I vescovi e le città

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parole alla città

Oltre al magistero per la Chiesa, c’è un magistero per la città? Oltre alle lettere pastorali con cui ogni vescovo interloquisce con i propri fedeli, vi è un appello agli abitanti e ai cittadini?

Da qualche decennio, dapprima in forme episodiche e poi in maniera più ampia, un certo numero di vescovi in Italia ha preso l’abitudine di rivolgere un discorso alla città. Il riferimento d’obbligo è l’intervento del card. C.M. Martini in occasione della festa di sant’Ambrogio, divenuto rapidamente un riferimento per le istituzioni e la società civile della città di Milano e del suo territorio. Basti ricordare alcuni temi trattati: la pace (1983), la politica (1987), l’Europa (1989 e 1991), l’islam (1990), la corruzione (1995), il sogno e il millennio (1996, 1999), la Chiesa minoranza (1998).

Nel suo ultimo discorso (2002), il card. Martini parla della città degli onesti e degli uguali. «Sia permesso infine di indicare più in generale quella strada politica efficace che è quella di dare forza e amabilità a una esistenza vissuta nel rispetto delle regole, mostrando che una vita umile e paziente, rispettosa delle leggi ed estranea alle prepotenze, non è un atteggiamento imbelle, ma è umana e forte. … Compito culturale urgente allora – che accomuna la città con le sue decisioni politiche e la Chiesa con la sua funzione formativa – è quella di innescare un movimento di restituzione di stima sociale e di prestigio al comportamento onesto e altruistico, anche se austero e povero: “Quanto è fortunata quella cittadinanza che ha moltissimi giusti!”» (C.M. Martini, Parole alla Chiesa, parole alla città, EDB 2002, pp. 1704-1705).

Lettere ai fedeli e ai cittadini

Si può indicare una nascente seconda linea del magistero episcopale in relazione ai cittadini e al territorio. In questo, i pastori sono abilitati dalle profonde radici storiche della presenza ecclesiale nelle nostre città, come anche dall’essere oggi una minoranza nel contesto della vita civile. Le stesse istituzioni amministrative, politiche e sociali, tutte segnate da un giudizio squalificante o critico, sollecitano un sostegno da parte della Chiesa, anch’essa penalizzata nel consenso generale.

È soprattutto la complessità dei territorio e la nuova figura difficilmente padroneggiabile, soprattutto dei grandi agglomerati, a interrogare la coscienza ecclesiale con il riscontro nelle comunità di fede dei mutamenti che segnano le città. A partire dall’estensione del modello di vita cittadino ai paesi, dalla relativizzazione del rapporto centro/periferia, dal fatto che il vivere cittadino non produce più immediatamente solidarietà e identità, dall’abitudine di “attraversare” la città e i suoi servizi piuttosto che “abitarla”.

Talora i vescovi sono sollecitati dagli appuntamenti elettorali o da ricorrenze storiche, ma esistono anche scadenze ormai assodate. Da una rapida e occasionale recensione degli ultimi mesi posso segnalare il discorso alla città del vescovo di Mantova, Marco Busca (marzo 2019), del vescovo di Tortona, Vittorio Francesco Viola (marzo 2019), del vescovo di Como, Oscar Cantoni (agosto 2019), del vescovo di Rieti, Domenico Pompili (dicembre 2019), del vescovo di Milano, Mario Delpini (dicembre 2019), del vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla (gennaio 2020), del vescovo di Modena, Erio Castellucci (gennaio 2020).

Ethos e politica

Un primo ambito di interessi è la politica. Intesa non in senso partitico ma come cura della comunità, pur in presenza di una dialettica partitica.

Il vescovo di Tortona invita, ad esempio, gli amministratori a disintossicarsi della modalità del conflitto immediato per interrogarsi su che cosa ha bisogno la propria città e il proprio territorio. A focalizzarsi, cioè, su economia, lavoro, salute, famiglia, scuola, povertà ecc. E rilancia il tema del dono come «atto etico di costruzione politica che avviene all’interno della società civili, unita dalla stessa immaginazione del bene comune».

Il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, si preoccupa dell’abbassamento dell’asticella «della qualità degli studi nella scuola e nell’università. «Ci vogliono otto anni in più per ottenere lo stesso livello di conoscenze e di organizzazione mentale rispetto a cinquant’anni fa».

Alla sfera educativa fa riferimento anche mons. Castellucci di Modena.

Un tema trasversale è quello del lavoro. Così scrive mons. Delpini di Milano: «La disoccupazione, il lavoro troppo esposto ai pericoli, troppo poco apprezzato, spengono la gioia di vivere e inducono a immaginare un futuro segnato dalla miseria», con il relativo elogio degli imprenditori e dei dipendenti.

Convergente è la denuncia dei segnali di razzismo e l’invito e non enfatizzare le pur reali difficoltà dell’accoglienza degli immigrati. Essi costituiscono una sfida e un’opportunità.

L’ambiente è il centro focale dell’intervento di mons. Castellucci, l’ammonimento a considerare la natura non una cava da svuotare a piacimento, ma una casa da abitare per noi e le future generazioni.

Torna, infine, con insistenza il richiamo all’Europa. «La geopolitica mondiale si caratterizza per l’affermarsi di potenze regionali, suscettibili e intrattabili per quanto riguarda le politiche interne, indifferenti e disimpegnate per quanto riguarda le sorti degli altri paesi… In questo spettacolo scoraggiante sono convinto che i paesi d’Europa potrebbero essere una presenza che ripropone, difende e sostiene i valori che stanno al fondamento della nostra identità e dell’umanesimo» (mons. Delpini).

