Andar per erbe

di:

erba

In questo scorcio di fine settembre il prato si è riempito di piantaggine. Prendo le forbici da cucina e una bacinella, ed esco in giardino. Il sole è ancora caldo ed è bello calpestare l’erba a piedi nudi.

L’erba. Per l’occhio distratto è facile fare di tutte le erbe «l’erba». Ma basta regalarsi un po’ di tempo – una passeggiata silenziosa nel parco, sedersi su una panchina o accoccolarsi ai piedi di un albero –, e guardare per terra, per scoprire il tesoro di diversità che la parola «erba» racchiude. Se poi non si cede alla tentazione del purismo da diserbante e si lascia a prato rustico il giardino di casa, il miracolo può accadere lì, appena fuori dalla porta.

Dopo l’abbondante raccolto di fine primavera-inizio estate, la piantaggine s’era messa a riposo. Ma le miti temperature settembrine devono averla sollecitata, e così, eccola riapparire, con le sue foglie lanceolate che svettano fiere. Mi affretto a raccoglierla, prima dell’ultimo sfalcio del prato.

Chinata a terra, con delicatezza decisa comincio a tagliare, scartando le foglie più dure.  Ritrovo nel gesto una sapienza antica, che non voglio dimenticare, che non vorrei venisse dimenticata. È la sapienza di mia nonna e di mia mamma, e di tante donne che andavano per erbe nei campi che, fino a qualche decennio fa, ancora c’erano attorno al mio paese.

Per chi non le conosce sono tutte erbacce; chi le riconosce le chiama invece, familiarmente, erbe o erbette. Sono così buone, ognuna con il suo inconfondibile sapore: la piantaggine sa di funghi, la calepina fresca in insalata ricorda i rapanelli, la portulaca è croccante e pungente. E poi crenchene, cicorie, rucola, ortiche, rosolacci…

È bello fare l’orto, seguire la crescita delle piante, raccogliere con le proprie mani verdure e ortaggi che si sono seminati, trapiantati, curati, giorno dopo giorno. Ma ancora più bello è andare per erbe. Lasciarsi sorprendere da quello che la natura spontaneamente ci regala. Sentirsi come gli uccelli del cielo, che non seminano, non mietono, non accumulano riserve nei frigoriferi, eppure trovano ogni giorno il cibo che il Padre del Cielo ha preparato per loro.

Raccolgo la piantaggine nel mio prato, e dentro è come una preghiera.

Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? (Matteo 6,26-30).

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