Don Puglisi, 30 anni dalla morte

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«Conosciamo il sogno solo attraverso il ricordo. Innanzitutto, il sogno è ricordo». Spesso si sogna per rielaborare meglio il ricordo, criticare un falso presente e costruire un diverso futuro.

I sogni della madre-Chiesa nell’attuale stagione

Anche la Chiesa sogna. Il papa ai giovani radunati per la GMG al Parque Tejo di Lisbona, il giorno della Festa della Trasfigurazione del Signore, domenica 6 agosto 2023, ha comunicato ai piccoli il sogno di pace di un vecchio: «Amici, permettete anche a me, ormai vecchio, di condividere con voi giovani un sogno che porto dentro: è il sogno della pace, il sogno di giovani che pregano per la pace, vivono in pace e costruiscono un avvenire di pace».

Proprio come una madre, che vuol far crescere come si deve il figlio giovane, la Chiesa – come fanno anche gli artisti – condivide il sogno di Dio, che apre scenari diversi rispetto a un falso presente.

Il sogno talvolta è un racconto contro, che non significa necessariamente essere contro qualcosa o qualcuno. Il racconto contro è quello del resiliente: proprio perché inerme, svantaggiato, senza potere, a lungo andare può dare fastidio, o apparire pazzo, ovvero paradossale.

Non era forse paradossale il Vangelo che don Pino Puglisi portava sempre in mano, fino all’ultimo giorno, quando i tre sicari gli si pararono davanti fingendo una rapina, mentre il quarto membro del commando gli sparava alla nuca da dietro con un solo colpo di pistola tirato dal basso verso l’alto? Fortissima e reale è la voce quasi silenziosa del “resiliente”.

Luoghi e tempi di formazione

Nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, solo gli esperti di pedagogia parlavano di formazione continua e di formazione permanente, ma anche le famiglie più povere perseguivano il meglio per i propri figli minori.

Il capofamiglia Puglisi era sotto le armi, la famiglia sfollata a Villafrati. Quando si ritorna a Palermo nel 1945, nel quartiere Romagnolo, Pino può partecipare alle attività pastorali e liturgiche della parrocchia di San Giovanni Bosco, frequentare la scuola elementare e secondaria di primo grado, portare a termine con profitto i primi due anni di Istituto magistrale “De Cosmi”, tra il 1951 e il 1953.

Poi chiede e ottiene dal cardinale di Palermo, l’arcivescovo Ernesto Ruffini, di proseguire gli studi e la formazione in Seminario, dove viene ammesso il 10 settembre 1953, raggiungendo tutte le allora previste tappe degli ordini minori, fino all’ordinazione diaconale, celebrata il 19 dicembre1959, e a quella presbiterale, avvenuta il 2 luglio 1960 per l’imposizione delle mani del medesimo card. Ruffini.

I pastori rappresentano il vero volto di un territorio

Dipinto a volte unilateralmente come negatore delle mafie, Ruffini era in realtà un pastore che aveva impresso un forte indirizzo socio-pastorale alla diocesi palermitana e avrebbe voluto sempre difenderne la “sicilianità” da qualsivoglia generalizzazione criminale e banalizzazione.

Nella Lettera pastorale per la domenica delle Palme del 1964, intitolata Il vero volto della Sicilia, il cardinale, ormai in Sicilia da 18 anni, lasciandosi probabilmente guidare più dal suo intento di “difesa” a oltranza della propria gente e, peraltro, condividendo un giudizio diffuso in gran parte delle Autorità civili e politiche del tempo, giungeva a negare che di mafia fosse largamente infetta l’Isola e che i siciliani, in generale, fossero dei mafiosi: «Si rileva per altro, dai fatti che la mafia è sempre stata costituita da una sparuta minoranza».[1]

Il fenomeno mafioso non è solo siciliano, continuava nella sua difesa d’ufficio il cardinale, «ma esiste un po’ ovunque», solo che il Gattopardo di Giuseppe Tomasi duca di Palma e principe di Lampedusa (1958), da un lato, e Danilo Dolci con la sua pubblicistica dall’altro, ne andavano enfatizzando solamente un aspetto, fino a far dimenticare all’opinione pubblica che, in Sicilia, nonostante il senso religioso e la presenza di molti sacerdoti, «regnano estrema povertà e somma trascuratezza da parte dei poteri pubblici» (Ivi, 220).