L’ethos cittadino

Un secondo ambito, quello più insistito e coltivato, riguarda l’ethos cittadino. Partendo dalla narrazione di una visita a Mantova di una delegazione giapponese nel luglio del 1585, mons. Busca suggerisce l’alimentazione di un «capitale narrativo» necessario all’attuale condizione dei territori e delle città e lo sviluppo della virtù dell’«urbanità», coniugandola con la questione politica e il nostro essere europei, con atteggiamenti come l’ospitalità, la condivisione e la prossimità, come l’attenzione all’ambiente e la capacità contemplativa e simbolica del vivere assieme.

Sulla dimensione contemplativa e simbolica della vita, anche oltre le appartenenze confessionali, insiste il vescovo Cantoni di Como. A partire dai duecento anni di presenza in città del convento della Visitazione scrive: «Non che tutti dobbiamo farci monaci, ma acquistare occhi nuovi, e quindi un cuore nuovo, per imparare a riconoscere la visita di Dio dentro la nostra città, accogliendo i suoi abitanti, nessuno escluso, anche i più poveri, con lo stesso sguardo di amore e di benevolenza con cui Dio li vede». La crisi economia e politica è un invito a «riflettere sulla necessità di recuperare la dimensione spirituale della vita, che obbliga a uno sguardo contemplativo». Vedere, cioè, anche con gli occhi del cuore.

Mons. Brambilla di Novara rilancia: «La preghiera è il luogo dove si educa il desiderio di Dio! Il desiderio di Dio è la sorgente del desiderio dell’altro, perché non sia solo la saturazione del nostro bisogno».

Solo a questi livelli si risponde a sfide imminenti come quella ambientale, a cominciare da uno stile sobrio e sostenibile della vita. «La custodia verso l’altro e verso il creato, che diventa non solo rispetto, ma vera e propria responsabilità, è uno stile globale, integrale: è impossibile custodire i fratelli abusando del creato o custodire il creato facendo violenza ai fratelli» (mons. Castellucci di Modena).

«Benvenuto futuro!» titola mons. Delpini di Milano: «Anche se il suo colore è ambiguo e talora è colorato di entusiasmo e talvolta colorato di minaccia, io confido che non sia scritto, come una destino inflessibile, da forze oscure o da interessi particolari, ma che il futuro abbia i tratti che gli attribuiscono i popoli nel libero esercizio della loro responsabilità, perché il destino si faccia destinazione».

Emergenze e indirizzi

Il terzo ambito è quello delle emergenze. L’esempio più comprensibile è quello del vescovo di Rieti, mons. Pompili, testimone del terremoto del 2016 che ha devastato ampie aree del Centro-Italia. «Se dovessi trovare un’immagine per dire come siamo messi, penso alla nebbia… La sensazione è di immobilità e di disorientamento». Impressione negativa che tuttavia non nasconde gli elementi positivi, come la crescita dei servizi e delle aziende agricole biologiche. Cita in particolare la recente visita del papa (novembre 2019) e i doni che ha lasciato: l’unità, il riconoscimento di ciascuno, la valorizzazione delle tradizione.

I problemi sociali che attraversano tutti i territori sono ricordati spesso. Cito mons. Cantoni (Como): «Conosciamo veramente le diverse forme di povertà, presenti nella nostra città? Sono quelle che affliggono gli anziani, i disabili, i malati, i migranti, i drogati. E nemmeno possiamo ignorare le famiglie in povertà» e quelle disintegrate.

Mons. Delpini ricorda le fragilità dei più giovani: trasgressioni pericolose, avvio di dipendenze, l’alcolismo, la ludopatia, la videodipendenza, i disturbi alimentari ecc.

Rivolgersi «a quelli di fuori», ai cittadini e non solo ai fedeli, è un esercizio che impegna una significativa qualità di lettura dei segni dei tempi, un tratto profetico e una sapienza storico-civile. Altrimenti si cade nel moralismo e nella riduzione settaria dell’esperienza ecclesiale. Per questo diventa utile intuire il quadro di riferimento complessivo.

Evidenzio due tratti: l’attesa di una società «organica» espressa da mons. Busca e la costatazione di una società pluriforme ed «esplosa» di mons. Delpini.

Il sistema di significati e di valori condivisi possono determinare «una nuova cultura organica che metta rimedio agli errori ed effetti deleteri di una cultura degenerata in una civiltà tecnica, dominata da uno spirito materialistico pervasivo, una civiltà che ha esasperato l’economia solo come soddisfacimento dei bisogni individuali». Essa richiede la formazione di laboratori di cultura urbana in cui operare un equilibrio fra principio democratico e aristocratico, nell’orizzonte di un fine sovra-individuale.

Mons. Delpini parla di Milano come città desiderabile per gli studenti, sensibile alle spiritualità, interessante per i turisti, promettente per gli investitori, invitante per i lavoratori, benevola e generosa per i poveri. La sua storia racconta «dell’incontro tra popoli di diversa provenienza, lingua cultura e religione». «La città e il territorio della diocesi e, in proporzioni diversificate, tutta la regione Lombardia si trovano oggi, più che in altri tempi, di fronte alla sfida della convivenza di persone che vengono da molte parti del mondo e portano le loro capacità, le loro attese, i loro bisogni, la loro cultura e mentalità, talora le loro miserie, i loro traumi, le loro sofferenze, le loro virtù e i loro vizi».

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