Stati Uniti e clima: il green plan di Biden

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Superato lo shock della tentata espugnazione del Capitol Hill da parte del mob trumpiano, Joe Biden si è insediato come nuovo presidente degli Stati Uniti. E sarà, con molta probabilità, il primo a ricoprire la carica di presidente vantando già un punto a favore: il supporto popolare per la sua missione climatica, ampiamente testimoniato dai sondaggi condotti nei mesi precedenti la tornata elettorale.

In un momento di profonda crisi l’America ha visto delinearsi un’opportunità concreta, quella di costruire un’economia più resiliente e sostenibile – una in grado di indirizzare il Paese su un percorso irreversibile di emissioni nette pari a zero entro e non oltre il 2050.

Edward Maibach, Director del Centro per la Comunicazione sul Climate Change della George Mason University, conferma l’esito dei sondaggi: «il suo mandato di scommettere tutto su cambiamento climatico ed energia pulita non poteva essere più chiaro».

Biden ha promesso di sposare il concetto di diplomazia climatica internazionale e di spendere più di 2 trilioni di dollari a sostegno di energia pulita e nuovi impieghi «green». Misure in netta contrapposizione con quanto finora fatto dal presidente Trump, che ha preferito ritirarsi dall’Accordo di Parigi e abolire ogni qualsivoglia forma di regolamentazione ambientale, pur di avvantaggiare l’industria del carbone.

Il clima e il voto

Le visioni diametralmente opposte dei due candidati, sul piano della scienza e dei combustibili fossili, sono emerse in maniera evidente durante i vari confronti mediatici, eppure l’esito non ha mostrato segnali di incertezza: la vittoria schiacciante di Biden ha aperto le porte ad una nuova roadmap improntata alla sostenibilità; questo non significa che le priorità sul clima del neopresidente saranno esentate da un percorso ad ostacoli, bensì dà ufficialmente il via libera alla sua agenda.

I primi exit polls hanno evidenziato come i messaggi sul clima abbiano avuto il maggiore grado di penetrazione tra gli elettori americani; secondo il Morning Consult oltre il 74% degli elettori democratici avrebbe descritto il climate change come fattore particolarmente rilevante ai fini del voto mentre un altro sondaggio condotto da Fox News e Associated Press avrebbe individuato in oltre il 67% della popolazione votante americana una preferenza per una spesa governativa destinata ad energia green e rinnovabiliI.

Oggi oltre la metà degli Stati americani ha adottato target ben definiti sulle rinnovabili per quanto concerne le aziende di pubblica utilità, e le energie solare ed eolica sono addirittura più convenienti del carbone e del gas naturale in svariate parti del Paese. Ciononostante, i dati raccolti sull’opinione pubblica fanno suonare un campanello d’allarme con riferimento alle preferenze in tema ambientale, come sottolineato dal think tank statunitense Data for Progress.

L’applicazione di un’eventuale carbon tax non sarebbe ben accetta dall’elettorato, con meno del 25% a favore di maggiori costi associati all’emissione di anidride carbonica e oltre il 55% favorevole alla determinazione di nuovi standard sostenibili e maggiori investimenti in energia pulita.

Il piano della nuova amministrazione

Il programma dell’amministrazione Biden-Harris, denominato Build Back Better, va a delinearsi in uno sforzo nazionale volto a creare i nuovi impieghi di cui il Paese ha bisogno per creare oggi un’infrastruttura moderna e sostenibile e consegnare alle prossime generazioni un futuro energetico più pulito ed equo. Uno sforzo quantificabile in 2 trilioni di investimenti, necessari per raggiungere quell’ambizioso traguardo di progresso climatico che la scienza richiede.