Insomma, accanto ad una certa sottovalutazione della forza mafiosa, anche una precisa sottolineatura delle carenze economiche e sociali di un territorio abbandonato dai pubblici poteri e, di conseguenza, facilmente “adescabile” dalle sirene mafiose.

Apertamente il cardinale dichiarava di voler porsi tra quanti ricordano le singolari prerogative e prospettive che, evitando indebite generalizzazioni, rendono la Sicilia degna di rispetto: monumenti lasciati da varie civiltà, amor di patria, i personaggi illustri dell’arte, della musica, del teatro, le bellezze naturali, gli apostoli della carità, tra i quali erano significativamente citati Giacomo Cusmano (dottore e padre dei poveri) e Annibale M. Di Francia (apostolo dei miseri).

I tratti di un’identità presbiterale adatta ai tempi

Con l’unico Centro sociale della zona della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi (quartiere Romagnolo), all’epoca utilizzata come “succursale” della parrocchia “SS. Salvatore” don Puglisi, oltre a manifestare la sua passione per il Vangelo, non manca d’interessarsi alle problematiche sociali degli abitanti, affinché l’Amministrazione comunale assicuri tutti i servizi essenziali a coloro i quali vivono nelle case popolari.

Nel settembre 1969, quand’era anche vicerettore del Seminario minore arcivescovile di Palermo, partecipa alla cosiddetta “Crociata del vangelo” nella baraccopoli di Montevago (AG), uno dei paesi del Belice colpiti dal sisma del 1968.

Il Movimento aveva la finalità di affermare il Vangelo come presenza indispensabile e vitale, nonostante tutte le possibili contestazioni, nella storia e nella vita del mondo e, di conseguenza, di rendere presente e attiva la Buona Notizia nelle diverse espressioni della vita ecclesiale e sociale.

Felice la sintonia con la svolta del Vaticano II circa la Parola di Dio (Dei Verbum) e la presenza della Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium et spes).

Nessuna meraviglia, dunque, che Puglisi, nominato – il primo ottobre 1970 (vi rimarrà fino al 31 luglio 1978) – parroco di Godrano (per l’altezza sul livello del mare del piccolo Comune, si autodefinisce scherzosamente «il parroco più altolocato della diocesi di Palermo!»), operi perché la parola evangelica di pace aiuti a superare una sanguinosa faida tra alcune famiglie, fino ad allora dilaniate dalla violenza.

L’interesse persistente per gli ultimi e i disagiati, svolto in nome del Vangelo, che aiuta a prendere coscienza della presenza della Parola vivente e a riconoscerne il valore e l’attualità, spiega anche perché, quando dal 20 settembre 1990 sarà mandato parroco a Brancaccio, nella parrocchia “San Gaetano – Maria SS. del Divino Amore”, comincerà fin da subito ad attuare quanto padre Rivilli aveva già scritto fin dal marzo 1947: «L’irruzione del male non ci scoraggia, ma potenzia la nostra forza e provoca il nostro spirito con più ardore alla lotta… L’uomo lotta nell’insaziata fame di felicità, ma un intuito profondo vi dice che la sua lotta è per Cristo».

Ecco perché fa fiorire il lavoro cenacolare e missionario, ancora in linea, da una parte, con il Movimento “Presenza del Vangelo” (il nuovo nome della Crociata) e, dall’altra, con il Piano pastorale “Evangelizzazione e sacramenti”, che caratterizza la Conferenza episcopale italiana negli anni Settanta del XX secolo.

Quando a Brancaccio arriveranno anche le tre suore della congregazione “Sorelle dei poveri di Santa Caterina da Siena”, don Pino affiderà loro la conduzione del nascente Centro di accoglienza e servizio polivalente “Padre Nostro”, che sarà inaugurato il 29 gennaio 1993 alla presenza del card. Salvatore Pappalardo.

Sognare lo stile di don Pino

Quando leggiamo di lettura meditata e assidua delle sacre Scritture, di fedeltà alla Liturgia delle ore, celebrazione eucaristica quotidiana, presenza costante della figura di Maria, vita condotta in maniera sobria ed essenziale (anche nel vestire e nel mangiare), amore per i libri e lo studio (formazione permanente e aggiornamento), noi non vi vediamo altro che lo stile di don Pino.

