Adolescenti: Covid e salute mentale

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Unicef Italia e l’Unità di Psicologia Clinica del Policlinico Gemelli di Roma hanno di recente presentato i risultati della ricerca With You – La psicologia con te (qui) condotta sullo stato della salute mentale di preadolescenti, adolescenti e loro famiglie, nel corso della pandemia da Covid 19.

Il progetto With You è durato un anno ed ha riguardato un campione costituito da 1.571 giovani (46% femmine e 54 % maschi) di cui 971 sono stati presi in carico dopo una valutazione psicodiagnostica, insieme a 1.942 genitori; i soggetti beneficiari diretti sono stati 3.513: 35.513 – dieci volte tanto – quelli indiretti.

Poco meno della metà dei 971 adolescenti è risultato soffrire di disturbi dell’apprendimento, mentre la restante parte ha evidenziato disturbi da iperattività, deficit di attenzione, tratti dello spettro autistico, nonché di patologie neurologiche; un terzo del campione ha manifestato disturbi d’ansia e sintomi psicosomatici, mentre il 16% alterazioni del comportamento e altre di competenza psichiatrica; 149 una compromissione globale, marcata. Il 47% dei 971 è risultato richiedere un piano didattico personalizzato; 150 (15%) di un insegnante di sostegno; 168 (17 %) di psicoterapie.

Complessivamente il quadro emerso dal campione preso in esame è davvero drammatico: il 39% della popolazione presa in considerazione risulta soffrire di sintomi di ansia e depressione; preoccupa in particolare il rischio che le situazioni non prese in carico e non trattate possano evolvere verso quadri psicopatologici più gravi.

Insieme, sono emersi pure indicazioni incoraggianti, perché, dallo studio dei dati di efficacia terapeutica, si ricava che i disturbi, se trattati, possono ridursi, anche sino a scomparire.

Di particolare importanza è il riconoscimento dei fattori sia di rischio che di protezione dal disagio grave. L’impianto della ricerca prevedeva che il percorso di individuazione dei problemi vedesse il protagonismo delle famiglie, oltre che quello degli adolescenti: questo nella convinzione che nelle singole famiglie esistono e vanno portate alla luce non solo le condizioni e le ragioni della sofferenza mentale, ma insieme valorizzate le risorse per la promozione della salute mentale dei singoli.

Gli esiti della scelta sono risultati significativi, a partire dal fatto che il grado di soddisfazione dei partecipanti alla ricerca è risultato essere del 98% per i genitori e del 96% per i ragazzi e che non vi sono stati casi di abbandono del trattamento.

La conclusione è che l’approccio bio-psico-sociale adottato risulta efficace nella riduzione dei ricoveri ospedalieri e dell’assunzione di farmaci e nel prevenire che una fragilità emotiva si trasformi in una sofferenza psichiatrica cronica.

Naturalmente, non si tratta qui di essere un po’ “bio” (= psicofarmaci), un po’ “psico” (= colloqui, psicoterapie), e un po’ “sociale” (= interventi nelle relazioni interpersonali e di comunità), magari in ordine di importanza, bensì di pensare alla operatività, in ogni territorio, di un gruppo di lavoro o squadra multiprofessionale, facilmente accessibile per le famiglie e accogliente per i giovani pazienti, ove chi soffre e chi si occupa della sofferenza possano incontrarsi, ascoltarsi, ricercare insieme le ragioni delle sofferenze e le risorse disponibili per le cure più efficaci.

È in quella sede che c’è – o meglio, dovrebbe esserci – il Servizio Sanitario Nazionale con i suoi Dipartimenti di Salute Mentale, i suoi Distretti Socio-Sanitari, con i suoi professionisti pronti ad operare con modalità integrate e a rendere conto della qualità del lavoro.

La legislazione di riferimento è del 1978, il primo Progetto obiettivo Salute mentale ha più di 20 anni, mentre lo stato dei servizi è drammatico: la Società Italiana di Psichiatria ha perciò, in questi giorni, proposto che si vada a definire un nuovo Progetto Obiettivo.

La questione dell’esercizio del diritto alla salute mentale in Italia è oggi scottante, ancor più dopo la pandemia che ha sconvolto le vite quotidiane di milioni di persone: sì, gli adolescenti, ma anche anziani e fragili. Il compito – per me – spetta ancora al pubblico e alla politica.

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