Affrontare il tema delle persone LGBT+ non significa solo confrontarsi con una realtà pastorale emergente, ma anche ripensare le modalità di essere Chiesa in un mondo sempre più policentrico e complesso. È questo il messaggio emerso nella giornata di studio “Spiritualità dalle frontiere. Accompagnare persone LGBT+” promossa dalla Facoltà teologica del Triveneto.
La Facoltà teologica del Triveneto ha promosso una significativa giornata di studio intitolata Spiritualità dalle frontiere. Accompagnare persone LGBT+ (Padova, 10 dicembre 2024). Inserito nel ciclo accademico di licenza, l’evento ha rappresentato un’opportunità di riflessione e di dialogo su temi cruciali per la teologia pastorale, nonché per l’accompagnamento ecclesiale.
Il confronto ha messo al centro la dimensione spirituale come chiave interpretativa per comprendere le complessità delle identità e delle relazioni, stimolando una rilettura della marginalità come spazio di grazia e crescita per l’intera comunità ecclesiale.
Rileggere la realtà dalle periferie
L’apertura della giornata è stata affidata a padre Antonio Bertazzo, docente della Facoltà e vicedirettore del ciclo di licenza, che ha situato l’intero discorso in un contesto metodologico ispirato alla Evangelii gaudium di papa Francesco. Citando l’invito a “uscire dal centro”, Bertazzo ha evidenziato come le grandi trasformazioni sociali ed ecclesiali siano spesso originate dalle periferie, luoghi che consentono una visione d’insieme più autentica e meno condizionata da prospettive dominanti.
Le periferie, secondo questa lettura, non sono solo spazi di esclusione ma autentici laboratori di analisi e di costruzione di un modello pastorale policentrico.
Tale approccio, radicato nel Vangelo, ribalta l’interpretazione della realtà vista dall’alto per adottare una prospettiva dai margini, che include i poveri e quanti vivono situazioni di marginalità, offrendo loro un ruolo attivo nella costruzione del bene comune.
Le periferie come luoghi di incontro e sfida
Tra i relatori, Giampaolo Dianin, vescovo di Chioggia e teologo, ha affrontato il tema della spiritualità e dell’identità delle persone LGBT+ con un approccio teologico e pastorale.
Partendo dall’esperienza di esclusione storicamente vissuta da queste persone, Dianin ha sottolineato la necessità di una Chiesa capace di accogliere, accompagnare e discernere, come indicato nel capitolo VIII di Amoris laetitia.
La sua analisi ha messo in luce il “travaglio” della comunità ecclesiale, che vive tensioni tra il desiderio di inclusione e l’esigenza di fedeltà alla dottrina. Questo travaglio – ha affermato – è anche un segno di speranza e preparazione per una nuova stagione di dialogo e di rinnovamento.
Significativo è stato il suo riferimento alla giustizia come principio fondamentale: essa non è semplice carità ove chi ha di più concede a chi ha meno, ma riconoscimento di diritto della dignità intrinseca a ogni persona.
In questo contesto, Dianin ha richiamato l’importanza di rivedere alcuni paradigmi interpretativi legati alla distinzione tra inclinazione e comportamento, evidenziandone le problematicità soprattutto in ambito sessuale, dove corpo e identità sono profondamente intrecciati.
La spiritualità dalle frontiere come paradigma pastorale
Padre Pino Piva, gesuita, ha approfondito il concetto di “spiritualità dalle frontiere”, identificando nella diversità e nell’alterità i luoghi privilegiati della presenza dello Spirito.
La frontiera – ha spiegato – non è un confine che separa, ma uno spazio relazionale che invita a volgere lo sguardo oltre, riconoscendo nell’altro una risorsa e non una minaccia. Questo approccio pastorale, fondato sulla relazione virtuosa con l’alterità, trova ispirazione nella narrazione evangelica e nel ministero stesso di Gesù, che ha costantemente attraversato le periferie fisiche ed esistenziali del suo tempo.
Piva ha inoltre affrontato la necessità di una formazione specifica per chi opera nell’accompagnamento pastorale delle persone LGBT+, includendo una conoscenza accurata delle dimensioni psicologiche, sociologiche e teologiche legate all’identità di genere e all’orientamento sessuale. Ha insistito sulla centralità dell’esperienza personale di misericordia come premessa per un cammino di integrazione autentica, in cui la spiritualità diventa il motore di una crescita umana e cristiana.
La marginalità come luogo teologico
Padre Stefano Bellotti, della Comunità Missionaria di Villaregia, ha offerto una riflessione sistematica sulla marginalità, interpretandola come una condizione universale che riguarda ogni essere umano. Riprendendo le intuizioni di Paolo Freire e di Bell Hooks, Bellotti ha descritto il margine come spazio dinamico, capace di generare resistenza, identità e senso critico.