L’immagine di Dio, che egli fa passare fin da quando è educatore nel Seminario, è quella di un Dio amore, Dio Padre di misericordia che si rivela in Gesù. Un Padre che occorre invocare particolarmente per i peccatori e per il loro ritorno a Dio. Sia nelle confessioni sia nella predicazione, è questo Dio misericordioso che veniva da lui prima studiato attentamente, poi annunciato, comunicandolo con parole precise, capaci di scendere nei cuori, con riferimenti al parlato e ai detti siciliani. Senza spettacolarismi e senza protagonismi, Puglisi è un prete così.

Mentre la pseudo-religiosa mafia produce una cultura apparentemente devota, ma di fatto atea e antitetica al vangelo – in quanto mette uomini e organizzazione al posto di Dio, facendo prevalere la subordinazione violenta all’amore –, Puglisi predica il Dio di Gesù Cristo e ne pratica l’amore misericordioso sia sul piano materiale che spirituale.

Il “metodo Puglisi”

Esiste un esempio da seguire in tutto ciò. Di più: un metodo. Quello incarnato proprio da padre Puglisi, uno che non contrastava le cosche con altri strumenti che non fossero il Vangelo, alla luce del sole, per educare persino i mafiosi e i loro figli alla legalità, al rispetto reciproco, ai valori dello studio e della cultura.

Scrive in proposito papa Francesco in una lettera di recente indirizzata all’arcivescovo di Palermo: «Le strade del quartiere erano la Chiesa da campo che don Puglisi ha servito con sacrificio e percorso durante il suo ministero pastorale per incontrare la gente, in una terra da lui conosciuta e che non si è mai stancato di curare e annaffiare con l’acqua rigenerante del Vangelo, affinché ognuno potesse dissetarsi e godere il refrigerio dell’anima per affrontare la durezza di una vita che non sempre è stata clemente».

Questo il prete che i fratelli Graviano – le cui figure sono ritornate prepotentemente al centro delle cronache proprio nelle ore dell’arresto di Messina Denaro – decisero di togliere di mezzo. Dava fastidio, con quel suo Vangelo sulle labbra e in mano perché, portando Cristo al fianco dei poveri e dei giovani senza lavoro, aveva già sconfitto i mammasantissima con la forza che si rivela in chi, invece che il potere, sceglie l’impotenza della croce salvifica.

È stata e continua ad essere, quella di Puglisi, la testimonianza di un prete che ha ancora tanto da dare e da dire, attraverso i lineamenti della sua pastorale: la povertà personale come scelta di vita; le missioni popolari tra la gente; i gruppi del Vangelo nelle case; l’analisi dei bisogni delle persone; la moralizzazione delle feste popolari; la corresponsabilità pastorale dei laici; i momenti civici per far sentire la voce dell’intera comunità su particolari temi sociali; la formazione alle celebrazioni sacramentali.

Scrive sempre papa Francesco: «Sull’esempio di Gesù, don Pino è andato fino in fondo nell’amore. Possedeva i medesimi tratti del “buon pastore” mite e umile: i suoi ragazzi, che conosceva uno ad uno, sono la testimonianza di un uomo di Dio che ha prediletto i piccoli e gli indifesi, li ha educati alla libertà, ad amare la vita e a rispettarla».

Aggiunge: «Don Puglisi sovente ha gridato con semplicità evangelica il senso del suo instancabile impegno in difesa della famiglia, dei tanti bambini destinati troppo presto a divenire adulti e condannati alla sofferenza, nonché l’urgenza di comunicare loro i valori di un’esistenza più dignitosa, strappandola così alla schiavitù del male».

Egli è stato, e non smetterà mai d’essere, il dono di un prete con le suole delle scarpe forate per il suo continuo camminare tra la gente fino a notte, come l’ultimo giorno, quando una pistola gli fu puntata alla nuca, mentre portava ancora una volta in mezzo ai poveri e agli ultimi una Chiesa povera di beni, ma ricca d’amore liberante, seme di speranza nella primavera della vita.

La Chiesa sogna un prete così. Quel prete c’è già: si chiama don Pino. Martire, assassinato in odium fidei dalle mafie il 15 settembre 1993, giorno del suo compleanno.


[1] A. Chillura, Coscienza di Chiesa e fenomeno di mafia. Analisi degli interventi delle Chiese di Sicilia sulla mafia, Presentazione di Luigi Bommarito, con varie Appendici documentarie, Edizioni Augustinus, Palermo 1990, 218

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Un commento

  1. Paolo Marraffa 18 settembre 2023

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