Oltre la crisi della sinistra

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Con il suo breve ma intenso libro Quale faro per la sinistra. La sinistra italiana fra il XX e il XXI secolo (Guida editori), Danilo Di Matteo supera la retorica diagnostica della crisi della sinistra di casa nostra, per indicare un itinerario memoriale attorno al quale imbastire il progetto di una sinistra altra da quella di cui che disponiamo.

Un libro fatto di nomi (da Veca a Gramsci, da Rosselli a Rippa, dal ’68 a Mani pulite, da Basso a Majno – solo per citarne alcuni) che sono temi, questioni e piste da riprendere calati nell’oggi della nostra società segnata dalla cesura drammatica della pandemia e delle sue conseguenze per il vissuto personale e civile del paese.

Indicando le fratture più profonde, come quella tra politica e vita reale, tra parole e cose, tra politica e cultura, Di Matteo segnala i luoghi, concreti e tragici, a cui un’eventuale sinistra italiana degna di questo nome non si può sottrarre. Proprio iniziando da quel tragico dell’esistenza che chiede di essere assunto anche dall’agire politico. «Le cose, poi, non possono essere eluse: il bambino che perde la vita durante un bombardamento, la famiglia che non riesce a coprire le spese fino a fine mese, il ragazzo che muore di overdose, la donna violentata o assassinata, la moltitudine dei disperati che attraversa i nostri mari sono fatti, corpi, sangue, ferite. Non gioco o finzione, o ritualizzazione. È il tragico» (p. 14).

Questa assunzione politica della drammatica umana si fa ardua davanti a due fenomeni che caratterizzano le nostre società: l’estetizzazione della politica stessa e la spettacolrizzazione dei vissuti nella comunicazione pubblica.

Dinamiche, queste, che la sinistra dovrebbe essere capace di sospendere per recuperare quella prossimità alla vita reale che è stata uno dei marchi di fabbrica più profondi delle tradizioni comuniste e socialiste italiane. È di questi giorni la morte di Heidi Simonis, socialista tedesca e prima donna presidente di un Land, la cui capacità umana e politica di vicinanza e contatto con le vite dei cittadini avrebbe molto da insegnare.

Di Matteo ripercorre gli anni ’90 del paese perché è in questo decennio che si addensano i fattori di crisi della sinistra italiana. Indicando, passo dopo passo, agganci a cui appigliarsi per ripensarne forma e contenuti. Sempre ancorati a quella realtà delle cose così cara a Pasolini: «Una concezione del socialismo – si dice parlando di Rosselli – come concreto sistema economico e sociale, e non come semplice insieme di principi e valori» (p. 17).

Ersilia Majno

Ersilia Majno

Se volessimo trovare, tra le molte convocate, una figura, un percorso di vita politica, capace di fare sintesi dei molti proposti in questo libro, sceglierei quella di Ersilia Majno.

«Non si può ad un tratto tutto distruggere – scrive Majno – né tutto rinnovare. Fra lo stato attuale e la meta ideale sta il possibile, e questo si deve raggiungere» (p. 41). Il possibile come alternativa concreta a quella gabbia di uno stato delle cose che viene dogmaticamente affermato come l’unico possibile – dall’economia al welfare, dalla scuola alla giustizia sociale. L’impegno per le trasformazioni possibili è l’indice di una militanza spesa a favore di una società giusta ed equa.

Di sicuro interesse sono i due capisaldi di questa politica del possibile proposta da Majno: la «redenzione dall’ignoranza» e la «solidarietà civile». Capisaldi che, dall’Italia di inizio del XX secolo, sono transitati nella nostra Costituzione. A ben guardare, infatti, l’impianto di figure-temi proposto da Di Matteo trova la sua condensazione normativa, per tutto il paese e non solo per una forza politica, nei principi fondamentali della Costituzione italiana. Così, accanto all’europeismo suggerito da Biagio de Giovanni nella sua postfazione (p. 49), si pone anche l’idea della ripresa di un vero e proprio costituzionalismo politico come linea guida della sinistra italiana (tra l’altro previsto, anzi ingiunto dalla Costituzione stessa).

«La sinistra, non solo in Italia – scrive de Giovanni –, deve conquistare un nuovo europeismo, un modo nuovo di essere nel processo di integrazione. (…) La sinistra ha davanti a sé un grandioso lavoro di costituzione di una idea politica e sociale di Europa senza la quale non ha futuro, (…) una idea di umanizzazione della storia, di nuovo cosmopolitismo, di una ricerca di una nuova idea di uguaglianza nelle differenze che restano, e che si deve espandere fino ai confini possibili dati dai mondi dei diseredati» (p. 49).

Mai come oggi questo ribilanciamento europeo e costituzionale di una nuova idea di sinistra si è trovata così prossima al cattolicesimo immaginato da un papa – Francesco. Mai come oggi una pragmatica delle alleanze, basata sui vissuti umani, indica la necessità di una nuova declinazione comune tra tradizione della sinistra e ispirazione cattolica dell’agire politico. La palla ora non è in mano ai partiti, o quello che resta di loro, ma a ogni cittadino e cittadina.

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