Lungi dall’essere una realtà da “integrare” nel centro, la marginalità è un luogo teologico, uno spazio di eccedenza in cui la Chiesa può riscoprire la propria vocazione a essere poliedrica e multiperiferica. La marginalità altrui – ha sottolineato Bellotti – rimanda a quella propria, chiamando ciascuno a riconoscere la propria condizione di alterità e di dipendenza.
Questo approccio invita a superare ogni polarizzazione e dualismo, per abbracciare una visione integrale della spiritualità cristiana, capace di accogliere il limite come luogo di incontro con Dio.
Una Chiesa in dialogo: prospettive future
Il dibattito che ha seguito le relazioni ha evidenziato la complessità e l’urgenza di un rinnovamento pastorale.
Mons. Dianin ha ricordato che il Vangelo è sempre incarnato nella storicità, richiamando l’esempio della lunga maturazione ecclesiale sul tema della schiavitù. Allo stesso modo, ha sottolineato la necessità di un cammino paziente e coraggioso per affrontare le sfide poste dalle realtà affettive e sessuali, senza rinunciare alla centralità dell’annuncio cristiano.
Padre Piva ha concluso richiamando l’attenzione sul contributo delle comunità cristiane non occidentali, che potrebbero offrire prospettive originali su questi temi grazie alla loro esperienza storica e culturale.
La giornata di studio si è rivelata un momento di intensa riflessione, che ha stimolato domande fondamentali per il cammino della Chiesa. Essa ha mostrato che affrontare il tema delle persone LGBT+ non significa solo confrontarsi con una realtà pastorale emergente, ma anche ripensare le modalità di essere Chiesa in un mondo sempre più policentrico e complesso.
L’impegno della Facoltà teologica del Triveneto nel promuovere un dibattito serio, aperto e rispettoso è apparso evidente, confermandosi nel ruolo di laboratorio di pensiero e luogo di formazione per una Chiesa in uscita, capace di ascoltare le frontiere e di trarne insegnamenti preziosi per il bene di tutti.
La chiesa mena sempre il can per l’aja e spende fiumi di parole per alzare cortine fumogene sulla realta’. Le donne sono state sempre il male, tentatrici dissolute e origine di ogni male e peccato. Al rogo! La chiesa e’ sia progressista (chi sono io per…) sia tradizionale (Dio Patria Famiglia). Nessuno piu’ da’ retta alla chiesa. Fine! La comunita’ Lgbtq+a e’ un movimento che smuove la sociologia, la politica ma non la morale. Perche’? Perche’ non riconoscere che discriminando e ghettizzando non si ottiene granche’ se non esaltare lo sciovinismo becero di sepolcri imbiancati. Detto questo e per non escludere il tradizionalista dal dialogo mi chiedo perche’ non criticare il maschilismo, il paternalismo e il suprematismo bianco di ariana memoria? Una chiesa assuefatta alla pedofilia e che trova alibi per non condannare l’esclusione delle donne dal sacerdozio o il femminicidio pur aprendosi agli omosessuali in modo schifiltoso e aristocratico resta sempre indietro su tutto il resto e quindi si auto esclude da qualsiasi confronto aperto e paritetico. Chiesa a parte oggi il maschio etero e’ il vero problema e non il gay o la lesbica. Sciatto, ignorante, pigro, onanista per vigliaccheria e paura delle donne, tatuato, lugubre, profondamente infelice forse nella “frociaggine” bergogliana trova rifugio e consolazione. Chiusi i bordelli e eliminato il servizio militare da qualche parte dovra’ pure scaricare i suoi veleni ormonali! E quindi meglio il gay pride che un romantico corteggiamento di una leggiadra donzella. Altro che periferie!
L’essere umano ridotto ad un *, una sessualità liquida che si manifesta in decine di perversioni, da cui il + in modo da comprendere tutto e il contrario di tutto
Sempre meglio che ridotti in cenere come qualche tempo fa… Non trova?
Nel giorno del giudizio i sodomiti chiederanno a Dio perché la loro città è stata distrutta? Ne dubito. Più facile che Dio chiederà ai nostri pastori il perché della loro abiura.
Che bello vedere persone che sanno persino cosa chiederà Dio nel giorno del giudizio. Da restare senza parole.
Concordo con Pietro. Esistono ancora contesti discriminanti nella società ma per fortuna le giovani generazioni… escluse alcune sacche di giovani di estrema destra o con bassissima scolarizzazione…sono molto più inclusive. Il problema si pone a livello ecclesiale. Finché non si cambierà la dottrina adeguandola ai nuovi studi scirntifici che non considerano piu l’omosessualità una devianza, l’atteggiamento di larga parte dei credenti non cambiera. Le aperture pastorali pur importanti non bastano più. Vedo invece in molta parte dei pastori un atteggiamento paternalistico e commiseratorio verso le persone LGBT+ che è altrettanto deleterio quanto l’esclusione.
Non so se il concetto di marginalità si addice pienamente alle persone LGBT. Personalmente persino sia più una marginalità ecclesiale la loro che non sociale. Certo i contesti di degrado sono presenti ma la società civile ha fatto molti passi avanti. Il problema è la chiesa.