Le aree di intervento, che affronterò in dettaglio a breve, fanno leva sui seguenti aspetti chiave:

  • Costruire un apparato infrastrutturale moderno
  • Attribuire all’industria automobilistica statunitense del XXI secolo una posizione di rilievo, sfruttando la tecnologia in-house
  • Raggiungere la carbon neutrality per il settore energetico entro il 2035
  • Investire in maniera massiccia nell’efficientamento energetico degli edifici
  • Stanziare investimenti a favore di un’innovazione energetica pulita
  • Favorire la crescita e la conservazione di un’agricoltura sostenibile
  • Assicurare una giustizia ambientale e opportunità economiche eque.
Per una crescita sostenibile

L’ambizioso progetto consiste nel creare milioni di nuovi posti di lavoro destinati alla ricostruzione dell’apparato infrastrutturale statunitense, da strade e ponti a spazi verdi, sistemi idrici e banda larga universale via 5G. Le fondamenta di una crescita sostenibile che sia in grado di competere nel contesto economico globale, di migliorare la struttura sanitaria pubblica e di garantire l’accesso ad aria ed acqua pulite.

L’obiettivo è quello di mettere a disposizione di ogni città con almeno 100.000 abitanti mezzi di trasporto pubblici di alta qualità e a zero emissioni, ricorrendo a investimenti federali flessibili che prevedano una forte protezione del lavoro e soddisfino le esigenze dei singoli centri abitati: da una seconda grande rivoluzione ferroviaria ad un miglioramento delle linee bus fino all’installazione di infrastrutture pedonali e ciclabili. Inoltre, per aggiudicarsi il primato nell’industria automobilistica del XXI secolo, l’amministrazione Biden promette la creazione di 1 milione di nuovi posti di lavoro nel campo dell’infrastruttura, della manifattura e delle catene di produzione automobilistiche.

Target ambizioso di emissioni pari a zero entro il 2035 per il settore energetico, puntando su energia pulita American-made. Il punto di partenza sarà una significativa contrazione dei costi associati alle nuove tecnologie energetiche da lanciare sul mercato nel minor tempo possibile, quali lo stoccaggio, le tecnologie associate alle emissioni negative, le future tecnologie di materiali per costruzioni, l’idrogeno rinnovabile e il nucleare avanzato.

Il settore agro-alimentare

La creazione di nuovi posti di lavoro nel settore dell’agricoltura, ridefinito climate-smart, mira a prevenire i danni ambientali locali (specie nelle comunità rurali maggiormente colpite) e va ad aggiungersi ai 250.000 lavoratori da riconvertire, già impiegati nel settore dei combustibili fossili.

Una serie di misure ben definite, che invocano una giustizia ambientale finora trascurata dai paesi più sviluppati. Una giustizia che passa per un apparato infrastrutturale moderno, per un diritto all’acqua potabile da parte di tutte le comunità ed una rivitalizzazione delle comunità presenti in ogni angolo del Paese, cosicché nessuno possa essere tagliato fuori dalle opportunità economiche. Non sarà sufficiente costruire una nazione più forte e resiliente se verrà a mancare il contributo degli altri Stati.

Joe Biden parla del climate change come di una sfida globale che richiede azioni forti da parte di ogni singolo Paese; il primo passo sarà rientrare formalmente tra i firmatari dell’Accordo di Parigi ma a questo ne seguiranno molti altri, tra cui l’integrazione del cambiamento climatico nelle strategie di politica estera e di sicurezza nazionale.

Non si potrà più procrastinare la condanna dell’abuso di potere ad opera dei principali «inquinatori» mondiali, le società di combustibili fossili. Il neopresidente durante la campagna elettorale ha rifiutato i contributi provenienti da aziende petrolifere, di gas e carbone e ha parlato di azioni immediate contro chi sta abusando della propria posizione privilegiata a danno delle comunità più vulnerabili, impattate dall’inquinamento climatico e dall’emergenza climatica in misura del tutto sproporzionata.

Insomma, un vero e proprio pioniere del climate change, come definito dal Politifact, che ha da sempre rimarcato il dovere morale ed economico di ogni uomo nei confronti di questa sfida ambientale che abbraccia l’intero pianeta.

La sua promessa si sintetizza nel concetto semplice di «science, not fiction» perché è proprio la scienza a dirci che noi esseri umani abbiamo rilasciato nell’atmosfera un’ingente quantità di gas climalteranti, che abbiamo contribuito all’effetto serra in misura inestimabile e che, se la temperatura globale dovesse continuare a salire all’attuale tasso di crescita o superare gli 1.5°C, la minaccia esistenziale non sarà limitata ai soli sistemi ecologici ma interesserà anche la nostra specie umana.

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