivere nel regno della sola parola, dell’immagine, del sofisma. Da qui si desume che occorre postulare un terzo principio: la realtà è superiore all’idea. Questo implica di evitare diverse forme di occultamento della realtà: i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza».

Per questo non capisce i cristiani che non camminano, e per questo lo Spirito Santo è decisivo: siamo nella storia, non fuori. I tempi cambiano e chi è fedele al Vangelo deve saper cambiare interpretando i segni dei tempi.

Tutto questo in un altro discorso lo ha detto in modo più accessibile indicando le sue tre “i”: incompletezza del pensiero, inquietudine, immaginazione.

Chi non sa immaginare la sofferenza dell’atro non lo capirà, e così non saprà trovare la pace che solo l’inquietudine dà, e che ci arriva se rinunciamo all’illusione di avere un pensiero completo, che come tutti i pensieri completi sarà rigido, come la carne umana diviene solo dopo la morte.

Questo paradigma aiuta a comprendere come si possano vedere i grigi, dato che se non impareremo a farlo, lentamente, diventeremo ciechi. Soltanto la consapevolezza dell’incompletezza del nostro pensiero può aiutarci a vederli anche in noi stessi, visto che tutti avvertiamo il desiderio (e il bisogno) della vita come fluire e della vita come stabilità; soltanto l’inquietudine può aiutarci a rimanere fratelli e soltanto l’immaginazione può portarci oltre i nostri confini.

Ritengo che la sua vita abbia reso possibile tutto questo, perché la sua vita lo ha portato prima nel mondo del lavoro, in tanti lavori, dove ha conosciuto anche i non credenti, ha imparato a capire come ragionano questi esseri umani, diversi, solo dopo è entrato in seminario: dunque non conosce solo un pensiero, un modo di essere e di capire il mondo, conosce anche gli altri, è stato in rapporto con gli altri e conoscendoli ha capito le loro dinamiche umane: dinamiche di un mondo non estraneo, oscuro, pericoloso, nemico.

Leggendo la sua autobiografia, piena di esseri umani che ha conosciuto camminando, mi sono convinto che Bergoglio sia diventato l’uomo che è soprattutto per quegli anni vissuti prima di entrare in seminario. E questo – a tanti a loro agio solo al chiuso – può far paura.

  • Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 3 marzo 2025

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Un commento

  1. Maria Laura Innocenti 13 marzo 2025

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