Quando c’era Willy Brandt

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brandt1

L’8 ottobre 1992 moriva Willy Brandt, leader della Socialdemocrazia tedesca. Imparai ad amarlo grazie al libro-intervista con Birgit Kraatz Non siamo nati eroi. Una lezione di alto giornalismo. Quel ragazzo che si era definito di sinistra e libero. A modo mio (come non ricordare Comunisti a modo nostro di Emanuele Macaluso con Claudio Petruccioli, in occasione del centenario del Pci?) rievocava, tra l’altro, una scissione del 1931 (“la sinistra si riproduce per scissione”), quando egli, appena diciottenne, fu tra i fondatori e animatori del Sozialistische Arbeiterpartei (SAP), lasciando il suo maestro politico, Julius Leber.

Ascoltiamo: «Leber si collocava allora alla destra del socialismo, all’ala destra della vecchia socialdemocrazia tedesca. Io invece ero un giovane dell’ala sinistra. A voltarsi indietro oggi, i militanti della destra del partito avevano più cose in comune con i giovani della sinistra che con i membri del cosiddetto centro, che parlavano tanto ma mettevano in pratica ben poco».

Egli, poi, indicava come l’essenza dell’Ostpolitik risiedesse nella consapevolezza da parte degli europei dei loro interessi comuni, non sempre coincidenti con quelli degli Usa. E così era anche per il dialogo e le relazioni tra Nord e Sud del globo. Chissà oggi, dinanzi alla tragedia ucraina e a quella israelo-palestinese, o al cospetto degli intensi flussi migratori, quale sarebbe la prospettiva di Brandt e, soprattutto, il suo contributo alla distensione e alla pace, essenza di quella diplomazia dei popoli ormai tanto assente!

Poniamoci in ascolto di qualche altro passaggio. Chiede la giornalista: “‘La petroliera non è un surf’, così ebbe a esprimersi Peter Glotz. Cosa impedisce ad un grande partito di restare agile?”. E l’ex Cancelliere: “Se ci si propone di conseguire la maggioranza non prima o poi, ma qui e ora, bisogna pagare un prezzo. Lei allora non può semplicemente staccarsi da ciò che costituisce il pensare e il sentire, la percezione sociale degli uomini che intende portare dalla propria parte. Non si può essere al tempo stesso partito di maggioranza e avanguardia. Ma un partito come la Spd deve avere ugualmente al suo interno un qualcosa tale da porla all’avanguardia”.

Un lessico d’altri tempi, sembrerebbe, un gergo datato; eppure queste poche parole condensano una lezione sulla “sinistra-centro”.

L’impressione, rispetto a giganti come lui, è che noi neppure riusciamo a porci come nani sulle loro spalle.

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